Cosa resterà di questi Anni Ottanta
afferrati e già scivolati viaCosa resterà e la radio canta una verità dentro una bugia. (*)
Red
“I ragazzi della Via Val” nacquero ufficialmente il 22 dicembre 1983 con il loro primo concerto davanti a un pubblico entusiasta nell’Aula Magna del Liceo Scientifico Pitagora.
Ma il fatto che, in qualche modo, diede il “la” alla band risaliva a poco più di tre anni prima, un giorno di settembre del 1980 quando Andrea “Red” Lipari trovò, non si sa bene dove, il coraggio di affrontare con i suoi genitori l’argomento che da qualche mese gli stava a cuore.
Terminato il piatto di tortellini in brodo, senza alzare gli occhi dal piatto disse tutto d’un fiato: “Volevo chiedervi se magari quest’anno potevate iscrivermi a un corso di batteria mi piacerebbe molto provare a suonare un nuovo strumento”.
La questione venne liquidata in poco più di tre secondi: “Non dire cazzate, Andrea” rispose suo padre considerando la questione chiusa definitivamente.
Andrea non replicò. Il pomeriggio del giorno dopo, finiti i compiti, uscì e si avviò verso la periferia della città, in quel reticolo di vie che tutti chiamavano, non a torto, “Il Bronx”: aveva ben chiaro in mente cosa cercava.
Paolo
Il primo giorno di scuola al Pitagora, Paolo Gatti era arrivato in classe per ultimo perché aveva sbagliato piano e aveva dovuto accontentarsi del posto in prima fila accanto ad Andrea, il solo rimasto libero.
Si era, comunque, accontentato rapidamente in quanto avevano simpatizzato nel giro delle prime tre ore e dopo una settimana erano già amici, di quelli veri.
Paolo era stato il primo a essere messo al corrente del “segreto” di Andrea; era successo il giorno dopo che un gruppetto di studenti di terza e quarta, notoriamente di estrema destra, lo aveva aspettato fuori di scuola facendogli pagare l’intervento di poco prima in assemblea studentesca; un intervento durante il quale, con troppa ingenuità, aveva provato a sostenere quali potessero essere le ragioni ideologiche che spingevano le Brigate Rosse ad agire.
Il giubbotto tagliuzzato, il labbro spaccato e un ematoma sullo zigomo destro lo avrebbero reso sicuramente più prudente in futuro.
Figlio di genitori di estrema sinistra ma discendenti delle famiglie più facoltose della città, si era rivelato una vera manna per la band.
Forse per compensare una sorta di senso di colpa per tutte quelle ricchezze, che peraltro con investimenti oculati e grazie al loro lavoro, continuavano a crescere, i genitori di Paolo erano molto generosi con il prossimo, prodigando e prodigandosi a favore di molte realtà meno fortunate; così, fin dal momento in cui ne vennero a conoscenza, non fecero mancare il loro appoggio morale e materiale a I ragazzi della Via Val.
Leo
Leonardo “Leo” Pagani aveva avuto molto poco dalla vita fino al giorno in cui aveva conosciuto Giada, la sorella di Paolo; si erano piaciuti subito e dopo un breve periodo di scaramucce e di corteggiamento cui lei aveva finto di resistere, il giorno del suo tredicesimo compleanno aveva detto “sì” a quel ragazzo alto e magro i cui occhi brillavano dietro alla tristezza che spesso li velava.
Il papà di Leo, sommando piccoli reati a piccoli reati, era finito dentro e la madre non aveva trovato di meglio che sostenere il budget famigliare andando la sera sui viali più “in” della città dove un certo tipo di clientela non mancava mai.
Solo la caparbietà e l’insistenza di uno zio materno aveva tenuto Leo attaccato alla scuola dove, peraltro, brillava grazie a un’intelligenza sopra la media e a una capacità di esprimersi non comune alla sua età che gli consentivano di sopperire alle poche ore dedicate allo studio.
L’altro amore di Leo, oltre a Giada, era la sua chitarra cui spesso dormiva abbracciato per timore che gliela rubassero – era il suo incubo più ricorrente.
Regalo di papà – presa chissà dove e, soprattutto, chissà come – per il suo ottavo compleanno, era diventata la sua arma contro la tristezza e la malinconia di tanti, troppi pomeriggi: grazie a essa era entrato a far parte de I ragazzi della Via Val.
Gioia
Gioia Ventura era stata scelta da Red per la presenza, sotto la frangetta, di un eterno broncio che tanto contrastava con il suo nome.
“Abbiamo bisogno di una cantante per il nostro gruppo” le aveva detto una mattina durante l’intervallo “e abbiamo pensato a te”.
“Cantante? Gruppo? Abbiamo? Ma di che cazzo stai parlando?”
“Io e Paolo abbiamo formato un gruppo con un altro ragazzo e ci serve una cantante… sei capace di cantare?”
Sebbene fossero i primi giorni del terzo anno di Liceo, lei e Red avevano scambiato poco più del saluto fino a quel momento anche se quel ragazzo dotato di un grosso casco di capelli rossi arruffati e perennemente in disordine – da cui il suo soprannome – la aveva sempre attratta.
Con due genitori in carriera che vivevano solo di lavoro, figlia unica e “vittima” di un seno troppo prosperoso per l’età, Gioia soffriva di una forte carenza di affetto e passava le sue giornate perennemente incazzata con il mondo.
Senza quasi rendersene conto si sentì rispondere “Perché no, possiamo provare! Quando e dove?” mentre il cuore le batteva più forte del normale e sentiva il viso addolcirsi in un sorriso che rendeva finalmente merito alla sua bellezza.
“Ci troviamo oggi pomeriggio in Via Val Grande 18 alle quindici”.
Gioia ebbe un attimo di esitazione: “Sei sicuro? In Via Val Grande?”. Tutti sapevano che si trovava nel bel mezzo del Bronx.
“Verrà a prenderti Paolo a casa, se sei d’accordo, così non sei sola; da casa tua è un quarto d’ora a piedi.
Febbraio 1981
Il giorno dopo il pestaggio Red aveva portato per la prima volta Paolo in via Val Grande: una fila ininterrotta di casermoni popolari occupati, per lo più abusivamente, da famiglie che non erano state in grado di trovare sistemazioni più adeguate sebbene vivessero più che dignitosamente all’interno del perimetro imposto dalla legalità.
Red si era adattato occupando, a sua volta abusivamente, un garage che affacciava sul grande cortile del civico 18; lo aveva trovato abbandonato strapieno di cianfrusaglie di ogni tipo che aveva pazientemente portato in discarica al termine di una serie di viaggi sfiancanti.
Paolo si era trovato davanti un ampio spazio occupato, lungo una parete, da pentole, scatoloni, alcune latte di medie dimensioni.
“Ti presento la mia batteria” aveva esclamato Red con un entusiasmo genuino che Paolo non aveva saputo come interpretare.
Figlio di due virtuosi dell’arpa a livello mondiale, Red era stato “costretto” a suonare l’arpa fin da bambino, nonostante avesse presto capito che le sue inclinazioni viravano altrove.
“Ecco il mio atto di ribellione nei confronti dei miei vecchi e dell’arpa” ed era scoppiato in una risata contagiosa.
“Tu non sei normale” era riuscito a dire Paolo quando si era ripreso dalla risata “ma sei un grande, Red!”.
“Sono stato adottato dagli abitanti del condominio, mi lasciano usare il garage, fanno da garanti per il contenuto e io una sera alla settimana mi esibisco per loro; se ti vuoi fermare stasera vado in scena”.
Paolo era volato a casa e dopo un paio di ore era tornato con in mano il suo basso.
“Stasera ti accompagno io” aveva detto a Red che per un attimo si era quasi commosso.
Avevano improvvisato, avevano riso tanto e alla fine avevano bevuto con il loro pubblico, una cinquantina di persone tra donne sfatte da troppe gravidanze, uomini distrutti da lavori fisicamente proibitivi e bambini sporchi ma felici.
Erano andati avanti così per un paio di mesi poi Paolo, una sera in cui si erano particolarmente esaltati, aveva chiesto a Red: “Ti piacerebbe suonare una batteria vera?”.
“Magari, Paolo, ma i miei non ci sentono da quell’orecchio; se sapessero del garage e di queste serate probabilmente mi chiuderebbero in casa e butterebbero la chiave” concluse con un sorriso amaro.
“Ho parlato con i miei e te la vogliono regalare loro”.
“Stai scherzando? E anche se fosse vero non potrei mai accettare”.
“Perché? Gli ho raccontato tutto e la scorsa settimana sono venuti a sentirci anche se sono rimasti in disparte. Gli siamo piaciuti, seriamente, e vogliono farci questo regalo”.
E così era arrivata una batteria vera assieme a un lucchetto e a una grande catena che la sera chiudeva il garage.
“Va bene la fiducia nei confronti dei vostri amici del condominio, ma non esageriamo” aveva esclamato il papà di Paolo mentre scaricavano la batteria.
Ottobre 1981
“Che ne dici se introducessimo una chitarra?”
“Perché no? Conosci qualcuno?”
“Sì, Leo, il ragazzo di mia sorella. L’ho sentito suonare, ha talento, ha la musica dentro”
Erano stravaccati sul divano del soggiorno di Red dopo un’intensa studiata di fisica che aveva prosciugato loro ogni energia.
Si erano accorti che le loro serate cominciavano a peccare di originalità, il pubblico era aumentato, ormai venivano da tutta la via Val Grande e anche dalla piazza principale ma erano distratti, chiacchieravano, le serate musicali erano occasione per vedersi e raccontarsela.
Ci voleva qualcosa di nuovo e così Paolo aveva pensato a Leo.
Il provino si svolse a garage chiuso il pomeriggio di Ognissanti, presenti solo loro tre e Giada, e fu un grande successo: Leo venne accolto nella band dopo soli due brani.
Il battesimo era in programma due sere dopo e, preparato adeguatamente da una studiata mossa di marketing – avevano spifferato all’orecchio di una mezza dozzina di bambini che ci sarebbe stata una grandissima sorpresa – avvenne davanti a più di cento abitanti della zona che per scaldarsi, saltavano e ballavano come ragazzini mentre loro tre si lanciavano in virtuosismi degni dei più famosi gruppi rock del decennio precedente.
In un momento musicale in cui l’elettronica aveva preso il sopravvento con gruppi quali i Duran Duran, gli Spandau Ballet, i Depeche Mode o i Pet Shop Boys per citare solo i più famosi che facevano largo uso del sintetizzatore, Red aveva imposto alla sua musica e a quella della sua band la purezza dei suoni di quello che secondo lui era il vero rock e stando al successo delle loro serate degli ultimi mesi, non aveva sbagliato.
Gennaio 1982
Proprio nel momento in cui si sentivano pronti per provare a fare un grande salto, anche se non sapevano bene dove, Red rimase vittima di un incidente banale giocando a pallone con gli amici: nel parare un rigore gli si girò il polso.
Risultato: un mese di gesso e addio batteria!
Le prove si fermarono in attesa che Red tornasse in pieno possesso di entrambe le braccia.
Red continuò, però, a frequentare il garage e coloro che ormai considerava i suoi amici tra i quali aveva fatto la sua comparsa sempre più frequente Serena.
Minuta, timida ma dotata di un sorriso che conquistava tutti coloro che ne erano i fortunati destinatari, entrò giorno dopo giorno nel cuore di Red, scacciando le tante ombre che vi albergavano.
Purtroppo l’alter ego di Serena era suo fratello Carlo, un piccolo delinquente, disoccupato e, quel che peggio, dedito da un paio di anni all’eroina.
In un pomeriggio grigio di fine gennaio in cui Serena era andata a studiare da un’amica e in cui le ombre nel cuore di Red si erano dilatate in modo preoccupante a causa di una discussione troppo accesa con il professore di italiano, Carlo lo accolse tra le sue spire e gli fece assaggiare la sensazione del morso della siringa.
Un piccolo assaggio, una cosa da niente pensò Red, giusto un’ora di sollievo in un pomeriggio difficile che non si sarebbe più ripetuta e così la archiviò guardandosi bene dal parlarne con chiunque, soprattutto con Serena.
11 luglio 1982
La partita non era ancora finita ma Leo, Red e Paolo certi del risultato festeggiavano ormai da una decina di minuti quando Red annunciò con tono solenne: “Ragazzi, è ora di fare il famoso salto! Prima di Natale ci esibiamo a scuola”.
Gli altri due lo guardarono stupiti, ma l’eccitazione per la partita era tale che in un attimo l’entusiasmo travolse tutto e dopo mezz’ora avevano già fatto almeno dieci programmi diversi.
Per fortuna con loro c’era Giada che, con razionalità femminile – oltre a molta meno birra in corpo – frenò subito quel sabba con due osservazioni precise e pertinenti: vi serve una cantante e vi serve un nome da dare alla vostra band.
Tra il dire e il fare però trascorsero quasi due mesi di proposte, discussioni, piccole liti con musi a seguire; fino a che, in un afoso pomeriggio di fine agosto, dopo due settimane intere in cui, ognuno in vacanza in un posto diverso, non si erano visti, Giada li convocò e nel giro di un’ora scarsa venne fuori il nome della cantante candidata – Gioia, la nostra compagna di classe, Red ci pensi tu a chiederglielo – e, soprattutto, il nome del gruppo: I ragazzi della Via Val, da Via Val Grande sottolineò Red nel caso gli altri non lo avessero capito, pochissimo originale ma di sicuro effetto.
22 dicembre 1983
L’aula Magna del Pitagora era “piena in ogni ordine di posti” come avrebbero scritto il giorno dopo sul giornalino della scuola; le prime tre file erano state riservate agli “amici del Condominio” così ribattezzati da Red, dietro c’erano studenti, insegnanti, il Preside e un nutrito drappello di genitori, compresi quelli di Red cui, all’ultimo momento, aveva fatto pervenire l’invito ufficiale.
Alle 20.05 si aprì il sipario e sul palco comparve Gioia che, a cappella, intonò la prima canzone; dopo qualche istante, dai due lati del palco, avanzarono Leo e Paolo che affiancarono la cantante e cominciarono a suonare i loro strumenti.
Ovviamente ai più non era sfuggita la presenza sul fondo di una batteria e quando Red fece il suo ingresso e vi si sedette dietro, il boato del pubblico scosse le pareti dell’Aula.
Suonarono quasi due ore mentre il pubblico cantava, ballava, si divertiva, i più scatenati gli amici del Bronx, quelli delle prime tre file.
Ma Red aveva occhi solo per due persone verso il centro dell’Aula, due persone che non mossero per tutto il tempo nemmeno un muscolo del viso o del corpo: impassibili aspettavano solo la fine di quella “buffonata”, come l’avrebbero definita in faccia a Red e di fronte a tutti i suoi amici quando ancora l’eco delle ultime note non si era spento nelle orecchie dei presenti.
Red non disse nulla, consegnò le bacchette a Gioia e se ne andò dalla scuola tutto solo.
Fu un trionfo per “I ragazzi della Via Val”, insegnanti e preside il giorno dopo si complimentarono sinceramente con Red, Gioia e Paolo ma quello fu anche l’ulnico concerto che fecero.
Red non ne volle più sapere di suonare la batteria.
Epilogo
Purtroppo spesso la vita ci pone di fronte a due vie e non sempre si è in grado o si ha la forza di scegliere la migliore.
Red, tra gli amici della band e Carlo, scelse quest’ultimo con il suo carico di felicità effimera e di morte inevitabile.
Tre giorni dopo aver conseguito la maturità scientifica, il 10 luglio 1985 il corpo di Red fu trovato accasciato accanto a una siringa in un garage abbandonato di Via Val Grande: quando i volontari della Croce Rossa arrivarono, non poterono che constatarne la morte.
(*) Cosa resterà di questi anni ’80 – Raf - 1989