Non c’erano abbastanza silenzi, e Agnese aspirava al nulla.
Avrebbe voluto un angolo dove abbracciarsi le ginocchia e smettere di sentire i litigi, le urla. Le botte.
Neanche nel giorno del suo compleanno l’avevano lasciata finire la torta in pace. Avevano cominciato a litigare mentre spegneva quel tristissimo otto sbilenco su una torta che neanche le piaceva. Lei avrebbe voluto quella al cioccolato. E invece era arrivata una crostata di frutta con la gelatina tutta molliccia che pendeva da una parte. Una torta che diceva: “Non ce ne frega un cazzo di te.”
IL NASTRO BLU - RESDEI
“L’otto è il simbolo dell’infinito rivolto verso il cielo”, le aveva spiegato la maestra Gianna.Le aveva regalato una confezione di matite colorate e un nastro blu per i capelli.
Quella sera, del suo infinito di cera, sopra la torta, era rimasto uno zero che lentamente si stava consumando.
“Figlio di puttana, hai rivisto la troia!”
“Stronza paranoica! Drogata di…”
Lei non aveva aspettato che lui continuasse per lanciargli una bottiglia di birra vuota che si era schiantata sulla parete del frigorifero. Lui l’aveva afferrata per i capelli e, quando lei lo aveva graffiato sul viso e sulle braccia, l’aveva riempita di pugni e schiaffi.
Agnese aveva strizzato gli occhi per diventare invisibile, per non sentire, e perché nel buio riusciva a essere altrove.
Quando li aveva riaperti il piatto era ancora lì e loro due erano contorti in una lotta ancora più disperata e urgente chiamata amore.
Lui le aveva alzato il vestito a fiorellini, lei lo mordeva sulle labbra carnose, colpendogli la testa con le mani. Si erano diretti in salotto e, imprecando tra bottiglie vuote e l’aria stagnante di fumo, erano entrati in camera da letto.
Li aveva sentiti gemere, urlare, insultarsi e poi amarsi.
Daniele era biondo, occhietti dolci e vispi, e ad Agnese piaceva. Non erano compagni di banco, lui stava seduto due file più avanti. Un giorno, in bagno, lei lo aveva abbracciato e poi gli aveva morso le labbra. Era l’unico bacio che conosceva. Lui era scappato urlando: “Ma sei matta? Mi hai fatto male!” Era allora che aveva capito che l’amore dei suoi genitori faceva solo dolore.
Come quei pezzi di vetro sul pavimento. Li aveva raccolti facendo attenzione a non tagliarsi. Una ciocca bionda si era liberata dal nastro e pendeva sopra la guancia insieme a una lacrima. Aveva aperto il secchio della spazzatura e buttato ciò che restava della torta. Poi, chiudendo il coperchio, aveva pensato che quella sarebbe stata l’ultima notte che avrebbe dormito nel suo letto.
IL NASTRO BLU - DANILO NUCCI
Era una prova che almeno una volta aveva fatto in ogni classe: “allora bambini per domani fatemi un bel disegno che rappresenti voi e la vostra famiglia”. Un esercizio banale per verificare l’attitudine di ognuno alle arti figurative. In tanti anni di insegnamento alle scuole elementari Gianna aveva visto di tutto. Eppure, quel disegno di Agnese l’aveva lasciata di sasso. Lei aveva un tratto molto sicuro, fin troppo maturo per i suoi otto anni, ma le figure che aveva disegnato erano inquietanti.
Lo sfondo era grigio, il centro del foglio era occupato dai suoi genitori che si tenevano per mano ma l’espressione dei volti era minacciosa e i loro sguardi orientati dalla parte opposta a quella in cui era raffigurata la bambina. Agnese si era rappresentata in un angolo in basso del foglio. Gianna aveva riconosciuto i suoi capelli biondi e i tratti più salienti del viso ma non c’era il minimo accenno a un sorriso. Che differenza con gli altri disegni dei compagni di classe, costellati di mani nelle mani, sorrisi, soli splendenti, cieli azzurri e prati fioriti!
Alla fine dell’anno sarebbe andata finalmente in pensione. Avrebbe potuto fregarsene ma non l’aveva mai fatto in tanti anni.
“Brava Agnese, sai disegnare benissimo. Guarda, fra qualche giorno è il tuo compleanno e ti voglio regalare questi”. La bambina aveva scartato con una certa emozione il pacchetto. “So che saprai usare bene queste matite colorate, ma dimmi, perché nel tuo disegno hai fatto il cielo così grigio?” Sapeva, per esperienza, che avrebbe dovuto evitare domande troppo dirette.
La bambina aveva avuto un attimo di esitazione e poi aveva risposto: “Avevo terminato il blu”.
“Ecco, ora ce l’hai. Per ricordartelo ti regalo anche questo nastrino di velluto blu per i capelli”
A questo pensava Gianna, quando suonò il campanello. Era tardi e prima di aprire guardò dallo spioncino. Spalancò la porta. “Che ci fai tu qui a quest’ora?”
IL NASTRO BLU - THE RAVEN
L’aveva fatta entrare, l’aveva fatta sedere sul divano-letto angolare del salotto, le aveva preparato una tazza di latte caldo.
“Come sei arrivata fin qui? Chi ti ha accompagnata?”
Il silenzio.
La maestra Gianna si specchiava in quegli occhi vuoti e inespressivi e ne leggeva l’abisso.
“Come fai a sapere dove vivo?”
Il latte caldo creava cerchi concentrici a causa delle mani che tremavano senza sosta.
I vestiti che Agnese indossava erano sporchi. Glieli aveva visti addosso ogni giorno, nell’ultima settimana. Solo il nastro blu, attorno al polso, era pulito.
Il panico iniziale cominciò, gradualmente, a lasciare il posto alla razionalità: “È evidente che questa bimba ha una situazione familiare difficile, è evidente che i suoi genitori non sono più in grado di prendersi cura di lei. Devo pensare a qualcosa, devo fare qualcosa che possa migliorare la sua vita”, diceva tra sé mentre la guardava sorseggiare il latte ormai intiepidito.
La razionalità aveva aperto le porte della rabbia.
Mentre pensava e rifletteva, e il sangue le pulsava nelle vene della fronte, le proprie mani, quasi come fossero staccate dal controllo del cervello, avevano già composto quel numero di telefono.
Uno, due, tre squilli.
IL NASTRO BLU - AKIMIZU
«Pronto» disse Luis.
C'era una vecchia sedia di legno accanto al telefono, sotto la finestra, e ci si lasciò cadere sopra.
«Ciao tesoro, come stai?»
«Ciao mamma,» allungò un braccio e spalancò la finestra. I boschi bagnati dalla pioggia recente brillavano sotto la luna, «è da un po' che non ci sentiamo.»
«Ho bisogno di un ultimo favore» mormorò sua madre.
«Era l'ultimo anche la volta scorsa,» ci fu del silenzio, eloquente. Poi, in sottofondo, si sentì la televisione. Delle risa, «ma il bambino è là con te?» chiese Luis, alzando la voce.
«È una bambina. E non l'ho portata io qua, non so come ha fatto, ma ci è arrivata da sola. È stato... il destino.»
«Il destino?»
Luis si ritrovò a sorridere. Il destino, certo. Sua madre aveva il vizio di aiutarlo parecchio, il destino, a compiere il suo dovere.
«È una situazione grave» la sentì bisbigliare.
«Mi ci vorrà qualche ora per scendere in città e... mamma?»
«Sì?»
«Distruggi il telefonino.»
Lasciò la Jeep vicino alla Metro. Nei bagni della stazione trovò l'indirizzo scritto sulla ceramica del secondo orinatoio. Lo cancellò per bene, si cambiò la giacca e i pantaloni, si avvolse le dita col nastro adesivo, stretto. Era meglio dei guanti, come aveva imparato durante l'addestramento in Israele. Si calcò un cappellino in testa e prese il treno. Scese al capolinea e si cambiò nuovamente. Parrucca bionda e barba. Spessi occhiali da vista.
L'ultimo tratto di strada, fino all'indirizzo che gli aveva indicato sua madre, lo fece a piedi.
Si ritrovò davanti a una casa anonima, con le imposte chiuse.
Non notò nessun vicino curioso. Non passavano auto.
Quando sollevò il braccio per suonare il campanello, la manica della giacca si ritrasse e scoprì il polso con un bel nastro rosso che lo avvolgeva. Sorrise, chissà di che colore era quello della bambina.
Il portoncino si aprì e una donna lo squadrò, annoiata. Aveva i capelli unti, un labbro tumefatto e puzzava di fumo.
«E tu chi saresti?» chiese.
«Sono il destino» rispose calmo Luis, colpendola al collo.
IL NASTRO BLU - ACHILLU
Agnese non capiva perché si trovasse in aeroporto.
La maestra le aveva comprato una fetta di torta al cioccolato; il profumo era buonissimo, ma l’unico boccone le si piantò come un sasso alla bocca dello stomaco.
Non due. Una sola valigia. Dentro c’erano le sue cose più amate, eppure l’avrebbe presa a calci se solo avesse trovato il coraggio e un angolo nascosto per farlo.
Gianna le tolse il nastro blu dai capelli e glielo annodò al polso. «Così non lo perderai.»
Agnese lo accarezzò.
Una giovane donna dalla pelle bruna e con la divisa rosso-bianco-blu era al loro tavolo; maneggiava nervosamente lo smartphone e beveva una bibita gassata.
La voce sintetica degli altoparlanti annunciò qualcosa di incomprensibile.
Gianna fece un cenno alla bambina.
Agnese la salutò. «Quindi se non ti vedo più vuol dire che muori?»
La maestra sorrise e scosse la testa. Le mostrò che indossava un nastro bianco identico al suo e ripeté una frase che diceva spesso. «Hai fiducia nel destino?»
Si abbracciarono per l’ultima volta. Agnese girò la testa diverse volte mentre la giovane con la divisa la portava via per mano.
Poco prima di una lunga fila di persone, l’accompagnatrice si mise a fare il ballo della pipì; la bambina si mise a ridere.
La giovane disse qualcosa di incomprensibile poi si accovacciò arricciando il naso. «Aspetta qui, ok?»
Agnese annuì; restò sola davanti al bagno delle donne stringendo forte la maniglia del trolley.
Un uomo con la divisa bianco-blu le si avvicinò.
«Ciao, Agnese.»
Lei non rispondeva mai agli sconosciuti.
Lui scoprì il polso: aveva un nastro rosso identico al suo. «Hai fiducia nel destino?»
La maestra le aveva comprato una fetta di torta al cioccolato; il profumo era buonissimo, ma l’unico boccone le si piantò come un sasso alla bocca dello stomaco.
Non due. Una sola valigia. Dentro c’erano le sue cose più amate, eppure l’avrebbe presa a calci se solo avesse trovato il coraggio e un angolo nascosto per farlo.
Gianna le tolse il nastro blu dai capelli e glielo annodò al polso. «Così non lo perderai.»
Agnese lo accarezzò.
Una giovane donna dalla pelle bruna e con la divisa rosso-bianco-blu era al loro tavolo; maneggiava nervosamente lo smartphone e beveva una bibita gassata.
La voce sintetica degli altoparlanti annunciò qualcosa di incomprensibile.
Gianna fece un cenno alla bambina.
Agnese la salutò. «Quindi se non ti vedo più vuol dire che muori?»
La maestra sorrise e scosse la testa. Le mostrò che indossava un nastro bianco identico al suo e ripeté una frase che diceva spesso. «Hai fiducia nel destino?»
Si abbracciarono per l’ultima volta. Agnese girò la testa diverse volte mentre la giovane con la divisa la portava via per mano.
Poco prima di una lunga fila di persone, l’accompagnatrice si mise a fare il ballo della pipì; la bambina si mise a ridere.
La giovane disse qualcosa di incomprensibile poi si accovacciò arricciando il naso. «Aspetta qui, ok?»
Agnese annuì; restò sola davanti al bagno delle donne stringendo forte la maniglia del trolley.
Un uomo con la divisa bianco-blu le si avvicinò.
«Ciao, Agnese.»
Lei non rispondeva mai agli sconosciuti.
Lui scoprì il polso: aveva un nastro rosso identico al suo. «Hai fiducia nel destino?»