Il tramonto stava dando il meglio di sé, con il sole basso sull’orizzonte che riempiva il cielo di mille sfumature di rosso e arancio e gareggiava invano con la sua tela effimera contro i colori caldi del fogliame del bosco sottostante.
Ma lo spettacolo sfolgorante non sembrava destare alcun interesse agli occhi dell’uomo.
Tutto si sarebbe presto spento nel buio della notte e ogni colore si sarebbe dissolto in anonime tonalità di grigio, fra le quali anche lui si sarebbe potuto confondere, mimetizzare, sparire per sempre.
Svanire era ciò che ora desiderava di più. Sperando che, insieme a lui, sarebbe sparito tutto quanto.
Sarebbe sparito il rosso denso che impregnava la manica sinistra del cappotto e che continuava a gocciolare nonostante la cintura legata stretta appena sopra la ferita.
Sarebbero spariti i tratti tesi del viso, distorti e scavati da smorfie ripetute di dolore, e che – ne era sicuro – non avrebbero mai più mostrato l’usuale gentilezza, l’allegria contagiosa, l’empatia istintiva, l’avida curiosità… tutte doti che molti bonariamente gli invidiavano, ma che forse lo avevano anche condotto fino a quel punto.
Un brivido gli risalì frettoloso la schiena, disperdendosi in un tremito per tutto il corpo stanco e indolenzito. E fu subito seguito da un pensiero, affilato e altrettanto gelido: un pensiero di rivalsa, di vendetta forse, un pensiero la cui forza ineffabile e sconosciuta sembrava capace di sostenerlo anche attraverso le prove più dure e frustranti che il destino poteva ancora mettergli davanti.
Prove insignificanti dopotutto, qualsiasi fossero state; quasi banali al confronto di ciò che aveva vissuto solo poche ore prima, quella mattina stessa, rientrando a casa con i caffè e i cornetti caldi per la prima colazione.
Lei era una donna problematica, una donna con un passato.
I servizi l’avevano affidata a lui in quanto funzionario federale, ma soprattutto per le sue doti caratteriali e la sua riconosciuta predisposizione per i rapporti umani.
Lisa era vissuta a lungo in un istituto governativo, dove si insegnava a ragazzi con attitudini particolari a sviluppare, controllare e usare i propri poteri.
All’età di vent’anni, le sue capacità incominciarono ad affievolirsi, fino a scomparire quasi del tutto, ma ritenendola potenzialmente in grado di riacquistarle conducendo una vita normale, fu deciso di affidarla a un tutore.
Lui l’aveva seguita, incoraggiata e assecondata nei suoi desideri con attenzione e con affetto.
Ben presto, tale affetto si trasformò in amore che, ricambiato, li portò al matrimonio.
La loro vita trascorreva semplice e serena. Stavano bene insieme, erano felici.
Poi, stamattina…
La rabbia gli ribolliva dentro.
Un senso di impotenza lo sopraffece.
Era stanco.
Si sentiva stanco, e il suo sangue continuava a gocciolare dalla manica del cappotto.
Doveva riposarsi.
Doveva scappare.
Doveva nascondersi.
Doveva farsi curare.
Doveva fare in fretta.
Aveva freddo, la notte era vicina, ombre inquietanti incombevano attorno a lui.
Non sapeva quali capacità avesse avuto Lisa, non aveva mai voluto indagare, né tantomeno era a conoscenza che avesse ripreso il controllo dei suoi poteri.
Certo era schiva, non amava frequentare gente che conosceva da poco, ma era comprensibile dato la vita che aveva condotto da adolescente.
Era difficile guadagnare la sua fiducia.
Lui c’era riuscito.
Adesso, però, aveva freddo. Era già buio, sentiva il vento muovere le fronde col suo fischio sordo.
Chissà che animali vivono in questo posto, chissà se il mio sangue che continua a gocciolare li attirerà. Chissà…
Si alzò con fatica dall’orlo del precipizio e barcollando si allontanò.
Riuscì a raggiungere una balza rocciosa, sedette con le spalle appoggiate a essa, poi stremato perse i sensi.
«Aspettami. Dieci minuti e sono da te.»
Tutto le era apparso chiaro, all’improvviso. Ricordava il lungo periodo passato nell’Istituto Gamma. Ricordava gli interventi a cui era stata sottoposta per l’inserimento di quei microsensori nelle mani e nel cervello.
Le avevano detto che soltanto una percentuale irrisoria della popolazione aveva le caratteristiche genetiche e le attitudini richieste, quei poteri naturali che, potenziati con le nuove tecniche, avrebbero permesso di conseguire risultati sconvolgenti. Terminata tutta la procedura, compreso il periodo di addestramento, lei e gli altri come lei avrebbero scritto una pagina nuova nel campo della diagnostica. Attraverso l’imposizione delle mani sul corpo umano avrebbero potuto definire con precisione tutte le patologie di un paziente. Ciò avrebbe significato la fine della maggior parte dei prelievi ematici, delle ecografie, delle tecniche radiologiche, delle TAC e delle risonanze. I sistemi sanitari di tutto il mondo avrebbero usufruito di questa rivoluzione, prestando servizi di diagnostica precoce a costi irrisori per la collettività.
Tutto procedeva come previsto, ma all’improvviso per lei era arrivato il blackout.
«Eccomi, Lisa! Da che parte si è diretto?»
«Di là, dottore. Vede? Ci sono tracce di sangue verso il sentiero.»
Seguendo le tracce intrapresero il cammino che si arrampicava tortuoso fra rocce aspre e cespugli irti di spine.
«Ma cosa hai combinato, Lisa?» Disse Emmenberger, con le mani nei capelli, mentre cercava di seguire ansimando il passo veloce della donna.
«Non potevo fare altro, dottore. È successo all’improvviso, ieri sera, mentre facevamo l’amore. Dopo tanto tempo, non avrei mai creduto che potesse accadere di nuovo. Ci abbracciavamo con tenerezza quando ho sentito gli impulsi. Lo accarezzavo in ogni parte del corpo e ovunque sentivo quelle scariche che si trasformavano in dati inequivocabili nel mio cervello. Metastasi diffuse. Incurabili. Mesi, forse settimane, di vita. Ho passato il resto della notte pensando a quello che avrei potuto fare. Come avrei sopportato di vederlo morire fra mille sofferenze, dopo tutto quello che aveva fatto per me? Questa mattina si è alzato ed è andato come al solito a comprare i caffè e i cornetti. Poi, abbiamo fatto colazione. Stava per uscire per andare al lavoro. Ho preso il coltello dalla cucina e l’ho colpito alle spalle con tutta la mia forza e tutta la mia disperazione, ma lui si è voltato e mi ha guardato… non dimenticherò mai quello sguardo. Non era paura, non era dolore fisico, ma incredulità, delusione. Poi, è riuscito a fuggire chiudendo a chiave la porta di casa dall’esterno. Quando sono riuscita ad aprire era sparito.»
«È stata una pazzia, Lisa. Dovevi chiamarmi prima… speriamo che non sia troppo tardi. Eccolo là, sotto quella roccia. Speriamo che sia ancora vivo!»
«Respira, dottore?»
Respirava a fatica. La ferita aveva smesso di sanguinare, ma non aveva un bell'aspetto.
«E ora?» chiese Lisa.
Una parte di lei continuava a sentirsi in colpa per quello che aveva fatto, la parte più debole, quella che aveva perso i suoi poteri e forse per anni li aveva tenuti a distanza, arginati in favore di una vita che rasentasse la normalità.
Ma poi c’era quell’altra Lisa, quella che aveva preso il coltello in mano e ora attendeva una risposta.
«Dobbiamo metterci in viaggio e sperare di arrivare in tempo.»
«Arrivare dove? E in tempo per cosa?»
«All’Istituto. Per provare a salvarlo.»
«Non c’è nessuno là che possa salvarlo, dottore. Lo sa anche lei.»
L’uomo scosse la testa. «La diagnosi non è tutto» disse. «È la parte meno importante.»
Gli chiese cosa intendesse. Ma Emmenberger la convinse a salire in auto. Non c’era tempo per altre spiegazioni. Avrebbe visto con i suoi occhi.
Si sistemò sul sedile posteriore, il corpo freddo del marito appoggiato contro il suo. Continuava a sentire le metastasi. La coltellata non le aveva certo rimosse. La coltellata aveva creato altri danni. Sentiva anche quelli. Sentiva la febbre avvicinarsi, l’inizio di un’infezione. Qualcosa che aveva creato lei.
Il dottore guidò tutta la notte e nessuno dei due disse una parola.
Alle prime luci dell’alba, deviò dalla statale lungo una strada nei boschi.
Lisa ricordò le sagome degli alberi, lo sterrato su cui sobbalzava l’auto, l’odore di resina che entrava dai finestrini. Le sensazioni di quando aveva lasciato l’Istituto Gamma, dopo il blackout, quando aveva perso i suoi poteri e le avevano offerto la possibilità di una vita normale, accanto a un uomo che non meritava. Una parentesi che era durata anni e che ora assomigliava alla vita di qualcun altro, una donna che non era lei, per cui la normalità era sempre stata un’illusione.
Il dottore fermò l’auto.
«Aspetta qui», le disse, poi scese e camminò fino all’ingresso.
Accanto a lei Andrea si agitò. La febbre era arrivata.
Dopo qualche minuto, vide il dottore tornare verso la macchina, seguito da due uomini. Presero di peso il marito e lo caricarono su una barella.
«Seguimi ora», le disse Emmenberger.
Percorsero un lungo corridoio, un tubo trasparente sospeso nel vuoto, seguendo i due uomini e la barella. Sotto di lei Lisa vide gli studi medici, le sale d’attesa, le camerate in cui aveva trascorso migliaia di notti a sognare tutti i mali del mondo agitarsi inquieti sotto le sue mani. E vide i giovani allievi, di ogni età: piccoli come era stata lei nei suoi primi ricordi e grandi, vicini all’età del blackout, quando la curiosità di crescere era diventata un ostacolo.
Attraversarono l’intero istituto e arrivarono a una porta. Lisa ricordava anche quella. Le avevano sempre ripetuto che oltre non c’era nulla, solo quel mondo dove, nonostante le loro abilità, la gente avrebbe continuato a morire.
«Andiamo via?» chiese a Emmenberger. «Mi ha portato qui solo per fare una passeggiata sul viale dei ricordi?»
Ma quando la porta si aprì, vide un altro corridoio, identico a quello che avevano percorso. Allora si voltò a guardare indietro e ripensò alle parole del dottore.
La parte meno importante.
«Sei pronta?»
«Per cosa?»
«Per guarire, Lisa.»
Si chiese se parlasse di lei. Se non fosse sempre stata lei, quella malata. Se la guarigione l’avrebbe riportata alla sua illusione di normalità.
Andrea si agitò sulla barella. La ferita aveva ripreso a sanguinare. Non aveva bisogno di toccarlo per sapere che era vicino alla fine.
Fece un passo oltre la soglia e vide altri come lei, che non erano più bambini, che avevano sperimentato il potere e lo avevano dimenticato e ora erano lì in cerca della parte migliore di loro.
«Questo posto ha un nome?» chiese.
Il dottore le sorrise, nonostante la stanchezza della notte passata a guidare.
«Abbiamo appena iniziato. Bisognerà trovarne uno, non credi?»