All’Istituto Ciechi di Milano un gruppo di persone attende di iniziare il “percorso al buio”. Tra i presenti c’è anche Giovanni, giornalista incaricato di scrivere un articolo sulla cecità, malattia che colpisce una parte significativa della popolazione mondiale.
Le luci si spengono. Dall’altoparlante una voce femminile dà il benvenuto, spiega il senso del cammino e invita i presenti a partire.
Il giornalista avanza con prudenza. È nervoso, avverte un forte disagio. Dopo pochi metri inciampa, perde l’equilibrio e cade per terra. Impreca, non vede l’ora di uscire.
Una mano stringe la sua, lo aiuta a rialzarsi.
«Sono Irene. Ricordi la voce che hai sentito prima? Era la mia.»
Un brivido attraversa il corpo dell’uomo. «Sono Giovanni, tutto ciò che è scuro mi terrorizza.»
«Scusa se mi sono permessa. Vieni, ti guido io.»
Il contatto tra le mani confonde il giornalista, nemmeno al buio riesce a nascondere il proprio imbarazzo.
«Rilassati Giovanni. Concentrati sul profilo di ciò che tocchi e prova a distinguere gli odori e i profumi. A differenza di tante persone cieche, ho imparato ad apprezzare l’oscurità; in fondo, non è altro che il risultato dell’assenza della luce. Riempio questo vuoto a mio piacimento, scelgo ciò che mi regala sicurezza e piacere, coloro il mondo con le tinte che preferisco. Da creatura mi trasformo in creatore: non è stupendo?»
Il giornalista non riesce a parlare, a commentare le parole di Irene. Dopo alcuni minuti il percorso viene completato.
«Siamo prossimi all’uscita, ti devo lasciare. Ciao Giovanni.»
Ritornato nell’atrio l'uomo attende, invano, Irene per ringraziarla e soddisfare la propria curiosità. Deluso, dopo avere recuperato i suoi effetti personali, ritorna nella sede del giornale.
Per tutta la settimana un pensiero costante tormenta l’uomo: si chiama Irene. Desidera collegarla a un volto, a un corpo, ma non ha il coraggio di andare a cercarla. La immagina con i capelli neri e fluenti, il fisico longilineo, le labbra carnose. Resterà per sempre una musa, che gli regalerà tanti sospiri attraverso il ricordo della sua voce.
Un movimento all’ingresso della redazione desta la sua attenzione.
«Il suo ufficio è il primo a destra.»
Il rumore di un bastone risuona nelle orecchie del giornalista. Una donna con un cappotto nero e gli occhiali da sole apre la porta.
«Sono Irene, ti ricordi di me? Ho letto il tuo articolo, scrivi bene, complimenti.»
Giovanni è immobile, in contemplazione.
«Per caso sei libero stasera? Tranquillo, non ti mangio, desidero solo parlare e conoscerti.»
«Buongiorno Irene. Veramente ho già un impegno. Meglio domani.»
«Domani è un altro giorno, non sono abituata a rimandare ciò che posso fare oggi. Peccato.»
Il giornalista è combattuto. Riflette, lotta con sé stesso.
«Ti va di farmi compagnia per pranzo? Conosco un posto carino e manca poco a mezzogiorno.»
«Esci con una cieca vestita di nero: non è troppo per te?»
Giovanni si alza e abbassa le tapparelle. Poi spegne la luce, si avvicina a Irene e le stringe le mani.
«Mi aiuti a vedere al buio? Ho aperto gli occhi e ho scoperto di essere cieco.»