Il mio primo giorno di lezioni all’università era finito e mi sentivo frastornato da tutte le nozioni accumulate; però mi sentivo addosso l’entusiasmo della novità e non vedevo l’ora di sistemare gli appunti.
Attraversai veloce il corridoio al terzo piano del collegio ma mi bloccai davanti alla porta della camera: era accostata. Il cuore mi saltò in gola. Sapevo che, prima o poi, avrei dovuto conoscere il mio compagno di stanza; ecco arrivato il momento! E non mi sentivo pronto.
Guardai a terra: Ma che mi sono messo stamattina? Le Converse con i pantaloni? Chissà cosa penserà… aiuto! Infilai la polo dentro la cintura, poi la tolsi di nuovo. No, sta meglio fuori. I capelli! Oddio, chissà che casino… I libri in mezzo alle gambe, le dita a pettine per sistemarli a memoria, ma giusto una scusa per prendere un altro po’ di tempo. Un sospiro profondo e, alla fine, aprii.
Era seduto sul davanzale della finestra con una gamba penzoloni e si girò verso di me. Mi sforzai di guardarlo negli occhi per non sembrare maleducato; non volevo che pensasse chissà cosa se gli avessi fissato i dreadlock arcobaleno o i jeans strappati.
«Beh?»
In tutto quel marasma di pensieri ero rimasto imbambolato. «Ciao, sono Piero.» Stesi il braccio e feci un paio di passi avanti verso di lui.
Tirò su la destra e guardò la sigaretta; l’appoggiò con cura sul davanzale, si pulì la mano sulla felpa e ricambiò il saluto quasi senza stringere. «Ross.» Si appoggiò di nuovo allo stipite e aspirò un’altra boccata, soffiando il fumo verso il cortile.
Non sapendo cos’altro dire, appoggiai i libri sul letto e andai a chiudere la porta.
«Ah, sei la matricola che abita qui?»
«Sì.»
«Quello è il mio letto.»
«Scusami, non lo sapevo. Mi avevano detto che…»
«Adesso scambi le lenzuola.»
«Ok, lo faccio subito.» Aprii l’armadio per cercare una tuta; trovai una sorpresa.
«Ho spostato la tua roba, quello è il mio.»
«Scusa.» Scacciai dalla mente l’immagine disgustosa di un estraneo che aveva toccato i miei vestiti. Aprii l’altro armadio ed estrassi qualcosa dal mucchio informe che Ross aveva creato.
«Dove vai?»
«A cambiarmi.»
«Non devi rifare i letti?»
Dammi tregua, per favore! «Faccio presto.»
«Mm!»
Anche in bagno tutte le mie cose erano state spostate. Ero stato attento a prendermi la metà esatta di tutti gli spazi disponibili, ma evidentemente mi ero preso la metà sbagliata.
Tornai in camera e rifeci i letti. Ross rimase tutto il tempo seduto sul davanzale, apparentemente disinteressato.
«Ho finito.»
«Vuoi una sigaretta?»
«Non fumo, grazie.»
«Come vuoi.» Scese dalla finestra e controllò il letto. «Sei stato bravo. Adesso vieni in atrio a giocare.»
«Preferisco sistemare gli appunti.»
«Non era una domanda. Vieni giù con me, matricola!» Aprì la porta e attese sulla soglia.
Rimasi pietrificato. Mi avevano detto che c’erano goliardia e nonnismo in collegio, ma “acqua di rose rispetto a ciò che succedeva una volta”. Poi si erano divertiti a raccontarmi episodi assurdi di venti o quarant’anni prima; non so se veri o inventati, ma erano riusciti a terrorizzarmi.
«Allora, ti muovi?»
Mi feci coraggio e m’incamminai. Scendemmo le scale. In atrio c’erano già alcune matricole, allineate contro il muro in silenzio, mentre ragazze e ragazzi degli altri anni vociavano e ridevano. Ross mi accompagnò al muro e poi si mischiò nel gruppo.
Fecero l’appello per controllare che ci fossimo tutti. Quando toccò a me, qualcuno disse: «Tira fuori la voce, matricola! Non ti sento!»
Non ero abituato a parlare a voce alta, ma ci provai: «Comandi, signore!» Andò bene. Una ragazza venne invece bersagliata da diversi «Parla più forte, matricola!» mentre gli anziani ridevano. Ringraziai il cielo che non fosse toccato a me.
Presero alcuni dei più robusti e li fecero lottare tra di loro. Meno male che ero mingherlino e non scelsero me. I perdenti vennero portati in cortile e bersagliati di gavettoni.
Poi ci fecero correre cantando la marcia di Topolino; al termine della gara arrivò un altro gavettone, che colpì anche me. L’acqua era fredda, ma fu anche una benedizione, perché così avrei potuto tornare in camera.
Una ragazza mi fermò: «Dove vai, te? Sei ancora asciutto. Torna in cortile.»
«Lascialo andare, non vedi che ha mezza tuta zuppa?» Era Ross.
«Eddai, ma se è bagnato solo di striscio? Se tornano tutti di sopra finisce il divertimento.»
«Lui è la mia matricola e decido io che è zuppo, ok?»
«Ok, ma che palle, Ross!» Poi, rivolgendosi a me: «Te, va’ via, va’!»
«E ricordati di asciugare, che non voglio vedere acqua per terra quando torno in stanza!» aggiunse Ross.
Annuii.
«Come hai detto? Parla più forte, matricola!»
«Sì, signore!»
Strizzai la tuta prima di rientrare in atrio e mi tolsi pure le scarpe, ma c’era acqua dappertutto, anche per i corridoi fino al terzo piano. Buttai la roba bagnata dentro il bidè e, non avendo altro a disposizione, presi la mia polo usata per pulire il pavimento. Quando ebbi finito di stendere, mi fiondai sotto la doccia; ah, che piacere caldo!
Episodio 2 - Hellionor
Non mi sentivo a disagio più di tanto, non mi sentivo toccato emotivamente o scosso. Quello che era capitato in cortile era ben poca cosa rispetto al sentirsi estraneo ogni giorno della propria vita.
«Eccolo qui, il nostro nipote eccentrico». Così mi apostrofava mia nonna, e avevo solo nove anni.
«Precoce anche a cagare il cazzo». Ribadiva mio padre, con quel linguaggio volgare che lo faceva sentire più virile.
Ero abituato a essere messo in disparte, a sentirmi a disagio anche quando non sarebbe stato il caso, a capire quando non mi si voleva intorno.
Le prospettive con il mio compagno di stanza non mi sembravano le migliori, ma tutto sommato non mi importava. Certo, ci avrei tenuto a fare bella impressione, ci avevo anche provato, ma non potevo fare molto più dell’essere quello che ero.
Lo avevo imparato in famiglia. Mi volevano bene, certo, e io lo sapevo e lo sentivo.
Ma non riuscivano a capirmi. Non ero ingenuo. Lo sono su tante cose, sui rapporti interpersonali, sulle dinamiche che muovono le relazioni, sulle donne e sull’amore, ma non sulla mia famiglia. Loro per me non hanno segreti.
In quinta elementare avevo portato a casa una serie di brochure sui collegi migliori per formare il carattere di un ragazzo dell’epoca moderna. Su uno era scritto proprio cosi: “tra le nostre mura i vostri figli diventeranno uomini di carattere pronti ad affrontare l’epoca moderna."
Loro non mi volevano tra i piedi e io non volevo stargli tra i piedi. Nessuno però mi avrebbe mandato via. Ovviamente.
Però le brochure le avevo portate io.
E se era una scelta mia, chi erano loro per impedirmi di fare quello che avevo piacere di fare?
Da quando avevo cominciato le scuole medie la mia vita era passata da un collegio all’altro, con compagni che pativano la situazione e poi io, che invece mi godevo l’idea di non essere messo ogni giorno a confronto con quei super ragazzoni dei miei fratelli e cugini, a non sentirmi a disagio perché mi piace leggere (orrore per mio padre) e mi piace studiare (orrore per i miei fratelli e cugini).
Alle volte ho stretto amicizie alle volte no. Non è mai stato un problema.
Mentre lavavo i denti dopo la doccia, aprii per sbaglio lo stipetto del bagno che ormai era diventato quello di Ross.
Riconobbi al volo la Sertralina, e qualche altra confezione che mi riservai di controllare dopo.
Quando finalmente uscii dal bagno, Ross era seduto alla scrivania.
«Oh finalmente, matricola. Pensavo che avessi deciso di trasferirti in pianta stabile nel bagno. Non te la sarai presa per il cortile?»
«Ma figurati. Sono ancora frastornato dal posto nuovo, ma mi abituerò in fretta».
Mi fissò per un lungo istante, e poi abbassò il capo con un cenno soddisfatto.
«Alle sette e mezza cominciano a servire la cena alla mensa. Se ti va, ti accompagno, così ti faccio vedere come funzionano le cose. Per oggi gli scherzi alle matricole sono finiti, ricominceremo domani, se te lo stavi chiedendo».
Mi sfuggì un sospiro di sollievo. Avrei finalmente potuto sistemare gli appunti della prima giornata di lezione.
Episodio 3 – Albemasia
In realtà me la sarei cavata benissimo anche da solo, non era certo la mia prima esperienza in una mensa studentesca quella, però accettai volentieri l’offerta di Ross, soprattutto perché ero pur sempre una matricola e girare per il collegio in compagnia di uno del terzo anno rappresentava un ottimo lasciapassare.
A quell’ora il locale non era molto affollato e dopo una breve fila ci sedemmo con i nostri vassoi a un tavolo non ancora occupato.
«Dimmi un po’, com’è che sei finito qui? Hai una borsa di studio o i tuoi hanno un sacco di grana?» mi domandò lui a bruciapelo. Poi, prima di darmi il tempo di rispondere, esclamò:
«No, non dirmelo: sei un raccomandato!» e simulò una smorfia di indignazione, prima di dedicarsi con entusiasmo al piatto di penne al ragù che aveva davanti.
«Raccomandato io? No, figurati», replicai con un ghigno scrollando la testa. «Borsa di studio», ammisi.
Subito dopo però, ansioso di cambiare argomento, feci un cenno ai suoi dreadlocks colorati, dicendo:
«Il tuo look è pazzesco. Mi piacciono un botto».
Ero certo che Ross avrebbe abboccato e infatti replicò con orgoglio:
«Ci sono voluti anni per averli così lunghi. Il colore, invece, è stato un’idea della mia ragazza. Cioè della mia ex…» aggiunse, rituffandosi nel piatto di pasta.
In quel momento la manica della felpa risalì sul suo avambraccio, lasciandogli un lembo di pelle scoperta e quello che vidi mi fece sussultare. Ross se ne accorse e si aggiustò subito la manica, ma l’imbarazzo durò appena un attimo, perché in quel momento ci raggiunse la stessa tipa che quel pomeriggio ci aveva dato dentro coi gavettoni.
«Eccoti qua», disse appoggiando una mano sulla spalla di Ross.
«Ciao Vale», la salutò lui.
Vista da vicino sembrava ancora più alta e ossuta di come mi era apparsa nell’atrio. Aveva capelli biondo cenere che le spiovevano sul viso spigoloso e esibiva diversi piercing al naso e al sopracciglio. Indossava un maglione oversize che le copriva le mani dalle unghie lunghissime e decorate. Sembrava mangiarsi Ross con gli occhi.
Poi si rivolse a me in tono ironico: «E tu matricola, non avrai sempre la tua guardia del corpo a guardarti le spalle. Nei prossimi giorni ci penso io a te.»
Io non risposi alla provocazione e tenni la testa sul mio piatto, mentre lei continuò la conversazione con Ross. Ma da quel momento sentii che la fame mi era passata.
La lampada della scrivania gettava un cono di luce giallastra sui miei appunti, ma io continuavo a tormentare la matita tra i denti, senza riuscire a concentrarmi.
Nonostante la stagione ancora calda, mi ero accorto che il mio compagno di stanza indossava sempre una felpa o una maglia a manica lunga. Quello che avevo visto sul suo braccio forse era il motivo di quel look così insolito per la stagione: sull'avambraccio diverse cicatrici risaltavano chiare in contrasto con la pelle nera di Ross ed erano rivelatrici di sottili tagli obliqui. Ero certo che non si trattasse di graffi casuali, né di un tentativo di suicidio: non ne avevano né la profondità, né l’angolazione.
Ma quello che mi aveva sorpreso era che alcuni segni erano recenti.
Era chiaro che Ross si tagliava.
Ora mi spiegavo la Sertralina nell’armadietto del bagno e tutti gli altri farmaci: il mio compagno non solo aveva un problema, ma ne aveva uno bello grosso!
E io di quel tipo di problemi ne sapevo qualcosa.
La porta della camera si aprì e Ross entrò, salutandomi con un cenno del capo. Senza parlare andò in bagno e dalla porta che aveva lasciato aperta lo vidi aprire lo stipetto ed estrarre qualcosa.
Poi con due falcate me lo ritrovai davanti che mi fissava, reggendo una boccetta di vetro che mi agitò davanti. Le compresse al suo interno tintinnarono con un suono cristallino.
«Scommetto che hai pure ficcato il naso tra le mie cose, vero?»
Negare avrebbe solo peggiorato la situazione, quindi scelsi di stare zitto.
«Mi sono accorto che mi fissavi il braccio prima, giù alla mensa. Non sai farti i fatti tuoi?» incalzò lui.
«Ross non è così, credimi…» tentai di giustificarmi. «Comunque stai tranquillo, non lo dico a nessuno», aggiunsi per rassicurarlo.
«Sai cosa me ne frega!», replicò lui voltandomi la schiena in un improvviso moto di stizza.
«È vero, ho riconosciuto il flacone quando l’ho visto sulla mensolina», riconobbi.
«E ti sei messo a curiosare in giro per sapere come mai mi impasticco, vero?» La sua era una voce ferita.
«Non ne ho avuto bisogno… Conosco bene quel farmaco. Lo prendevo anch’io», ammisi con una certa riluttanza.
Ross si voltò: lo sguardo che mi lanciò aveva perso ogni traccia di ostilità. Ora il suo volto aveva assunto un’espressione di stupore misto a curiosità.
Ultima modifica di Albemasia il Mar Set 17, 2024 9:07 pm - modificato 1 volta.