Inizio ringraziando lo staff: io sono una dei tre che ha sforato di qualche ora la consegna, tanto che, dopo la mezzanotte, come fa la proverbiale volpe con l’uva, continuavo a ripetermi che poi, tanto, l’importante era stato cimentarmi con qualcosa di inedito per me, scrivere comunque il racconto, che poi tanto avrei partecipato al prossimo step. Insomma, tante belle storielle perché invece mi scocciava tantissimo esserci quasi arrivata e avere mancato l’obiettivo per poche ore.
Ho dovuto comprimere in fretta e furia un racconto, che alla fine è di 15.000 battute, in 12.000; da qui tanti dei problemi che giustamente mi sono stati fatti notare, ad esempio lo stile “sincopato”, come lo ha chiamato Akimizu, che è un po’ una mia caratteristica ma che, in questo caso, è certamente stato esasperato dalla necessità di tagliare caratteri.
Per tagliare battute ho anche eliminato poi dimenticato di inserire di nuovo (perché alla fine avevo ancora a disposizione 7 o 8 battute) un “già” in questa frase: “si affrettarono a riallacciarsi i calzoni mezzo calati” che era nata come “si affrettarono a riallacciarsi i calzoni già mezzo calati”; farlo, avrebbe eliminato l’ambiguità, se Teresa fosse o no stata violentata; no, non lo è stata, don Giuseppe arriva in tempo.
Mi allaccio qui al commento di Antonio Borghesi:
"cosa le costa farci divertire un po'". Terribile! No non è sgrammaticata è un'idea maschilista orribile. Mi ha posto il problema su chi scrive: penna maschile o femminile? Mi viene spontaneo credere nella seconda ma se fosse la prima... vero che la dice il personaggio ma la penso lo scrittore”.
Questo è uno di quei casi in cui ci si sente davvero travisati: è proprio questo che colpisce Teresa e la spinge poi a rivolgersi a don Giuseppe; lei ha vissuto una vita in cui gli uomini non hanno fatto altro che pensarla come qualcuno a cui potere fare ciò che si vuole, è abituata a maschi che non vedono in lei una persona, ma qualcosa con cui togliersi una voglia. Don Giuseppe la tratta e la fa sentire come una persona, per questo la colpisce. Era questo che volevo emergesse: che don Giuseppe vede in lei un essere umano e come tale la tratta. La via Emilia tra Faenza e Imola è piena, la notte, di ragazzine sul bordo della strada, e io, quando passo in macchina, non posso non chiedermi cosa pensi o non pensi un uomo che si ferma, con tutto quello che oggi sappiamo sul traffico di schiave.
Ed ecco, SuperGric, la ragion d’essere di questo passaggio: Teresa capisce che don Giuseppe è un uomo a cui potere chiedere aiuto; quando si trova in difficoltà, pensa a lui.
Grazie per avermi fatto notare questo: “Quel "‒ Era vivo, quando l’avete lasciato?" che Don Giuseppe chiede a Teresa è una domanda che messa lì non ha molto senso e spiazza il lettore.” Nella mia testa il passaggio era chiarissimo invece, rileggendolo, in effetti mi sono resa conto che non lo è per chi legge, così, nella versione definitiva, ho modificato la battuta.
Sono d’accordo con tutti quelli che hanno rilevato qualche mancanza di spiegazioni: ho dovuto veramente ridurre all’osso.
E, sì, il titolo è davvero piatto e anonimo, ma dovevo consegnare e non mi veniva altro, quindi ho pensato che fosse meglio consegnare con un brutto titolo piuttosto che non mandarlo.
Fante, a tirare fuori la spada è solo don Giuseppe, non vengono nominate le armi degli assalitori.
Paluca66, per quanto riguarda le virgole:
“Visto che scrivi così bene, ti invito a controllare meglio l'uso della punteggiatura, soprattutto delle virgole: ad esempio in questo passaggio
‒ Nulla di che. Sa, per passare il tempo… stiamo aspettando di sapere cosa farne, di lei… ‒ sghignazzò uno.
‒ La signorina è libera. Riferirò all’arcivescovo quanto è successo.
Il ghigno dell’uomo si incupì: ‒ Vediamo di non farla grave: lo sapete, lei cos’è. Cosa le costa, farci divertire un po’?
Dopo "cosa farne" la virgola non va; "lo sapete lei cos'è" senza virgola; "Cosa le costa farci divertire un po'" senza virgola.”
Prova a leggere il testo ad alta voce, con le pause date dalle virgole, poi rileggi il testo senza le virgole: ti accorgerai che le intonazioni cambiano. Poi, certo, io sono della generazione cresciuta con un mucchio di virgole, mentre oggi si tende a eliminarle, per rendere più lineare il discorso (ad esempio, anche la virgola che ho appena messo dopo “eliminarle” oggi non viene più percepita).
Nessuno – non so se perché non sono stati visti o per gentilezza – ha rilevato i due veri errori formali che ci sono: “Siete un brava persona”, rimasto da un precedente “siete un brav’uomo” e “Anche a me alcuni uomini disgustano”: “disgustare” regge il complemento oggetto, non il complemento di termine, ma la frase suonava comunque così bene che non ho notato l’errore fino all’ennesima rilettura, un paio di giorni fa. L’ho corretta nella versione definitiva.
Ringrazio veramente tutti per i commenti: tutti mi sono stati utili per dare una ritoccata al racconto, nella sua versione da 15.000 battute.
Grazie CharAznable: non conoscevo il capitan Alatriste, ma mi sembra un personaggio interessante, dalla sbirciatina che ho dato su Amazon.
Ringrazio per le belle parole, i complimenti e il gradimento generale con cui avete accolto questo racconto, forse quello che più mi ha fatto penare e soffrire: ero sicura che non sarei riuscita a scrivere niente, di sicuro niente di buono; un giallo… mai scritto un giallo in vita mia (e credo che un po’ si veda)… poi con tutti quei paletti… Già mi ha stupito arrivare a scrivere qualcosa, che poi sia anche piaciuto…
Confesso che, questa volta, ho anche sentito molto la pressione da confronto: in questo forum circolano dei pezzi da novanta, che sapevo avrebbero tirato fuori magici conigli dal cappello, dato anche il taglio storico dei racconti; ho girato per giorni per casa mormorando a mio marito “no, no, questa volta proprio non ce la faccio… lascio perdere… che ci provo a fare, tanto…”.
Invece i paletti alla fine mi hanno fatto produrre e sono davvero contenta di avere avuto la possibilità di partecipare a questo step, mi sono divertita.
Grazie a tutti e grazie in particolare allo staff, anche e soprattutto per il lavoro “aggratis” che si sobbarca.