Rumori e voci
Sbam! Quel carcere era claustrofobico, non c’era illuminazione dall’esterno, il ronzio di un neon guasto s’insinuava nella mente. La stanza d’aspetto era grigia e opprimente, carica di qualcosa, come una antica spingarda con polvere da sparo pigiata, pronta a proiettare il pallettone e a far fumo di cordite. Odiose porte e portoni che sbattevano, violente scudisciate dirette al cervello. Chiacchiericci lontani e fastidiosi, l’assurda e intempestiva telecronaca di Paolo Valenti da una radiolina transistor, uno sbadiglio lungo e incontrollato. Quel neon, maledizione, non smetteva. Rumori e voci, la sua vita scandita dai rumori e dalle voci.
Li ricordava quei momenti, quegli eventi storici e privati che si sarebbero incrociati, era ancora ragazzino. Quel giorno, il 16 marzo 1978, in aula arrivò il preside, il volto pallido, lo sguardo severo, preoccupato. Ezio non lo conosceva quasi, durante l’anno scolastico in corso era entrato in classe solamente il secondo giorno per dare un frettoloso benvenuto. I presidi sono di un altro mondo, di altra specie, ci sono per cose gravi, come quando vai al loro cospetto col capo chino e insieme alla maestra che ti contesta qualche grava mancanza. Quel giorno era accaduto qualcosa d’altro, più serio, era li a darci precise istruzioni. Ricordava anche bene le parole, col tempo le aveva analizzate, scomposte, ricomposte. Erano parole del peso dei rumori. Sbam!
- A Roma…scusate un attimo –
la voce tremolante, si soffiò il naso che non gli colava, un gesto in cui rifugiarsi per prendere tempo e far tornare salda la voce.
- E’ stato sequestrato il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. La scuola chiude ora e resta chiusa per tutta la settimana. Ora tornate tutti a casa dalle vostre famiglie, senza fermarvi. Non si sa cosa stia veramente accadendo in Italia dunque, ve lo ripeto, non fermatevi per strada e raggiungete la casa dei vostri genitori o di persone di cui avete piena fiducia. - Sbam!
Rumori, voci. Dentro l’autobus i rumori erano più forti quel giorno. Nessuno dentro quel mezzo pubblico parlava e senza il vociare rumori e paura aleggiavano nell’aria, negli spazi angusti, tra corpi pigiati e in equilibrio precario, tante mani attaccate alle sbarre e alle staffe. Il mondo non si fermò, la città e le sue strade non rallentarono, diventarono però grevi, patinate d’irrealtà. Non sapeva esattamente chi fosse Aldo Moro, non capiva nulla di politica, si stava appena formando un’idea di società che travalicasse la famiglia. Aveva solo capito che era accaduto qualcosa di pericoloso. Ezio non obbedì al preside, sapeva che a casa non ci sarebbe stato nessuno a quell’ora. Andò al campo di calcio della parrocchia, non c’era nessuno. Cercò altri dentro gli spogliatoi ma non c’era nessuno. Su una panchina c’era un fumetto erotico, si sedette a leggerlo, si eccitò, aveva da poco scoperto la masturbazione e ci pensò, infilò la mano ad accarezzarsi. Poi si allarmò, dal silenzio cominciò a intendere qualche rumore lontano, da dietro gli pareva di essere squadrato da incorporee presenze. Ascoltò e giusto intese un bisbigliare senza senso, proveniente da chissà quale dimensione, da chissà quale inferno, e ancora si sentì osservato. Non c’era nessuno, quei rumori, quei bisbigli venivano certamente dai morti, da qualche spirito inquieto, dannato. Così pensò, non seppe dare una spiegazione logica, nemmeno pensò a qualche altra possibilità. Bisbigli di morti, anime scrutanti, l’avevano visto con la patta dei pantaloni aperta. Fuggi spaventato, si rifugiò nella cappella e si prostrò ai piedi dell’urna che custodiva il corpo del Padre Santo. Non c’era nessuno, pregò forsennatamente, pregò dalla paura, fece voti redimenti. Quando si calmò le voci e i rumori inspiegabili erano spariti.
Da allora viveva con la paura che potessero ritornare. Da allora capì che doveva rifugiarsi nell’ambiente che più l’avrebbe protetto. La sera stessa disse ai suoi genitori che voleva andare in seminario e diventare Frate, e così fece. Non li aveva più sentiti quei bisbigli, quelle voci erano sparite, i fantasmi annichilivano in terra consacrata, per anni si era convinto di essere al sicuro.
Eppure la sera della sua consacrazione, dopo tutto quanto accaduto, dopo quella enorme disgrazia, nella sua cella risentì quei bisbigli. Era mezzanotte, tutti i confratelli dormivano, era quell’ora quando i muri del suo rifugio erano scuri d’ombra e rilasciavano il gelo della pietra, tremolanti di candela, col fumo dell’incenso ormai stordente che lentamente moriva nel fornellino di terracotta. Gi unici suoni erano quelli emessi da una civetta, unica e poco serena testimonianza dell’esistenza di un mondo pronto a fagocitarti.
Erano trascorse ore frenetiche, drammatiche, umilianti. Il Vescovo non disse nulla a Ezio. Dopo lo spavento, appena gli fu permesso, ordinò ai sacerdoti anziani del convento di riunirsi nella biblioteca e li stettero chiusi per cinquanta minuti, uscendone più severi e preoccupati di quando ne erano entrati. Padre Ezio non fu invitato in biblioteca. Nel chiostro, nella cappella, nelle aule, ovunque cercasse un rifugio, i suoi confratelli, che facevano a gara per incontrarlo e indagarlo, per rubargli qualche frase, fecero finta di essere addolorati per lui, così lui pensava. Credeva di percepire quella falsità, quella crudeltà, ne era annientato. Poche ore prima era un novizio da ordinare sacerdote, il coronamento di un percorso di sacrifici, un momento dal profondo significato morale che lo avrebbe dovuto elevare a privilegiato, sacerdote e giovane promessa all’interno di una Chiesa che lentamente agonizzava. Ora era un paria dentro una prigione a contatto coi suoi carcerieri, un inquisito nell’anima, una fonte di malizioso chiacchiericcio da petulante congrega. Quegli sguardi bruciavano, anche se non diretti, seppur vigliaccamente lanciati dietro le spalle, di sbieco dal capo chino, quantunque maldestramente nascosti, si…bruciavano.
All’inizio si disse che era una prova, che Dio volesse temprarlo. Poi scivolò nel pessimismo, nel dolore. Pensò che il Signore volesse punirlo nel peggiore dei modi, per aver pensato di possedere tanto Silvia quanto Sorella Maria, tanto quando si prostituiva, la bagascia, quanto dopo che la convinse ad andare in convento, con quel pensarla con la tonaca sollevata, con la sua mano tra le cosce, a conoscerne il sesso rorido, con la pelle accapponata.
Poi subentrò quello stadio vicino alla prostrazione, quello stadio che diventa depressione quando persiste, quando diventa ciclico. Rifletté sulle sue responsabilità, sapeva che nel percorso d’amicizia tra loro due non ci aveva mai veramente provato a possederla, ma si era ritagliato per lui quella bella sensazione di potenza e grandezza che appartiene all’uomo quando la donna è innamorata di lui, e lasciava cadere le briciole del pane affinché Sorella Maria non perdesse mai la strada della vagheggiata passione per lui. Sapeva che nella mente di lei, perché decidesse di comportarsi così come aveva fatto il giorno della sua ordinazione a sacerdote, in quello che aveva voluto creare, per quel rapporto malato e dipendente, per quella nuova schiavitù a cui l’aveva ridotta, con cui aveva sostituito l’eroina, stava la chiave per interpretare il tutto, a cosa importavano le sottigliezze e i sofismi in questo caso? Stava pensando a Silvia, a quell’abbigliamento da bagascia di quando l’aveva conosciuta, a quell’abbigliamento da bagascia con cui, la bagascia, aveva osato presenziare al suo ordinamento. Ricordava l’eccitazione che lo pervase quando per la prima volta le intravide le fuggevoli nudità. Si toccò, almeno quello doveva essergli concesso, rinunciava alla donna ma non alla sessualità, ci aveva pensato molto in quegli anni, così aveva risolto. Si stava toccando per l’eccitazione, ma anche per protesta, per sfida, per disobbedienza e rancore nei confronti del suo Dio assente in quel giorno di consacrazione, in quel giorno divenuto drammatico. E nel toccarsi in silenzio, fu li che dopo tanti anni si sentì di nuovo osservato, che gli giunsero di nuovo quei bisbigli ansanti di anime dannate, quei rumori e gemiti dal nuovo inferno. Il convento, la terra consacrata non valevano più nulla, non avevano più effetto, forse non l’avevano mai avuto. Dio non l’aveva mai protetto, si era illuso. La sua vita non aveva più un senso, un significato, non aveva più una missione. Non lo decise lui, glielo continuarono a ripetere quei bisbigli che non smisero nemmeno quando, atterrito, con le mani, con ansia e disperazione, si tappò le orecchie, quando pianse strappando con dolore alla propria gola le note del lamento, se qualcuno lo sentì non è dato saperlo. Sbam!