Cara Daniela, come stai?
Ti scrivo che è quasi mezzanotte.
Gianluca, in camera, sta dormendo e io, per non dargli fastidio con la luce, ti sto scrivendo dal bagno, seduto sulla tazza.
Non è certo una bella immagine o la posizione più comoda, ma mi arrangio e poi, pur di scriverti, mi metterei anche a testa in giù.
Perdonami se non l’ho fatto prima e non perché non ti abbia pensato ogni giorno, ma sono state giornate pesanti.
Ieri è arrivato il pacco. Augusto l’ha lasciato in portineria e non ho potuto salutarlo. Ringrazia mamma per tutte le cose buone che mi ha mandato. I biscotti, la salsa e la crostata con la marmellata d’uva.
Mi hanno trasferito in un’altra filiale, dopo la rapina hanno detto che era meglio cambiare aria.
Nella vecchia sede non ero simpatico, molti colleghi erano convinti che fossi raccomandato e che la morte di papà fosse stata la scorciatoia per non fare la gavetta.
Ti rendi conto? Come se lasciare tutto per trasferirmi in una città più grande, sia stato un gioco da ragazzi. Certo, posso lavorare e allo stesso tempo andare all’università, ma continuo a pensare come e quanto siano cambiate le nostre vite.
La polizia mi ha interrogato di nuovo. Volevano sapere se mi fossero venuti in mente altri particolari, anche insignificanti.
Io ho ripetuto le stesse cose, che erano in tre, armati, due uomini e una donna. Mi hanno puntata la pistola e, se la signora non avesse urlato e non fosse passata una pattuglia, avrebbero preso i soldi della cassa.
Era gente inesperta, magari per loro era la prima rapina. Questo spiegherebbe perché, appena vista la polizia, siano fuggiti.
Ne gira parecchia, specialmente in questo periodo, per controllare i cortei e i disordini in città.
Scusa se ti parlo ancora di questo, ma non saprei con chi farlo. La mamma si preoccupa troppo, solo con te posso tirare fuori le mie paure.
Se solo immaginassi quanta forza mi dai, sorellina.
In banca mi chiamano il cassiere studente. Se tutto va bene, potrei riuscire a laurearmi e diventare avvocato o magistrato.
Ma intanto l’importante è che a voi non manchi nulla.
Con Gianluca la convivenza va bene, anche se la casa è piccola e dormiamo nella stessa stanza, ma dividiamo l'affitto e le spese.
E poi è un ragazzo simpatico, sempre in fermento, con mille idee. Frequenta il terzo anno di architettura, dove è un vero caos.
La protesta studentesca, da loro, è molto accesa. Contestano tutto, le autorità, i rapporti di classe, i tabù sessuali, finanche la televisione.
Ho fatto tante fotografie, per farti capire quello che sta succedendo.
È una massa umana che si sposta, compatta, disordinatamente ordinata, come dice Gianluca. Sono armati solo delle loro parole, fanno girare le idee, si muovono per le strade urlando slogan, perché tutti capiscano.
Purtroppo, ci sono stati scontri con le forze dell’ordine, anche dei feriti, ma noi per fortuna stiamo bene.
Adesso ti saluto, non posso fare troppo tardi, anche se mi piacerebbe raccontarti tante cose.
Ti mando le ultime fotografie, spero ti piacciano.
Ti abbraccio,
tuo Massimo
Caro fratellone.
Ieri ho ricevuto la tua lettera e le fotografie. Grazie, sono bellissime!
Tu stai attento, non farmi preoccupare!
Sei bravo, papà sarebbe felice di sapere che la sua Leica è in buone mani. Quanto sarebbe fiero di te! Hai gli stessi suoi occhi e non solo per il colore. Inquadri le cose comuni con uno sguardo speciale, diverso da tutti gli altri. Tu riesci a guardare la normalità con occhi diversi.
Dimmi una cosa, ma tutti i tuoi amici hanno la barba? Alcuni sono veramente carini, quando vengo a trovarti me li presenti, se no guai a te.
Sono in classe e ti sto scrivendo perché ho un’ora di buco, mentre continuano a lanciarsi il cancellino e gli aereoplanini di carta. Vedi con chi devo combattere?
Ma a casa è peggio, non ho libertà. La mamma mi sta sempre addosso. E che fai? Stai studiando? E che cosa? Se non studio e perché? Domani non ti interrogano? Poi mi dice lo vedi, sei sempre nervosa. Prendi le gocce.
Un giorno la mando a parlare con Spataro. Quello sta avanti generazioni. Per lui chi va a scuola, solo per questo, va premiato con il sei. Poi se studia, meglio. Ma figurati se ci va a parlare. Lei incontra solo quella antipatica della Conti. Daniela studia poco, potrebbe fare molto di più.
Ma che ne sa lei di quello che sto passando io, specialmente da quando te ne sei andato?
La mamma non vuole che esca, che veda le amiche, ogni giorno diventa più insopportabile. Si sente la mancanza tua e quella di papà.
Domenica pomeriggio sono stata da Stefania, c'era la sorella, quella che studia lettere a Milano. Indossava una camicetta bianca e una minigonna gialla e io le ho chiesto se me la faceva provare. Mi stava bene e lei alla fine me l’ha regalata. L’ho nascosta in una busta, perché se mamma la vede...
Pensa quanta gente si girerà vedendomi passare con la mia gonna nuova. Non diventare rosso per la vergogna, che ti conosco.
Sono o non sono la ribelle di casa?
Ma tu non ti devi sacrificare per noi. Continua a studiare e se trovi un pianoforte suona, la nostra casa è diventata troppo silenziosa.
Sta arrivando Spataro. Sento i passi, trascina i piedi come la sua vita, per tutto il corridoio.
Lui qui si sente inutile, vorrebbe essere vicino agli studenti che lottano. E allora fuma. Arriva prima l’odore delle sigarette e poi lui.
Adesso ti lascio che ha iniziato a parlare di Dante, nemmeno l’avesse incontrato al bar.
E tu non pensare più alla rapina e non torturarti, soprattutto per noi.
Tra le fotografie che mi hai mandato, la più bella è quella con il cartello. La scuola gli studenti. (la farò vedere a Spataro).
un abbraccio dalla tua ribelle
Cara sorellina,
non arrabbiarti se ti chiamo così.
Mi riesce difficile accettare che hai sedici anni e che sei una donna, anche se io e la mamma ti consideriamo ancora una bambina.
Cerca di essere più comprensiva, soprattutto con lei, cerca di capirla. La sua vita è cambiata, più delle nostre.
Papà l’ha fatta vivere sempre come una signora, senza farle mancare niente.
Spero, a giugno, di avere una settimana di permesso per poter venire a trovarvi.
Intanto questo è per andare avanti.
Io sto meglio, ogni giorno di più e ho fatto nuove amicizie.
Quando posso vado all’università, ma riesco a studiare poco.
Tu pensa a finire il liceo e a essere promossa.
Ti scrivo ancora dal bagno, sta diventano un posto fisso, ormai. Almeno tengo i piedi in ammollo nel bidè, con due cucchiai di bicarbonato.
Gianluca è chiuso in camera con una ragazza. In cucina non potevo stare, si sente tutto e, per ricordargli che esisto, ogni tanto tiro lo sciacquone.
Quelle che frequenta le conosco quasi tutte, sono colleghe di facoltà, o conosciute alle assemblee, oppure alle manifestazioni e portano le gonne sopra il ginocchio, come piacciono a te.
Se le cose qui non si calmano credo che non riuscirò a dare neanche un esame.
Tu come stai? La mamma mi ha detto che non prendi le gocce.
È vero che passi le ore chiusa in camera o in bagno? Ti vede, dalla porta a vetri, mentre stai seduta a terra, accovacciata vicino al water. Altre volte seduta con un libro sulle gambe. Non bussa più perché non vuole sentirti urlare. È preoccupata per te. Cerca di non darle più preoccupazioni di quelle che ha.
Ho fatto crescere la barba. Qualche amica dice che sto bene, che mette in risalto l’azzurro degli occhi. Sarà.
Aspetto con ansia una tua lettera e mandami qualche disegno, per favore.
Ti abbraccio
Massimo
Caro Massi,
Questa volta sono io a scriverti dal bagno, mentre mamma batte i pugni sulla porta e mi urla di andare a letto.
Ieri ho ricevuto la tua lettera. Quanto mi fai felice!
Qui le notizie arrivano ovattate, non è come in città.
Tu continua a fare fotografie. Anche se non sono lì con te, vedo quello che vedi tu, quello che ti circonda e mi basta.
Io vorrei essere come le ragazze delle tue foto, loro non hanno paura del cambiamento.
Hanno i volti sorridenti, sono determinate. Avranno la mia età o poco più, ma già sanno che la vita appartiene a noi giovani e che dobbiamo essere noi a scegliere quello che è bene o male e nessun altro.
La mamma non lo capisce, ma io non farò mai quello che dice lei.
Ho sedici anni, mi piace disegnare, leggere, amo la letteratura, la musica. Non ho tutte sufficienze a scuola, e allora? Anche quest’anno verrò rimandata in latino e greco, già te lo dico, ma poco m’importa. Studierò per superare gli esami e, vedrai, sarò promossa. Questo è solo un percorso.
Io voglio fare l’accademia ed è quello che farò.
Non voglio essere come lei. Papà l'ha abituata male e adesso si ritrova senza arte né parte, con due figli che non è in grado di mantenere. Io voglio la mia indipendenza economica, per poter comprare, con i soldi che guadagno, quello che desidero, senza aspettare che le cose mi piovano dal cielo.
È finita quell’epoca, Massi, le donne chiedono rispetto anche e soprattutto dai loro uomini.
Tu mi fai girar come fossi una bambola, poi mi butti giù come fossi una bambola,
la balliamo a casa di Stefania, con il mangiadischi a volume alto.
Libertà, ancora non l'ho conosciuta ma sento che da qualche parte già esiste. Un posto dove ognuno possa decidere della propria vita e delle proprie emozioni.
Se il lavoro non ti piace, mollalo.
Ps: ho tagliato i capelli, appena sotto le spalle e ho fatto la frangetta, che mi fa sembrare meno lungo e musone tutto il viso.
Ora vado a dormire, prima che la porta venga giù.
Con affetto la tua Dany
Cara Daniela,
oggi sono in facoltà per l’occupazione. Ti sto scrivendo dall’aula di diritto privato. Se mi affaccio la scalinata è tutta occupata da agenti. Per ora si limitano a presiedere, manganelli in mano, ma non sembra vogliano fare irruzione. I Corridoi sono pieni di ragazzi e ragazze, chi sta seduto a terra, chi sui davanzali o sopra i banchi.
Fuori c’è altra gente che spinge per entrare, ma c’è un cordone di poliziotti ad impedirglielo.
Ho urgenza di scriverti, perché ho novità. E anche grosse.
Ho riconosciuto la ragazza dalla rapina. Si chiama Claudia, ha vent’anni.
Le ho fatto qualche foto, insieme a Gianluca. Si comportava come se niente fosse, sorrideva e si metteva in posa.
Sono sicuro sia lei e lei si ricorda di me, ne sono certo. Mi sfida, come se sapesse che anch’io potrei riconoscerla anche se aveva il cappuccio tirato su e un fazzoletto davanti alla bocca.
Ma gli occhi sono quelli, il colore dei capelli anche.
Eppure, è sprezzante, incosciente, non ha paura. Potrei denunciarla in qualsiasi momento.
Frequenta lo stesso anno di architettura di Gianluca, fa parte anche lei del movimento studentesco. Suo padre è un avvocato famoso in città, e anche facoltoso, per questo non volevo credere che fosse lei. Ha i capelli rossi, un castano ramato inconfondibile. Li tiene sciolti, qualche volta li porta legati.
Questo non l’ho detto alla polizia ma, mentre scappava, il cappuccio della giacca le è calato lasciando scoperta la testa. E poi gli occhi sono i suoi, li riconoscerei tra mille.
Ti scrivo queste cose, perché so che sei mia sorella e di te posso fidarmi. Sono sicuro, è lei. Non riesco a pensare ad altro.
Devo denunciarla, capisci cosa significa se non lo faccio?
Potrebbe riprovarci ancora.
La pistola era scarica, è vero, quando l’hanno ritrovate per strada, ma io che ne sapevo? Per me poteva anche essere pronta a sparare.
E sentirmela puntata addosso non è stato bello, ti assicuro.
Qualcuno qui si sta armando. C’è gente che oltre alla rabbia, può anche uccidere.
La mia arma è una sola, la mia Leica. Il grilletto è un otturatore, sparo scatti a raffica, verso i manifestanti, contro i poliziotti. Mi apposto sopra i terrazzi dei palazzi. Non muore nessuno, la pellicola è una piccola pelle, che mi rimane addosso come una seconda carne che non riesco a staccare dalla mia.
Adesso ti lascio. Mi chiamano. Vado a vedere cosa sta succedendo.
Tuo fratello Massimo
Caro Massi,
ho ricevuto la tua lettera, non ti chiedo neppure come stai, conoscendoti, immagino starai di merda.
Ti rispondo, durante il compito in classe di greco.
Tanto se Capobianco non passa la versione sai quanti due e tre volano.
È lei, la ragazza della foto, quella con il cappello in mano e due occhi grandi e tristi?
Ma che vuoi fare? Vuoi denunciarla? Sei pazzo. Se lo fai, la rovini per sempre.
Pensa, ha solo qualche anno più di me, ti piacerebbe vedermi marcire in carcere?
In fondo, come tu stesso hai detto, nessuno si è fatto male e non volevano farne, altrimenti non avrebbero usato una pistola scarica, per fare una rapina.
Cosa pensi che avrebbero fatto con quei soldi? Avrebbero finanziato il movimento, stampato qualche volantino, forse comprato anche altre armi, ma tu questo non lo sai con certezza.
Come puoi essere tu giudice di qualcuno e condannarlo per quello che avrebbe potuto fare?
Questa, la nostra, è una generazione che non ha paura di cambiare le cose, per rendere il mondo migliore.
Forse con ogni mezzo, ma questo non sta a te deciderlo.
A volte mi fai rabbia, questo tuo modo di essere sottomesso, la tua rassegnazione è disarmante. Io ti conosco, tu non sei così.
Hai preso legge solo perché papà ti voleva avvocato o magistrato. Ma tu, veramente, cosa vuoi fare?
A scuola ti piaceva scrivere articoli, dicevi di voler fare lettere, per poi diventare giornalista.
Cosa ti è rimasto di allora? Cerca di essere almeno testimone, lascia un segno del tuo passaggio e non diventare complice né del cambiamento, ma nemmeno del sistema.
Sono certa che, comunque sia, prenderai la decisione giusta.
Per farti distrarre ti mando il modellino di un vestito che ho disegnato e che mi piacerebbe indossare.
Tanto lo so che tu non ci capisci niente.
Lascia che se la sbrighino loro, non intrometterti nelle vite di nessuno, non chiederti in questo momento cosa sia giusto o non lo sia.
Ti voglio bene
Daniela
Cara sorellina,
primo, non è vero che non capisco niente di moda. Sei brava, quindi continua a disegnare.
Secondo, ho aspettato a scriverti perché ho pensato molto a quello che hai detto nell’ultima lettera.
Ti scrivo dal bagno, ho qualche minuto prima di andare al lavoro. Ormai, è diventata la stanza di casa dove passo più tempo. Forse perché la finestra dà sul cortile interno e non ci sono rumori e altre distrazioni.
Anche specchiarmi mi aiuta a riordinare le idee.
A volte lascio scorrere l’acqua della vasca e mi sembra di tornare alla cascata dove ci nascondevamo quando non volevamo farci trovare da mamma e papà. Se tiro lo sciacquone mi sembra di sentire la voce del nonno che ci chiama. Che fantasie.
La verità è che non so ancora cosa fare con Claudia.
Ci siamo rivisti, mi sembra una ragazza semplice. Studia e vuole fare l’architetto per progettare teatri o ponti, ancora non lo sa.
È anche simpatica, con tutte quelle lentiggini, e poi è bella.
Mi dici di non denunciarla. Ho le mani poggiate al lavandino e mi chiedo: se non lo faccio, potrò riconoscermi ancora?
Ma allora dove sono finiti il senso del dovere, l’onestà, la coerenza?
Come potrei guardarmi allo specchio, senza provare vergogna per me stesso, come riuscirei a convivere con un’omessa denuncia di reato, perché è di questo che si tratta.
Diventerei io stesso partecipe di un crimine, lo capisci?
Ma non sono neanche certo che denunciandola, avrei preso la decisione più giusta.
In entrambi i casi, comunque, avrò forzato la mano al destino, nel bene o nel male che al momento non so riconoscere.
Essere complice dell’ordine precostituito o del disordine che nasce dal cambiamento?
Se vado in giro per le strade vedo autobus con i vetri rotti per le sassate. Io non capisco, come se non fossi ancora pronto. La gente corre, la polizia carica coi manganelli. Alcuni sotto le divise sembrano padri di famiglia, danno schiaffi agli studenti, nemmeno fossero figli loro. Altri ci vanno giù pesante, con rabbia, come se le ingiustizie, le differenze sociali, la suddivisione iniqua della ricchezza o le disuguaglianze tra uomini e donne, non fossero affari loro e delle loro famiglie.
La felicità non può più essere individuale, ma deve diventare un fatto collettivo. Questo l’ho capito.
Ps: Augusto mi ha portato le ciliegie, sono ancora calde di sole.
Qui è difficile trovarle buone come le nostre, e poi costano troppo.
Con tutto il mio affetto
Massimo