Tomaso Labate detto l’Abbisogna
27/12/2019
Io odio il natale. Potrà sembrare una dichiarazione alla moda, da perfetto radical scic. Un tributo al pensiero dominante: per non offendere nessuno, dobbiamo scolorire tutto e omogenizzare le differenze.
Altro che radical scic, io sono un poliziotto e vivo in una città, bella e difficile, che amo e detesto. Anni fa un balordo rumeno mi ha sparato a un ginocchio, ora giro con una protesi al posto della rotula naturale. Uno come me, non è certo radical e non ha nessuna voglia di essere scic.
Semplicemente, odio il natale: i suoi melensi rituali, l’albero, Babbo Natale e le sue di renne finte, i film e le commedie sdolcinate a tema. Il suo ipocrita vogliamoci bene, quando tutti sappiamo che non è l’amore il sentimento che contraddistingue gli esseri umani. L’egoismo, l’avidità e la cattiveria guidano le scelte degli individui. Non bisogna essere poliziotti per saperlo, ma i poliziotti lo sanno meglio degli altri. La verità è che siamo tutti pronti a tradire i nostri simili, solo se ci fa comodo. A natale, a capodanno, a pasqua e in tutti gli altri giorni.
Io a natale non voglio star solo. Altrimenti cercherei la compagnia del whiskey e il mio fegato e la mia autostima non se lo possono più permettere.
Fortunatamente, da diversi anni, passo il natale con un ragazzo somalo, Senai, conosciuto nella palestra del gruppo sportivo delle Fiamme Oro. Lui, atleta di belle speranze, stava recuperando da un infortunio ai legamenti del ginocchio, io, qualche anno più grande, imparavo a usare la rotula artificiale. Condividevamo la stessa fisioterapista. Un gran pezzo di figa va aggiunto. Siamo andati a letto insieme per un paio di mesi. Con la fisioterapista, non con Senai. Non scherziamo su certe cose.
Gira la voce che io ci provi con tutte. In realtà, non è vero, solo con quelle carine. Passare qualche ora a letto con una bella donna è una delle poche consolazioni della mia vita mediocre.
Senai mi aveva conquistato quando, alla domanda della fisioterapista su dove avrebbe passato le vacanze di natale, aveva risposto secco che per lui il natale non esisteva: era mussulmano.
“Ehi, amico, ti invito a non festeggiare il natale, a casa mia”.
Il venticinque lo passammo con una maratona dei film più belli del vecchio Clint Eastwood. Il ventisei lo dedicammo al boxing day della Premier League. Gli inglesi sanno onorare i giorni di festa: birra e calcio. Il massimo sarebbe birra, calcio e figa. Ma figa e calcio non sempre sono compatibili e fra le due, ogni tanto, occorre scegliere.
Così ci sono rimasto di sasso quando Senai mi ha chiamato sei giorni fa.
“Senti, non so come dirtelo, ma Francesca, vuole che passi il natale dai suoi, a Pergine. Partiamo domani”
Francesca era da quasi un anno la sua fidanzata. E le donne, lo sanno tutti, sono fissate col natale. Non è una storia seria, se non lo porti al cenone di natale con zio Alfredo e nonna Rita. Sarei proprio curioso di vedere la faccia dei parenti di Francesca quando si troveranno un seguace di Maometto al cenone della vigilia.
“Io non mi preoccuperei per me, ma per te. Te lo dico chiaro: non sperare che io venga al tuo matrimonio.”
Sei giorni fa, il ventuno dicembre le cose sembravano mettersi proprio male. Si prospettava un natale da solo. O meglio, col caro amico Johnnie Walker. E tanti saluti al fegato.
Quando già disperavo, è arrivato il lavoro a salvarmi. Tomaso Labate, meglio noto come l’Abbisogna, fu trovato assassinato, pestato a morte. Come esistono o, meglio, esistevano i film di serie B, oramai sostituiti da quelli per la TV, così esistono i delinquenti di serie B. Persone che vivono ai margini del grande crimine, sbarcano il lunario con piccoli furti o aiutando, con ruoli marginali, i veri professionisti. Quando serviva chi guidasse l’auto, o facesse dei sopralluoghi prima del colpo, chiamavano Tomaso. Veniva usato alla bisogna, da qui, il suo soprannome.
Nessuno sapeva che l’Abbisogna era un mio amico e/o informatore. Nel senso che lui pensava di essere un amico e io lo ritenevo solo un informatore. Sia io come amico, che lui come informatore eravamo piuttosto scadenti. Entrambi abituati a non aspettarci molto dalla vita, non ne facevano un cruccio. Giocavamo in squadre diverse, ma nella stessa categoria.
Mi affidarono l’indagine, anche perché ero l’unico disposto a lavorare a natale. Il vicequestore Milella, capo della mobile, mi fece capire che non era il caso, vista la natura della vittima, di rovinarsi il natale. Il cinismo fra i poliziotti è una malattia professionale.
Lui non sapeva che il natale, l’Abbisogna, me l’aveva salvato, forse era davvero un amico. Per questo, feci le cose seriamente. Sapevo bene dove abitava e andai a parlare con la vedova.
“Lo sa che Tomaso parlava spesso di lei? La considerava un amico, anche se era uno sbirro”
Ancora con questa storia dell’amico! Io non ho amici e non ne voglio avere.
Alla mia domanda se in quel periodo il marito stesse lavorando, la signora Labate mi rispose che il marito non le parlava mai di quel che faceva. Ma negli ultimi mesi era strano. Dopo un primo periodo di grande entusiasmo, nel quale era spesso impegnato, nelle ultime settimane si era incupito, come fosse preoccupato. Gli ultimi giorni sembrava proprio triste. Triste, ma anche dolce e affettuoso, più del solito.
“Proprio l’altro giorno, mi ha abbracciata, così, senza una ragione. Lalla, ti voglio bene, mi ha detto. Stava diventando vecchio, il mio Tomaso. Era diventato addirittura romantico.”
Cominciò a piangere lacrime vere.
“Ispettore, lo prenda quello che ha l’ucciso. Era una persona perbene.”
Il concetto di persona per bene, per la Lalla, era evidentemente relativo. Quarantenne in buona forma fisica, forse leggermente sovrappeso, la moglie di Tomaso aveva un viso intrigante e un seno generoso. Sarà stato per questo l’Abbisogna se l’abbracciava. Scacciai, dopo una breve lotta interiore, l’idea di insediarne il lutto. Anche per uno come me, questo era troppo, o forse la Lalla non era bella abbastanza.
Era il pomeriggio inoltrato del ventitré, quando lasciai la casa di Labate. Ci pensai un po’, considerando bene i rischi, poi decisi di telefonare a Celeste che lavora alla Telecom. Mi aveva mandato diversi messaggi su WhatsApp a cui non avevo risposto.
“Finalmente. Ti sei deciso ad accettare il nostro invito per Natale.”
“In realtà, Celeste, mi servirebbe un favore. Avrei bisogno, per un’indagine, di tutti i dati su una utenza telefonica, tutto quello che hai. Me lo puoi fare?”
“Sei fortunato che domani devo passare in ufficio. E comunque non lo faccio gratis, tu domani viene a cena da noi per la vigilia e io ti faccio trovare tutto pronto. Lo sai che altrimenti dovresti aspettare almeno una settimana. Vieni, che fai contenta mamma, che in questi giorni chiede sempre di te”
Ciò che temevo, un volgare ricatto. Ero in trappola.
“Va bene, Celeste, ma vado via prima della mezzanotte. Il venticinque non ce la faccio proprio. A tua mamma diciamo che devo lavorare. Porto quel brunello che piace tanto a tuo marito.”
Alla fine, la cena della viglia non andò poi così male. Di certe cose non si parlò. Celeste aveva indottrinato bene sua madre. La sua famiglia è sopportabile, anzi è una bella famiglia, per quanto le famiglie lo possano essere. Ma questo lo sapevo già.
Me ne andai poco prima di mezzanotte, con lo stomaco pieno di cibo e il cuore pieno di dolore e rabbia. Ma nella tasca avevo il cd con tutti i dati che Celeste aveva scaricato per me. Mi aspettava un bel natale di solo lavoro.
Il venticinque alle sette, quando i bambini non avevano ancora aperto i regali, me ne andai in questura. Mi serviva accedere a banche dati non raggiungibili da casa. Come prevedevo, il cellulare del Labate era pulito. La maggior parte delle telefonate erano alla moglie e ai figli. Nessun nome a me particolarmente noto e pochissimi pregiudicati. Sicuramente usava un'altra sim, presa con qualche documento falso, e un altro telefono per il lavoro e le questioni delicate. Telefono che chi lo aveva massacrato di botte, aveva fatto sparire.
In realtà, a me interessava un’altra cosa. Da poco, era disponibile un software che permetteva il tracciamento degli spostamenti del telefono. Non era facilissimo da usare, ma dopo un po’, ebbi una rappresentazione grafica abbastanza chiara dei posti che l’Abbisogna aveva recentemente frequentato. Se Tomaso fosse stato incaricato di fare un sopralluogo per qualche colpo, dai dati sarebbe emerso.
Non venne, invece, fuori nulla. I posti che l’Abbisogna aveva frequentato più assiduamente erano in centro città e in particolare intorno a via Sparano e al policlinico, dove era andato diverse volte nelle ultime settimane. Nessuna banca, istituto dei pegni, gioielleria e altri possibili obiettivi del genere. Ero punto e daccapo. A meno che qualcuno non volesse provare a fare un colpo nella filiale ospedaliera della banca. Ma sarebbe stata una pessima idea, anche per dei balordi improvvisati.
Per sicurezza, presi la macchina e andai al policlinico, tanto non avevo nulla da fare prima che il natale fosse passato. La mia speranza era trovare il Moruzzi. L’avevo conosciuto per lavoro. Ex detenuto, era stato assunto dalla cooperativa sociale che aveva in gestione i servizi di portineria dell’ospedale.
Almeno in questo fui fortunato.
“Tu l’Abbisogna, lo conoscevi?”, gli chiesi subito dopo i brevissimi convenevoli di rito.
“E come no. Un tipo in gamba. Mi è tanto dispiaciuto. Anche se…”
“Anche se …?”
“Girava voce che fosse malato. Infatti, qui era di casa. Pochi giorni prima del fatto, me lo ha confermato. Mi aveva chiesto di non dirlo a nessuno, sua moglie ancora non sapeva. Ma a lei l’avrei detto ugualmente. Arrestandomi cinque anni fa, mi ha salvato la vita”.
Lo salutai e fui ricambiato da un buon natale. Cosa ci volete fare, la gratitudine non è di questo mondo.
Tornato a casa, preparai un piatto di spaghetti alle cozze, innaffiate da un Locorotondo ben freddo: una specie di pranzo tardivo o cena precoce alle sei e trenta, manco fossi trentino. Seguendo il cliché delle persone sole, mangiai davanti al televisore. Mi vidi tutte le puntate di Big Little Lies. Quasi tutte, perché mi addormentai sul divano.
Mi svegliai che natale era andato. Eravamo vicini all’alba di Santo Stefano. Se facevo in fretta, forse ce l’avrei fatta. Mi sedetti su una panchina del lungomare Nazario Sauro e aspettai, non faceva neanche particolarmente freddo. Dopo pochi minuti, il sole giunse prepotente a illuminare il mare. L’alba dal lungomare: òa mia città avrà tanti problemi, sarà sporca e criminale, ma regala emozioni uniche.
Tentai di scacciare i ricordi che tornavano prepotenti a galla, ma non feci in tempo. Una lacrima mi segò il viso. La catturai sul dorso della mano e soffiando la diressi verso il sole.
Mi avviai in questura, aspettando che il fratello povero del natale se ne andasse anche lui.
Volevo controllare i verbali degli ultimi due mesi per vedere se fosse successo qualcosa che giustificasse l’attività dell’Abbisogna. Il poliziotto che ebbi la fortuna di incontrare, all’inizio della mia carriera, mi insegnò come questi materiali vanno trattati: letti attentamente una volta, fatta una pausa sufficientemente lunga, e riletti una seconda volta con ancora maggiore attenzione. La pausa la passai al bar pasticcieria di via Oriano non lontano dalla questura a mangiare cartellate e castagnedde. Odio il natale; adoro i dolci di natale.
Avevo ancora in bocca il sapore dolce del vincotto delle cartellate quando ebbi un’illuminazione. In via Putigniani, una traversa di via Sparano, alcuni cittadini avevano chiamato la polizia allarmati dai rumori provenienti da un appartamento al terzo piano. Al loro arrivo, i colleghi avevano trovato il padrone di casa malconcio e con i segni evidenti di una forte colluttazione. Non aveva voluto sporgere denuncia, il diverbio era nato da una questione di donne, disse. Non voleva infierire sul cornuto, concluse. Quello che era importante e che alla prima lettura mi era sfuggito, era il nome del padrone di casa: Aldo Lorusso, il maggiore strozzino della città. Un uomo collegato ai Palermiti, clan oramai in rotta, dopo la lunga guerra, persa, con i Capriati.
Altro che questione di corna. Era probabile che i giri di Tomaso intorno a via Sparano erano di preparazione a questo: una rapina a chi non la denuncerà mai, perché non può spiegare la provenienza del denaro rubato. Un usuraio oramai privo di quella protezione criminale di cui aveva, fino a quel punto, goduto.
Una visita a Lorusso si imponeva. Lo trovai che si era svegliato da poco, come la maggior parte dei miei concittadini in quel giorno di festa.
“Ancora con questa storia? Ve l’ho detto che è una sciocchezza. Non avete niente di meglio da fare che indagare sulla sfuriata di un marito geloso? “
“Senti brutto stronzo, credi ancora di parlare con un ragazzino della volante? Io so che fai per vivere e so per certo che tu sei stato rapinato.”
L’avevo preso per il colletto della giacca da camera con la quale si era presentato, per rendere più credibile il bluff, visto che io, di certezze, ne avevo ben poche. Avevo fatto la faccia cattiva, cosa che mi riesce sempre bene. Certuni conoscono solo un registro psicologico. O dominano o sono dominati, o spaventano o sono spaventati.
“E vabbè che sarà mai. Non perdiamo le staffe. La mia posizione ufficiale rimane la stessa. Ma ho capito che lei è sveglio e immagino anche perché siete interessati alla cosa.”
“Ragioniamo, quindi, per via ipotetica. Supponiamo che un onesto cittadino abbia in casa una certa, notevole, somma di denaro. Diciamo una vincita al gioco. Supponiamo poi che dei farabutti, saputa la cosa, decidano di prendersi quel denaro. L’onesto cittadino tenta di reagire, ma viene sopraffatto. Quel tale potrebbe denunciare il tutto alle forze dell’ordine, certo. Ma, a parte che queste forze, tutta questa forza, nella nostra città, non ce l’hanno, il brav’uomo non vuole fare sapere, per ragioni sue, dell’esistenza di quel denaro.”
“La cosa più saggia è considerare persa la somma e premunirsi per il futuro. Quindi parlare con qualcuno che ha la forza reale e chiedere quella protezione che un amico precedente non è più in grado di dargli”
“Ironia della sorte, ispettore mio, pare che quella somma che, ipoteticamente, è stata rubata, non si trovi più. Scomparsa. Ed è un peccato, perché il nuovo amico si era impegnato per far restituire metà della somma rubata al brav’uomo.”
“Io penserei, ma non voglio rubarle il mestiere, che quel che interessa a lei, abbia proprio a che fare con la sparizione del denaro”.
Rimasi in casa sua un’altra ventina di minuti per fare il mio dovere: minacce, avvertimenti, difesa del ruolo della polizia. Ma era una parte in commedia. Le parole del Lorusso descrivevano quel che accade in città molto meglio di tanti manuali di sociologia sulle vecchie e nuove mafie.
Avevo saputo quel che c’era da sapere. Il cravattaro mi aveva anche informato, sperando spargessi la voce, che lui era di nuovo protetto, e un’offesa a lui, era un’offesa ai Capriati. Chissà quale percentuale del giro di affari avevano chiesto in cambio. Sicuramente superiore al protettore precedente; i servizi di qualità, come è noto, si pagano.
Tornando a casa, feci il punto della situazione. Arrivai a una prima, parziale, conclusione. La moglie e i figli di Tomaso erano in pericolo. Mi diressi da loro.
Non mi sbagliavo. Sotto casa, c’era una macchina ferma con un uomo dei Capriati che fumava tranquillo una sigaretta. Indossava gli auricolari e non perdeva di vista il portone. Entrai facendo finta di non averlo visto. Quando bussai, la signora Labate, invece di aprire subito, come aveva fatto la volta precedente, chiese preoccupata chi fossi. Solo quando sentì la mia voce, aprì.
“Sono quindi già venuti?”
“Ispettore, di questi soldi, io e i miei figli non sappiamo niente. Gliel’ho detto, ma hanno guardato dappertutto, mettendo a soqquadro la casa. Ho passato tutta la mattina a risistemare. Spero che mi abbiano creduto.”
“Non del tutto, signora, temo. E gente che non molla”.
Presi dalla tasca la penna e un pezzo di carta e scrissi.
Venga giù dove sono i contatori.
Era il luogo dove, in un paio di occasioni, mi ero incontrato con il marito che mi aveva mostrato come arrivarci senza passare dal portone.
“Io le credo signora, anche perché in base a quel che sappiamo, uno dei rapinatori è riuscito a fuggire con i soldi. Non esiti a chiamarci, se la disturbano ancora. Nel frattempo, vuole sporgere denuncia per quello che hanno fatto e per le minacce?”
“Ma si figuri, ispettore. Io sono la moglie dell’Abbisogna e con gli sbirri non voglio averci a che fare”.
Era sveglia, la Lalla.
Uscii dal portone facendomi vedere dall’uomo in macchina. Girai l’angolo ed entrai nel cortile del palazzo da un’entrata di servizio che dalla macchina non si poteva vedere. Lalla arrivò pochi minuti dopo venendo dalle scale del palazzo.
“Senta, sono quasi sicuro che abbiano piazzato delle cimici in casa; quindi, state attenti a ciò che dite. Io non voglio sapere nulla dei soldi. Anzi sapendo a chi sono stati presi e chi li cerca, se li aveste voi, a me farebbe solo piacere.”
“Ma state attenti, la cifra è alta. Questi non vogliono perdere la faccia, visto che si sono impegnati a farli riavere allo strozzino. Due cose non dovete fare: dire che avete i soldi e, principalmente, spenderli. Se cambiate i mobili di casa, fate un viaggio, comprate un’auto nuova, quelli vi piomberanno in casa e saranno dolori. Vi dico di più, evitate di fare spese particolari, anche se i soldi non li avete”.
“Ma ispettore noi veramente non li abbiamo”.
“Signora, questo è quel che mi direbbe anche se li aveste. Io sono sempre un poliziotto”,
“No, cioè sì. Ma lei è, era, un amico di Tomaso”.
Ancora! Salutai la signora Labate e me ne andai.
In fondo, il caso era risolto. Chi avesse ucciso l’Abbisogna, o meglio, chi avesse ordinato di farlo parlare a tutti i costi, era chiaro. Punire gli esecutori materiali, ancora non noti e i mandanti, i Capriati, invece era tutt’altra cosa. E sembrava molto difficile da ottenere.
Qui non siamo in un romanzo giallo dove i colpevoli nelle ultime pagine sono sempre arrestati e puniti. Nella vita vera, i buoni non vincono mai.
Sono tornato a casa a vedermi il derby di Manchester. Ieri era il boxing day e io tengo per i red devils. Poi sono andato a dormire.
Mi sono svegliato che natale era finalmente passato. Alla fine, anche quest’anno sono sopravvissuto. Anche quest’anno il dolore e sensi di colpa mi hanno colpito ma non sconfitto. Nemmeno io avevo vinto. Nelle mie condizioni, un pareggio era pur sempre un risultato onorevole.
Passo il ventisette a casa. Sarei in ferie ma mi metto a scrivere il rapporto per il magistrato. La relazione si basa principalmente su dati ufficiosi e confidenziali. Avrebbe deciso lui come e se procedere.
Per completarlo, mi mancano i risultati della autopsia. Chiamo il dottor Cassano, per saperne di più. Con Antonio giocavamo a calcio insieme da ragazzi, e ogni tanto ancora ci vedevamo per una pizza o un caffè. Mi sono visto qualche volta anche con sua moglie, ma questo spero che non lo sappia.
“Antò, sai per caso chi ha fatto l’autopsia su Labate? Il caso lo seguo io”
“Comunque, buona natale anche a te” e se la ride, conoscendo il mio sentimento nei confronti delle feste.
“Ero di turno, quest’anno e quando ho visto che era roba tua, l’ho fatta subito. Ti stavo per chiamare”
“Non è che abbia molto da dirti. Le cause della morte erano chiare fin da subito. Morto per emorragia interna causata dalle botte. I colpi hanno spappolato il fegato e non ci è stato nulla da fare. Ti posso solo aggiungere una cosa, che forse non sapevi”
“Stava per morire, comunque”.
Che soddisfazione anticiparlo e rovinargli la sorpresa!
“E tu come lo sai? Un tumore proprio al fegato, stadio finale.”
“La mia idea è che sia stato picchiato perché rivelasse certe informazioni, cosa che sembrerebbe non aver fatto. La malattia può spiegare come mai il pestaggio sia sfuggito di mano ai suoi aggressori e lui sia morto prima di dire quel che doveva dire o prima che si convincessero che realmente non sapeva?”
“Assolutamente. Col fegato in quelle condizioni, non era in grado di resistere tanto”
“Grazie Nicola”
Chiudo il telefono mentre suonano al citofono.
“C’è un pacco, deve firmare”.
23/12/2021
Se la mia vita fosse un romanzo si intitolerebbe “Il pacco di Natale”.
Quel pacco cambiò la mia vita. Cosa ci trovai, non può essere una sorpresa per nessuno: una montagna di soldi. Per la precisione duecentocinquanta mila euro in biglietti da cento euro. E una lettera dell’Abbisogna e che lettera! Quell’uomo mi considerava veramente un amico e si fidava cecamente di me, sicuro che non lo tradissi. Mi ricordava qualcuno che però con quella fiducia si era bruciata.
Io quei soldi avrei potuto tenerli. Nessuno sapeva niente. Avrei solo dovuto controllare che non avesse scritto anche alla moglie. Ma era improbabile. E comunque non mi sarebbe costato molto accertarmene. Distruggere la lettera e tenermi i soldi, facile. Avrei solo dovuto avere le stesse accortezze che avevo suggerito alla Lalla.
Nascosi soldi e lettera in un posto sicuro, dove non sarebbero potuti arrivare né i miei colleghi, né gli uomini di Capriati. Per due lunghi anni ho saputo di essere potenzialmente ricco, ma ho continuato a vivere del mio stipendio di poliziotto, che, vi assicuro, non è granché.
Non so molto di filosofia orientale o di ascetismo. Ma ora sono convinto di un’idea, che anni fa mi avrebbe fatto ridere: a volte le rinunce, quelle vere, quelle costose, ci rendono più forti. E più sereni. I potenziali soldi nascosti e la lettera di Tomaso che ricordo quasi a memoria, mi cambiarono giorno per giorno, lentamente ma inesorabilmente. Sapere che qualcuno avesse riposto una tale fiducia in me, aveva moltiplicato la fiducia che io avevo in me stesso.
Ieri sono andato a trovare la moglie di Tomaso. Le ho portato i soldi e la lettera. Era una precisa richiesta del marito. Aspettare che la polvere si fosse definitivamente posata. Non pensavo fossero più controllati, l’invitai comunque alla massima prudenza possibile.
“Lo sapevo. Lo sapevo che Tomaso faceva bene a fidarsi di lei.”
Le sue parole, il suo sorriso, il suo sguardo riconoscente valevano più di tutti quei soldi? Anni fa, mi sarebbe sembrata una domanda retorica. Adesso mi sentivo felice.
Lalla mi ha abbracciato e i suoi seni premevano sul mio petto. Era anche più carina di due anni fa, essendosi un po’ dimagrita. Per un attimo le nostre labbra sono state pericolosamente vicine. L’ho salutata e sono andato via.
Oggi, l’antivigilia, ho saldato un altro debito, quello con lei. Ho raccontato a Celeste e a sua mamma, come fossero veramente andate le cose, la mattina di Natale di dieci anni fa. Dovevamo andare a pranzo dai suoi, io ero sotto la doccia. Mi arrivò un messaggio sul telefono che avevo lasciato sul comò. Le donne mi piacevano troppo anche da sposato. E le rinunce allora non facevano per me. Lei lo lesse, probabilmente per sbaglio, i nostri cellulari erano abbastanza simili. Sentii il suo urlo, appena chiusa l’acqua. Uscii veloce dalla doccia, ma lei era già corsa via, in strada. Le andai dietro. Avvilita, fuori di testa e non volendo essere raggiunta, non vide arrivare il bus dei turisti tedeschi in visita alla città vecchia; l’asfalto bagnato fece il resto. Non vide arrivare nemmeno altri natali.
Io rimasi in strada, in accappatoio, sotto la pioggia battente, il venticinque dicembre, a odiare me stesso, i tedeschi e il Natale.
Ho letto la delusione negli occhi di quelle che erano state mia suocera e mia cognata. Oltre ai soldi, forse, avevo perso anche loro. Fare i conti con i propri errori non può essere gratis. Troppo facile, altrimenti.
Ora devo andare. Devo comprare FIFA 22 e Taboo, da mettere sotto l’albero. Per le vacanze di Natale mi trasferisco, da Claudia, un’amica di Francesca, la moglie di Senai, insegna tedesco alle superiori. L’ho conosciuta al loro matrimonio in cui ero, parrebbe incredibile, il testimone dello sposo. E lei la testimone della sposa.
Temo che dietro ci sia stata una studiata sceneggiatura, ma chi se ne frega. Sembra una trama da romanzetto rosa, ma dopotutto il giallo non è l’unico genere disponibile in libreria.
Claudia è una donna straordinaria. Spero di essere alla sua altezza. La figlia e il figlio mi piacciono ancora di più. Sono oramai grandi, altrimenti a Natale mi sarei anche travestito da Babbo Natale, se questo li avesse resi felici.
Domani a mezzanotte non devo dimenticare di fare un brindisi a Tomaso. Lui sì, che era un vero amico.