«Chiudeteli per bene mi raccomando, se no in cottura si aprono.»
Mamma raccoglie il formaggio sul cucchiaio. Poi, con l'aiuto di una forchetta, farcisce i rettangolini di sfoglia.
Papà li piega a triangolo e fa combaciare i lembi formando un cappello.
«Lina, vieni ad aiutarci.»
Sbuffo uno scocciato "due maroni!"
«Cos'hai da brontolare, forse che tu domani non li mangi? Lavati le mani e vieni a chiuderli anche tu.»
Mamma sui cappelletti è categorica, rifiutarsi sarebbe una guerra persa.
Butto a terra il borsone della palestra e mi dirigo in bagno.
Odio il Natale. Lo detesto per almeno due ragioni. La prima sono i miei parenti. Presi individualmente sarebbero anche sopportabili, ma se li metti tutti insieme è come mischiare la panna montata con i bucatini all'amatriciana e condire il tutto con una bella spolverata di wasabi. Diventano indigeribili.
La seconda ragione è che mi chiamo Lina. A dire il vero, il mio nome all'anagrafe sarebbe Natalina, ma nessuno mi chiama in quel modo. Anche perché, se solo ci provano, gli arriva un cazzotto in piena faccia.
Ad ogni modo, c'è un motivo ben preciso se mi hanno dato questo schifo di nome. Anzi, due. Il primo motivo è che mio nonno paterno, morto pochi giorni prima della mia nascita, si chiamava Natale. Il secondo è che anch’io, come mio nonno, sono nata il venticinque dicembre.
Il che è una grandissima fregatura perché, se nasci a Natale, il tuo compleanno non se lo caga mai nessuno. Niente feste con gli amici, visto che la maggior parte di loro va via per le vacanze e il resto è a pranzo dai parenti. Niente regali. O meglio, mi hanno sempre fatto un regalo unico, per Natale, il compleanno e l'onomastico.
Le persone, in genere, si dimenticano che sono nata il giorno di Natale. Mi dicono "buon Natale, Lina!" ma si scordano di augurarmi buon compleanno. Del resto, quando condividi il giorno di nascita con un tizio chiamato Gesù Cristo, la gente tende a ricordare più di lui che di te.
***
Guardo il capitone nel piatto. Lo rigiro con la forchetta, titubante. Un'altra delle cose che non sopporto del Natale è che per la vigilia si debba per forza cucinare questa specie di serpente disgustoso. Mi fa senso solo a guardarlo. Già non amo il pesce, figuriamoci questa biscia.
«Non mangi, Lina?» mi chiede nonna Anita.
L'unica cosa positiva del ventiquattro dicembre è che per cena invitiamo solo lei e zio Eraldo. Nonna è vedova e zio è single. Uno scapolone senza speranza, come dice mamma.
Abitano insieme a una trentina di chilometri da qui, in un vecchio casolare simile al nostro, e papà non vuole che passino la sera della vigilia da soli.
Ce ne stiamo solo tra noi cinque e tutto è molto più tranquillo rispetto al casino di nonni, zii, nipoti e cugini che ci sarà domani per pranzo.
«Dài mangia lì, che sei secca come un bacchetto.»
Non è vero che sono così magra, ma le faccio un sorriso e mi sforzo di portare alla bocca un pezzetto di capitone.
Meno male che mamma sa che non mi piace e ha preparato anche degli spiedini di totani e gamberi.
***
Do una mano a sparecchiare. Mentre porto i piatti in cucina, butto un occhio fuori dalla finestra. È scesa una nebbia così densa che si taglia con un coltello. Da qui, non si vede neanche il fossatone che divide il nostro cortile dalla strada. E sì che dista solo poche decine di metri.
«Eraldo, sei tranquillo a guidare con 'sta nebbia?" la voce di nonna tradisce tutta la sua preoccupazione.
«Mamma ha ragione, Eraldo.» dice papà. «Perché non restate qui stanotte?»
Zio mugugna un po', ma alla fine accetta. L’ha capito anche lui che stanotte non è proprio il caso di mettersi al volante.
«Anita, le preparo la stanza di Lina, va bene?» propone mamma.
Nonna dice che è d’accordo. Io lo sono un po’ meno, perché dovrò dormire sul divano, ma mi adatterò.
Zio, invece, per questa notte prenderà la camera di Sandro. Così è deciso, e io ho il compito di andare a prendere le lenzuola pulite per tutti.
«Ecco qua, poi ti fai il letto.»
Eraldo mi ringrazia e si dirige, con le lenzuola fresche di bucato, nella stanza che era del mio fratellone.
È così strano pensare che questo sia già il quinto Natale senza di lui. Ancora non mi abituo al fatto che adesso siamo tutti qui, ad aspettare la mezzanotte per scambiarci i regali di Natale e lui non c’è.
So che manca tantissimo a tutti, anche se cerchiamo di parlarne il meno possibile.
Sandro aveva esattamente la mia età, quando la malattia se l'è portato via in pochi mesi. "Un brott mèl", dice nonna Anita. Leucemia mieloide acuta è il nome giusto.
***
Tasto la carta rossa e oro, un po' titubante. Il pacchetto è morbido, non sembra una scatola da scarpe. Scarto. Infatti, non sono le Fornarina nere con la zeppa che desideravo.
Non ci voglio credere.
Al posto delle scarpe mi hanno regalato una camicetta rosa a fiorellini, troppo da bambina, e un maglione rosso. Di un rosso così acceso che se lo indossassi sembrerei un semaforo. Lancio un'occhiata di traverso a mamma. So che ‘sta roba l’ha scelta lei.
«Un colore un po' più sobrio no, vero?»
«Non ti piace? Ho pensato di cambiare un po', hai solo vestiti neri o grigi.»
Resto in silenzio.
«Lina, lo sai che quelle scarpe alte che volevi non vanno bene per la tua schiena.»
Quindi la scusa per non avere le scarpe, adesso, è che ho la scoliosi? Perfetto. Sarò l’unica sfigata della mia classe a non avere le Fornarina, ce le hanno tutte.
«Perché non li metti domani, i vestiti nuovi?» cerca di mediare papà.
Col cavolo che li indosserò. Siamo ormai alle soglie del duemila e ancora con questa stupida usanza che il giorno di Natale bisogna mettersi i vestiti nuovi.
«Non mi piacciono. Sembrerei una ciliegia gigante con sti bagagli addosso.»
"Chi n’arnova la camisa e dè ad Nadèl, e mor ‘t un foss coma un animèl" sentenzia zio Eraldo.
Ci mancava solo lui coi suoi proverbi del cazzo. Che Natale di merda.
***
«Settantantasei!» papà estrae i numeri della tombola gridando neanche fosse in piazza.
Se Sandro fosse qui, lo prenderebbe per il culo per la sua "esse" romagnola, sibilando ad ogni numero che contiene un sei o un sette.
"Shhh...Shettantashei!". Mi manca davvero tantissimo mio fratello.
«Quarantasette, morto che parla!» Mamma mette l'ennesimo fagiolo sulla cartella. «Tombola!»
Meno male! Ha vinto, così la finiamo con questo strazio dei giochi da tavolo.
Oltretutto nonna sonnecchia sul divano già da un pezzo, e non è che ci sia tutto sto divertimento a giocare a tombola in quattro.
«Ma', vai a letto, sei stanca.» la sveglia papà.
Nonna apre gli occhi, un po' disorientata, poi realizza che si trova in casa nostra e guarda l'ora.
«E zóc ad Nadèl? Non lo facciamo quest'anno?»
Zio sorride e prende un grosso ceppo di quelli da ardere. Lo butta nel camino per ravvivare il fuoco.
Poi va in cucina, porta tre sedie e le posiziona a cerchio davanti al camino. Su ognuna di queste, nonna poggia un piattino con gli avanzi del cenone, un po' di biscotti e un bicchiere di vino.
«Scusate, ma cosa state facendo?»
Papà mi spiega che si tratta di una vecchia tradizione contadina secondo la quale la notte di Natale sarebbe arrivata la Sacra Famiglia a fare visita alla casa.
Rido.
«Nel senso...Gesù, Giuseppe e Maria? Come no! Il cibo e il vino sarebbero per loro, immagino.»
«Esatto.» conferma nonna Anita.
«E in quale parte della Bibbia starebbe scritto, sentiamo?» domando scettica.
Zio Eraldo ridacchia. «Da nessuna parte, infatti. La storia della Sacra Famiglia è solo una cazzata inventata dai preti, che devono sempre fare del revisionismo.»
Ecco, conosco quel tono. Adesso parte l'invettiva. Zio Eraldo è un antropologo e ha passato la vita a studiare gli usi e le tradizioni della nostra regione.
«Vedi Lina, tu hai già capito che quella del ceppo di Natale è un’usanza molto più antica del Cristianesimo, che ci riporta a un'epoca remota in cui era il Paganesimo era la religione più diffusa. Una tradizione legata al rinnovarsi delle stagioni e al culto dei morti."
Starei ad ascoltarlo per ore, ma non adesso. Si è fatta una certa e cerco di tagliare corto.
«Quindi niente Madonna né bambinello. Peccato, ci tenevo.» ironizzo.
«No, la storia della Sacra Famiglia è venuta dopo. In origine il cibo che vedi qui era destinato alle anime dei defunti, che sarebbero tornati dall'oltretomba per far visita alla casa e ai suoi abitanti.»
«Ah certo, zio. La tua storia dei morti che ritornano dall'aldilà, è molto più credibile.»
«Sacra Famiglia o no, io me ne vado a letto. Buona notte.» nonna mette fine alla discussione in modo pragmatico, come al suo solito.
Vorrei poter andare a dormire anch’io, ma bisognerebbe che gli altri sgombrassero il salotto e mi lasciassero il divano. Il che, visto che mamma ha appena tirato fuori i superalcolici, mi sa che non succederà tanto presto.
***
Mi sveglio perché ho caldo. Quanto avrò dormito? Forse un'ora, o poco più. Ho fatto una gran fatica ad addormentarmi su questo divano-letto e adesso cos'è ‘sto caldo?
Apro gli occhi e il camino è acceso e scoppiettante.
Strano. Eppure papà aveva spento tutte le braci prima di andare a dormire. Butto l'occhio alla pendola del salotto, le quattro del mattino.
Mi avvicino per spegnere ma la fiamma diventa ancora più viva.
Indietreggio. Fumo. Fumo dappertutto. Non so cosa stia succedendo. Sto per chiamare aiuto quando la cappa fumogena si dirada lasciando intravedere due figure, che si fanno via via più nitide.
Non posso crederci. Davanti a me, seduti sulle sedie di paglia, ci sono un uomo di mezza età e un ragazzo.
L'uomo ha un'aria familiare, anche se non saprei dire chi sia. Porta abiti modesti ma si vede che sono nuovi: una camicia, una giacca marrone scuro e pantaloni di velluto a coste. Ai piedi indossa un paio di scarponi robusti, un fazzoletto rosso al collo. Sembra uno di quei contadini che si vedono nelle vecchie fotografie del dopoguerra, che si mettevano i vestiti della domenica per l'occasione.
Mi saluta con la mano, senza dire una parola.
Il ragazzo invece, lo riconosco subito. Jeans, felpa oversize (ne aveva un armadio pieno!) e le Converse ai piedi. Linde, immacolate. Vestiti nuovi anche per lui. E, soprattutto, i suoi inconfondibili riccioli scuri.
«Ciao Lina!»
Paralisi del sonno. Questo deve essere. Oppure semplicemente un sogno. Perché non è proprio possibile che Sandro, sia qui davanti a me.
«Buon compleanno!»
Non riesco a dire nulla, se non un "grazie" appena udibile. Mio fratello ha la stessa voce adolescenziale, in via di maturazione degli ultimi anni della sua vita. Anche fisicamente è uguale a come lo ricordavo, solo un po' più pallido. Io sono cresciuta, lui no.
"Perché sei qui?"
"Beh… per la cena della vigilia, no?". Sandro indica il piatto accanto alla sua sedia. "Oltre che per farti gli auguri, ovviamente."
"E lui chi è?" Indico il signore seduto accanto a mio fratello, che nel frattempo ha cominciato a bere il vino che avevamo lasciato.
"Il nonno Natale. Ma è vero, tu non lo hai mai conosciuto. A proposito, è anche il suo compleanno, oltre che il tuo. Sarebbe carino se vi faceste gli auguri a vicenda."
Sbarro gli occhi, incredula.
«Allora zio Eraldo… aveva ragione?»
Nonno annuisce con la testa e posa il bicchiere. Poi mi indica, con una smorfia sul viso.
«Che cos'ha?»
«È contrariato perché sei in pigiama. Dove sono il maglione nuovo e la camicetta?»
«Non mi piacciono, non li indosserò mai.»
«Chi n’arnova la camisa e dè ad Nadèl, e mor ‘t un foss coma un animèl» sentenzia mio nonno.
Ha la stessa voce di zio Eraldo, anche se ancora mi sto chiedendo se non sia tutto quanto nella mia testa. E non solo la voce. Sembra una copia sputata dello zio, solo un po’ più magro.
«Anche Eraldo ha detto la stessa cosa, lo stesso proverbio.»
«E chi credi che glielo abbia insegnato, se non lui, che è suo padre?» sorride Sandro, sornione.
Ed è solo allora che mi rendo conto che mio nonno e mio fratello sono in due, ma zio di sedie ne ha preparate tre.
«Quella per chi è?» indico il posto vuoto più vicino al camino, accanto a Sandro.
Sandro mi fa un largo sorriso e batte con la mano sullo schienale della sedia.
«Non lo hai ancora capito che è per te? Accomodati.»
La fiamma nel camino si fa più accesa che mai.
***
27-12-1998
TRAGEDIA DI NATALE: TREDICENNE MUORE IL GIORNO DEL SUO COMPLEANNO
Cervia (Ravenna)
Un tragico Natale quello appena trascorso nella piccola frazione di Villa Inferno.
Alle prime luci dell’alba di venerdì 25 dicembre infatti, N.R, tredici anni appena compiuti, è deceduta nel casolare dove abitava assieme ai genitori. La ragazza, che stava dormendo in salotto, è stata purtroppo raggiunta dalle fiamme di un violentissimo incendio sprigionatosi, con tutta probabilità, dal camino dell’abitazione. A nulla sono valsi i disperati tentativi dello zio della giovane, presente al momento della tragedia, di spegnere le fiamme immergendola in un fossato a pochi metri da casa. All’arrivo dei soccorsi la ragazza, purtroppo, era già deceduta. Illesi gli altri componenti della famiglia.
I vigili del fuoco stanno ancora indagando sulle cause, ancora ignote, dell’incendio.