- Spoiler:
Il mercoledì pomeriggio c’era la nebbia a oscurare il paesaggio. Cristina era seduta sul suo posto preferito in corriera e il finestrino aveva un effetto specchio. Il piumino giallo, il paraorecchie e lo zainetto restituiti dal riflesso le sembrarono accessori da bambina. Chissà cosa penserà Vic? Alitò sul vetro e si mise a disegnare cuoricini.
Un quarto d’ora dopo era davanti a una villetta anni ottanta, con le doppie finestre e tre metri di prato all’ingresso. Uno scatto secco e il cancelletto s’aprì. Cristina attraversò il vialetto; ogni passo, lento, le rimbombava nello stomaco insieme al battito accelerato del cuore. La porta si spalancò e dietro apparvero i due fratelli; sembravano fatti con lo stampino, da quanto s’assomigliavano, ma gli occhi di Cristina brillavano solo per il maggiore.
Vittorio ruppe il silenzio: «Erri, hai visto chi c’è? Saluta.»
«Ciao.»
«Saluta bene.»
«Ciao, Cris.» Senza attendere una risposta, Enrico si girò e salì le scale.
I due, rimasti soli nell’ingresso, si salutarono con un bacino che fece sussultare ancora di più la ragazzina.
«Vuoi darmi le tue cose?»
«Faccio da sola, ormai sono grande.» E ormai l’aveva detto; si sentì stupida per aver pronunciato quelle parole. Aprì il piumino sperando che la zip non s’inceppasse e non le facesse fare altre brutte figure.
Si sistemò i capelli sperando che Vittorio le facesse un complimento su qualsiasi cosa: la maglia, i jeans alla moda o anche solo il sorriso; ma lui disse: «Andiamo di sopra a recuperare Erri.»
Salirono le scale chiacchierando. Quando arrivarono davanti alla cameretta lui le appoggiò le mani sulle spalle e lo stomaco di Cristina si mise a svolazzare. «Dimmi, cosa vuoi fare con la tua amica?»
Enrico iniziò a correre per la cameretta, rischiando di far crollare qualcosa in quell’ordine maniacale.
Il fratello maggiore si staccò da Cristina e fu raggiunto subito dal minore, che l’abbracciò. «Dai, stringiamoci tutti,» propose Vittorio; la ragazzina si lasciò avvolgere dal loro calore.
Enrico voleva spingerla via: «Lui è mio fratello!»
«Io voglio bene a te e anche a lei.» Cristina si sentì al settimo cielo. «È venuta a trovarti, sei felice?»
Veramente sono venuta a trovare te, Vic.
Enrico tentò di fuggire, subito bloccato da Vittorio.
«Come ti senti?»
«Sono felice.»
«Cosa vuoi fare?»
«Voglio giocare con Cris.»
«È qui.»
Enrico si voltò e la guardò negli occhi. Poi scese con lo sguardo a cercarle la mano e intrecciò attentamente le dita nelle sue. Attese che l’amica prendesse l’iniziativa.
«Andate di sotto,» suggerì Vittorio.
Cristina s’avviò ed Enrico la seguì. La ragazzina si trovò con il cuore sospeso tra il piano di sopra, dov’era rimasto Vittorio, e il piano terra, dove andò con il suo amico di ludoteca.
A Enrico piacevano molto le carte e a Cristina non dispiacevano. Nessuno voleva più giocare a Memory con lei perché si ricordava tutto e vinceva sempre; così scelse quel gioco, solo che l’amico era un avversario alla pari. Entrambi non erano abituati a perdere e si trovarono spesso a contare fino a dieci per evitare crisi isteriche.
All’improvviso Enrico s’alzò e si diresse verso le scale senza dire nulla. Cristina lì per lì ci rimase male, poi però ne approfittò per seguirlo al piano di sopra. L’amico si chiuse in bagno e lei si fermò davanti alla cameretta di Vittorio, che stava studiando.
Lui sollevò la testa. «Grazie per essere venuta.»
Cristina si perse nei suoi occhi. «Se vuoi, mi puoi abbracciare.»
Il ragazzo sorrise; s’alzò e andò a stringerla al petto.
Lei gli mise le braccia al collo e attese col corpo in subbuglio. La musica che le suonava nel cervello uscì dalla testa e iniziò a girarle intorno; ma non arrivò altro da Vittorio. Allora si fece coraggio: si scostò per provare a baciarlo.
Il ragazzo interpretò il gesto nel modo che per lui era ovvio e s’allontanò.
Cristina, presa dalla frenesia del momento, gli disse: «Non vuoi baciarmi?»
Vittorio cambiò espressione, come se capisse solo in quel momento. Dopo una breve pausa rispose: «No; non… non mi sembra il caso.»
La ragazzina, con la voce tremante, provò a ribattere: «Dici così perché frequento la ludoteca? Guarda che la neuropsichiatra ha certificato che adesso le cose le capisco, davvero! E capisco che… che… ti voglio bene, cioè… di più.»
In evidente imbarazzo, Vittorio scosse la testa. «No, non è per quello. È che io… non provo la stessa cosa.»
La rabbia esplose senza dare tempo a Cristina di controllarla. Caricò il braccio per sferrare un pugno. «Ti odio!» Quelle parole che in realtà non pensava sembrarono pronunciate da una persona al suo fianco. Si guardò intorno, stupita di non vedere nessuno.
Vittorio s’indicò la spalla. «Colpisci qui.»
Cristina scaricò uno, due, tre volte.
Enrico uscì dal bagno e disse solo: «No.»
«Erri, va tutto bene, stiamo giocando.»
«Ha detto: “ti odio”.»
«Non sono stata io, è stata…» Non dare importanza alle allucinazioni. Ehi: ma come mai Erri ha sentito? Cristina era in confusione e guardò Vittorio in cerca d’aiuto. Lui non mi vuole più bene. Si sentì girare la testa.
Un quarto d’ora dopo era davanti a una villetta anni ottanta, con le doppie finestre e tre metri di prato all’ingresso. Uno scatto secco e il cancelletto s’aprì. Cristina attraversò il vialetto; ogni passo, lento, le rimbombava nello stomaco insieme al battito accelerato del cuore. La porta si spalancò e dietro apparvero i due fratelli; sembravano fatti con lo stampino, da quanto s’assomigliavano, ma gli occhi di Cristina brillavano solo per il maggiore.
Vittorio ruppe il silenzio: «Erri, hai visto chi c’è? Saluta.»
«Ciao.»
«Saluta bene.»
«Ciao, Cris.» Senza attendere una risposta, Enrico si girò e salì le scale.
I due, rimasti soli nell’ingresso, si salutarono con un bacino che fece sussultare ancora di più la ragazzina.
«Vuoi darmi le tue cose?»
«Faccio da sola, ormai sono grande.» E ormai l’aveva detto; si sentì stupida per aver pronunciato quelle parole. Aprì il piumino sperando che la zip non s’inceppasse e non le facesse fare altre brutte figure.
Si sistemò i capelli sperando che Vittorio le facesse un complimento su qualsiasi cosa: la maglia, i jeans alla moda o anche solo il sorriso; ma lui disse: «Andiamo di sopra a recuperare Erri.»
Salirono le scale chiacchierando. Quando arrivarono davanti alla cameretta lui le appoggiò le mani sulle spalle e lo stomaco di Cristina si mise a svolazzare. «Dimmi, cosa vuoi fare con la tua amica?»
Enrico iniziò a correre per la cameretta, rischiando di far crollare qualcosa in quell’ordine maniacale.
Il fratello maggiore si staccò da Cristina e fu raggiunto subito dal minore, che l’abbracciò. «Dai, stringiamoci tutti,» propose Vittorio; la ragazzina si lasciò avvolgere dal loro calore.
Enrico voleva spingerla via: «Lui è mio fratello!»
«Io voglio bene a te e anche a lei.» Cristina si sentì al settimo cielo. «È venuta a trovarti, sei felice?»
Veramente sono venuta a trovare te, Vic.
Enrico tentò di fuggire, subito bloccato da Vittorio.
«Come ti senti?»
«Sono felice.»
«Cosa vuoi fare?»
«Voglio giocare con Cris.»
«È qui.»
Enrico si voltò e la guardò negli occhi. Poi scese con lo sguardo a cercarle la mano e intrecciò attentamente le dita nelle sue. Attese che l’amica prendesse l’iniziativa.
«Andate di sotto,» suggerì Vittorio.
Cristina s’avviò ed Enrico la seguì. La ragazzina si trovò con il cuore sospeso tra il piano di sopra, dov’era rimasto Vittorio, e il piano terra, dove andò con il suo amico di ludoteca.
A Enrico piacevano molto le carte e a Cristina non dispiacevano. Nessuno voleva più giocare a Memory con lei perché si ricordava tutto e vinceva sempre; così scelse quel gioco, solo che l’amico era un avversario alla pari. Entrambi non erano abituati a perdere e si trovarono spesso a contare fino a dieci per evitare crisi isteriche.
All’improvviso Enrico s’alzò e si diresse verso le scale senza dire nulla. Cristina lì per lì ci rimase male, poi però ne approfittò per seguirlo al piano di sopra. L’amico si chiuse in bagno e lei si fermò davanti alla cameretta di Vittorio, che stava studiando.
Lui sollevò la testa. «Grazie per essere venuta.»
Cristina si perse nei suoi occhi. «Se vuoi, mi puoi abbracciare.»
Il ragazzo sorrise; s’alzò e andò a stringerla al petto.
Lei gli mise le braccia al collo e attese col corpo in subbuglio. La musica che le suonava nel cervello uscì dalla testa e iniziò a girarle intorno; ma non arrivò altro da Vittorio. Allora si fece coraggio: si scostò per provare a baciarlo.
Il ragazzo interpretò il gesto nel modo che per lui era ovvio e s’allontanò.
Cristina, presa dalla frenesia del momento, gli disse: «Non vuoi baciarmi?»
Vittorio cambiò espressione, come se capisse solo in quel momento. Dopo una breve pausa rispose: «No; non… non mi sembra il caso.»
La ragazzina, con la voce tremante, provò a ribattere: «Dici così perché frequento la ludoteca? Guarda che la neuropsichiatra ha certificato che adesso le cose le capisco, davvero! E capisco che… che… ti voglio bene, cioè… di più.»
In evidente imbarazzo, Vittorio scosse la testa. «No, non è per quello. È che io… non provo la stessa cosa.»
La rabbia esplose senza dare tempo a Cristina di controllarla. Caricò il braccio per sferrare un pugno. «Ti odio!» Quelle parole che in realtà non pensava sembrarono pronunciate da una persona al suo fianco. Si guardò intorno, stupita di non vedere nessuno.
Vittorio s’indicò la spalla. «Colpisci qui.»
Cristina scaricò uno, due, tre volte.
Enrico uscì dal bagno e disse solo: «No.»
«Erri, va tutto bene, stiamo giocando.»
«Ha detto: “ti odio”.»
«Non sono stata io, è stata…» Non dare importanza alle allucinazioni. Ehi: ma come mai Erri ha sentito? Cristina era in confusione e guardò Vittorio in cerca d’aiuto. Lui non mi vuole più bene. Si sentì girare la testa.