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Lei lesse la scritta sul palmo. Prima che la voce le si bloccasse in gola si rivolse a Gabriele: «Cosa fa Black Canary quand’è incazzata?»
Lui annuì. «Canta.»
Lei ansimò due volte, poi ricordò l’ultima canzone che aveva sentito in cuffia e iniziò: «And we’ll never be royals…»
Nel frattempo, la maestra Nadia si era avvicinata al gruppo dei bulletti. «Ma non vi vergognate? È questo che vi insegnano a casa, a mancare di rispetto a chi è diverso da voi? Smettetela subito, prima che chiami la sicurezza, e non provate mai più a infastidire questi ragazzini!»
Cristina guardò verso il cestino dei rifiuti: non era lontano, sarebbe stato uno sfogo perfetto. «And baby I’ll rule, I’ll rule, I’ll rule…»
Giulia e Gabriele la stavano ancora sorreggendo e questo le trasmise tranquillità. Si sentì abbastanza rilassata. Ma, tornando in silenzio dai compagni, passò vicino a un sacchetto di patatine vuoto, abbandonato su un tavolino del bar; sorrise furba e con un colpo della mano lo buttò a terra.
Enrico fu l’unico a vederla e si mise a ridere forte, attirando l’attenzione su di sé.
Cristina ne approfittò per asciugarsi gli occhi; poi, gettando il fazzolettino, assestò un buffetto al cestino dei rifiuti.
La prima attività consisteva nella costruzione di quadranti, da decorare con dei simboli carnevaleschi nel modo che ciascuna coppia preferiva. Il centro commerciale aveva messo a disposizione un sacco di materiale.
Gabriele doveva imparare a trattenersi dal fare tutto: si sforzò a delegare parte delle operazioni a Enrico, che non vedeva l’ora di scontornare e incastrare.
A Giulia piaceva il decoupage, perciò Cristina ritagliò un sacco di maschere da far incollare alla compagna. Poi usò dei fili colorati per simulare le stelle filanti e infine si occupò degli incastri, mentre l’amica diede i tocchi di vernice finale.
Ogni coppia creò due lavori, in modo che ciascuno avesse qualcosa da portare a casa.
Anche la merenda fu pensata come un’attività didattica: tutti avevano portato qualcosa, ma chi desiderava poteva andare alla cassa del bar; un passo verso l’autonomia personale che entusiasmò soprattutto gli allievi di Angela.
L’ultima attività del pomeriggio fu la visita libera al centro commerciale.
Cristina e Giulia entrarono con curiosità in un negozio di abbigliamento. Iniziarono a esplorare il reparto delle ragazze alla ricerca di qualcosa di speciale.
Dopo un po’ che si aggiravano tra i vestiti, furono avvicinate da una giovane commessa con la coda di cavallo e il look alla moda; si rivolse a Cristina: «Ciao, hai bisogno di aiuto?»
Lei si guardò intorno seria e non rispose.
Giulia si avvicinò. «Ciao. Posso chiedere io, per favore? Mi piacerebbe trovare un vestito colorato di verde o di azzurro.»
La commessa guardò imbarazzata la ragazzina down, poi si rivolse di nuovo a Cristina: «Siete insieme?»
Lei nel frattempo aveva sospirato e ritrovato il sorriso. «Sì.»
«Abbiamo qualcosa di colorato più avanti, se vuoi portare là tua sorella…»
Le ragazzine ridacchiarono.
«Non siamo sorelle.»
«Scusa. È tua cugina?»
«No, siamo amiche.»
La commessa guardò l’una, poi l’altra. «Ah… Ehm, se hai bisogno di aiuto chiamami pure. Ok?»
«Ok.»
Cristina e Giulia si specchiarono vicine per vedere se davvero si somigliassero così tanto; poi, poco convinte, andarono più avanti dove gli era stato indicato. Non comprarono nulla, ma si divertirono molto a fingere di fare shopping. Furono anche attente a lasciare tutto in ordine come lo avevano trovato.
Cristina arrivò a casa carica e felice. Portò lo zaino in camera poi, sotto al disegno di Gabriele, scrisse Black Canary. Strofinò il palmo con il pollice per cancellare la scritta e infine si lavò attentamente con il sapone.
Si sentiva così motivata che, dopo aver raccontato gli avvenimenti del pomeriggio, decise di affrontare i genitori per un ultimo tentativo.
«Ci ho pensato su, come mi avete chiesto. Vorrei davvero fare i Geometri.»
La madre sbottò. «Ma non se ne parla…»
Il padre mantenne la calma. «Lo capisci che senza aiuti rischi di perdere l’anno?»
Cristina cercò di non torturare la forchetta che stringeva nella mano. «Pazienza se perderò l’anno, almeno ci avrei provato!»
La donna, stranamente, non alzò la voce. «Non ti vergogneresti a essere bocciata ai Geometri?»
La ragazzina controllò il respiro, poi rispose: «Sarebbe… molto più brutto essere bocciata al Don Bosco, non… avrei nemmeno il coraggio di farmi più vedere dai miei amici!»
La madre inspirò; puntò il dito facendolo oscillare diverse volte senza parlare. «È vero.»
Cristina strinse la forchetta dalla parte che faceva meno male.
«E sia! Andrai ai Geometri. Però se viene fuori una brutta pagella tra due settimane giuro che vado io stessa in segreteria e sposto l’iscrizione. Chiaro?»
La ragazzina sorrise; rimise la posata sul tavolo e annuì.
E mentre canticchiava felice in camera sua davanti al computer, le sembrò di sentire la voce di sua madre: «Se venisse bocciata al Don Bosco non potrei più farmi vedere dalle mie amiche.»
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