Dal giorno che nessuno conosce
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Dal giorno che nessuno conosce
Io Iperide, spirito di colui che scruta dall’alto, l’ultimo dei Dodici Angeli a guardia del Mondo Inferiore, sono stato predestinato per salvare il pianeta Terra. Sulla mia fronte è stato posto il sigillo dell’Impossibile.
Mi fu ordinato di distruggere i Troni del Male, nelle Sette Città abitate dai Terroidi, prima che diventassero padroni della Terra e proclamassero l’Apocalisse.
Ho scolpito con gli occhi queste tavole perché conosciate gli eventi. Se a voi giungeranno, amici miei carissimi, significherà che la lotta è andata a buon fine. Se riuscirete a comprendere il mio linguaggio, sarà perché anche voi sarete amanti del Bene.
Iniziai che era da poco passata la mezzanotte.
Mi allontanai dalla mia posizione celeste, scesi i novecentonovantanove scalini e arrivai al Lago Verde. L’acqua mi coprì interamente e il mio spirito riemerse con le sembianze di una giovane donna. Conobbi il mio nome, Sapphira, e contemplai la bellezza del mio corpo. Una lunga veste blu lo avvolgeva, impreziosita da un filo di perle appena sotto i due grandi seni, di cui io stesso mi imbarazzai. Sopra uno dei due era appuntata una spilla a forma di orso. Capelli rosso tramonto erano raccolti da un nastro dello stesso colore del vestito. Nella tasca sinistra trovai un paio di occhiali da sole, nella destra una bottiglietta di olio di papavero. A tracolla portavo un piccolo flauto di Pan.
L’equipaggiamento mi sembrò assai inadeguato per affrontare l’impresa, ma presto conobbi l’autorità a cui sarei stato innalzato. Si trattava di logotopia, Il logos mi avrebbe aperto le porte del topos.
Ebbi così la visione delle Sette Città che avrei dovuto affrontare, nominarle mi avrebbe permesso di trasportarmi, in spirito e in materia.
Per prima dissi Heliópolis e il mio corpo fu nella più grande favelas della Terra.
I Terroidi erano uomini e donne, avanti negli anni, malvestiti, con i corpi cadenti e le bocche sdentate. Si trascinavano per le strade polverose, vivendo in baracche, con porte senza cardini e finestre senza pareti. Grosse tartarughe accompagnavano il loro lento procedere verso nessuna direzione.
“Anche tu qui,” mi disse una Terroide, come se mi conoscesse.
Abbassò lo sguardo e continuò: “È inutile che tu vada avanti, cosa pensi di fare? Tanto non serve a niente.” Aveva la voce sottile, tedio e noia mi raggiunsero come proiettili che feci fatica a schivare. Mi prese un torpore, un’incapacità di pensare qualsiasi azione, figuriamoci affrontare l’Impossibile. Non riuscivo a tenere gli occhi aperti e stavo sprofondando nella disperazione.
L’ultima volontà la usai per sollevare le gambe e iniziare a correre. Non mi fermai neppure quando sentii afferrarmi le caviglie. Il mio stesso vestito diventò ali e più correvo più mi tornava in mente la missione per cui ero stato chiamato.
Arrivai al trono del re di Heliópolis, il Vecchio. Stava seduto sul trono, una sedia sgangherata. Sollevò il viso raggrinzito come quello di una vecchia testuggine. Mi afferrò con le braccia alitandomi addosso: “Rimani con me, non raggiungerai mai il tuo scopo. Tutta la Terra sprofonderà nella disperazione.”
“Solo menzogne”, gli urlai, “Lo scopo c’è e io l’ho trovato.”
Pensai, amici miei, a tutto l’amore di cui io ero stato capace. Per noi Angeli del Mondo Superiore, amare è l’unico comandamento.
Dibattendomi, mi liberai, lasciandogli tra le dita il nastro dei miei capelli che prese fuoco. Bruciò il re incartapecorito, il trono sgangherato, le porte senza cardini, le finestre senza pareti, le baracche e tutti gli abitanti di Heliópolis. L’amore donato, come uno scudo, mi aveva protetto.
Un nuovo sole apparve all’orizzonte e il mio viso si sollevò per accogliere la nuova visione.
Per seconda dissi Guiyu, e il mio corpo fu nella città più grassa della Terra.
La porta sembrava la bocca di un orso da cui usciva un alito mefitico. Sollevai la veste perché non si impigliasse nei denti aguzzi e converrete con me che non fosse l’abbigliamento più appropriato. Le strade erano ingombre di detriti e scarti, carcasse di ogni genere e forma, da cui si alzavano fumi maleodoranti e polveri vischiose.
Gli abitanti avevano capelli unti e si muovevano distesi, con movimenti lenti. Si accompagnavano a maiali e come loro si nutrivano.
“Che fai, non ti unisci al banchetto?” sentii dire a una Terroide. “Vieni, non immagini il gusto che c’è a rimischiare per trovare qualche succosa prelibatezza.”
Come attirata da una voglia indefinibile, le diedi retta, ma riemersi subito, disgustata. Il vestito era lurido e, scavalcando carcasse di auto, frigoriferi e pneumatici in fiamme, arrivai in cima alla discarica, dove era collocato il trono della Regina. L’Ingorda, dal collo lungo, aveva gli occhi infossati nel grasso e mi squadrò da capo a piedi.
Nel mio corpo magro e sinuoso vide l’affronto: “Io mangio di tutto ma non ingrasso, perché so quando fermarmi.” Capì che ero una minaccia per lei e i suoi abitanti. Chiamò quattro orsi bruni che a comando si drizzarono sulle zampe posteriori ed emisero feroci ruggiti.
“Vedo che hai già conosciuto i miei sudditi. Sono talmente golosi! Non per fame ma per puro gusto si cibano dei loro scarti. Più si ingozzano e più ne vogliono.” La cosa doveva divertirla perché fece una grassa risata.
“Coprirò tutta la Terra di rifiuti fino a soffocarla. La porterò alla distruzione,” disse con la bocca deforme per quello che entrava oppure stava uscendo.
Mi voltai dall’altra parte per il disgusto e quasi mi fu fatale.
Gli orsi mi furono addosso, allora presi la spilla dal petto e mi bucai i polsi. Al posto di sangue uscì miele rosato. Gli sparai il liquido appiccicoso come una rete in cui si avvoltolarono per mangiarne quanto più potevano, fino a restare intrappolati nel loro stesso piacere.
L’Ingorda si mosse per raggiungere la grossa maniglia sotto il suo trono e farmi sprofondare, ma io arrivai più velocemente. La botola si aprì e i rifiuti vennero risucchiati nell’abisso. Un’enorme eruzione fece emergere dalle profondità fuoco e piombo. I Terroidi, con le bocche aperte, se ne nutrirono e quello fu l’ultimo pasto.
Il sole abbagliò il mio volto radioso e mi apparve la nuova visione.
Per terza dissi Bikhibai, e fui nella città più ricca del mondo. Ero sopra il grattacielo più alto e vi confesso che mi procurò un’inspiegabile vertigine. Il panorama cambiava continuamente, spuntavano isole artificiali, edifici dalle forme improbabili e dal lusso stratosferico.
“Non sappiamo dove mettere tutti i nostri beni. Non ci sono più mari dove parcheggiare i panfili, i cieli non bastano per i nostri jet”, disse un Terroide ricoperto d’oro. Mandava un profumo buonissimo, un distillato di stella alpina e rosa del deserto. Non resistetti e gli chiesi dove potevo comprarlo. “È costosissimo!” disse, ridendomi in faccia.
La città era circondata da un fossato di oro fuso. I Terroidi entravano nelle acque e risalivano coperti di una tunica dorata che gli scendeva dal capo fino ai piedi, coprendone il viso.
Il lusso era ovunque, ma le ricchezze non erano condivisibili, per non rischiare di vederle diminuire.
Arrivai al trono della regina, la Ricca. Famelici lupi mi circondarono e, quando la regina con un fischio li richiamò a sé, mi lasciarono passare.
Sebbene fosse ricoperta di ori, diamanti e di tutte le pietre preziose esistenti, riuscì ugualmente a vedere il mio filo di perle. Aveva il respiro affannoso, avrei voluto dirle che erano false, ma non mi diede il tempo perché proclamò: “Nel mio regno è reato fare del bene agli altri. Lottiamo tra noi per accrescere le ricchezze, e per questo diffidiamo gli uni dagli altri”.
“Qual è la tua gioia più grande?” le chiesi cercando sotto l’oro dove fossero gli occhi.
“Quella che ancora non possiedo. La povertà è destinata a scomparire. I poveri si estingueranno, quando tutte le ricchezze della Terra saranno in mio possesso.”
Come se avesse un lanciarazzi ai piedi, si avventò sopra di me per afferrare la collana, ma tirandola le perle si sfilarono. Le lanciai nelle quattro direzioni e da ognuna di esse si generò una bufera di vento. Le tuniche d’oro, che ricoprivano gli abitanti di Bikhibai, si sollevarono e si dissolsero come pulviscolo. La Ricca mi apparve in tutto il suo squallore, magra e pallida, come i suoi sudditi era ricoperta di soli stracci. Nessuna ricchezza era riuscita a salvarli.
Tutte le ricchezze furono risucchiate nel cuore del ciclone. Nulla rimase se non la dura pietra dietro cui vedevo spuntare il sole del nuovo giorno. Piegai il viso per accoglierne il calore ed ebbi la quarta visione.
Dissi Goa e fui nella città dei bambini contaminati. Vidi spiagge bianchissime con palme e acque cristalline, ma sembravano disabitate e nessuno godeva della bellezza del posto. I Terroidi erano tutti presi a godere di altri piaceri. Mi assalì un olezzo nauseante di carne e di sesso, di sperma e umori, inequivocabili anche per uno spirito puro come me. Vidi Terroidi giacere in amplessi con bambini di sesso maschile o femminile, senza alcuna differenza.
“Sei vecchia, ma se vuoi unirti…magari, nel mucchio, piaci a qualcuno,” mi disse un Terroide facendo capolino da sotto i corpi avvinghiati.
“Io vecchia? Ma vi rendete conto? Nel Mondo Superiore un giorno è come mille anni e mille anni un giorno, pensate che concezione abbiamo del tempo!”
Oltre a gemiti di piacere, non un lamento usciva dalle bocche dei bambini, sebbene subissero le peggiori atrocità.
“Non conoscono altro,” mi rispose una Terroide, leggendomi nel pensiero, “vengono al mondo solo per procurarci piacere.”
Provai una stretta al cuore, se ne avessi avuto uno. Capii il senso delle sue parole, quando vidi come vivevano. Le case erano piccole e con enormi finestre oscurate, di giorno e di notte, da grossi tendaggi color porpora. L’atmosfera era pesante e cupa e li privava della luce e dell’azzurro dei cieli.
Arrivai al trono del re di Goa, il Bello. Ai suoi piedi la palude infuocata era infestata da coccodrilli. Mi apparve come un dio, di indiscutibile bellezza. Si avvicinò lasciando i bambini che lo bramavano, e parlando di loro mi disse: “Da adulti saranno perversi come noi, faranno nascere altri bambini per lo stesso scopo, una deliziosa copertina che si allargherà fino a coprire tutta la Terra.”
Con i suoi occhi cobalto, lo sguardo perforante e la bocca umida di piacere, cercò di circuirmi. “Cacchio, finalmente qualcuno che si accorge della mia bellezza,” fu il pensiero idiota che mi venne.
La mia missione era un’altra e, in un momento di lucidità, prevalse.
Mentre fingevo di cedere alle sue lusinghe, cercai il modo per combatterlo.
“Sono pazzo di te, dei tuoi enormi seni,” mi disse dandomi la conferma che erano davvero troppo grandi. Invece di baciarlo, misi alla bocca il flauto di Pan. Riuscii a produrre note dalla frequenza di molto al di sopra del limite dell’udibilità. I coccodrilli, infastiditi, si gettarono nella palude infuocata. Dal viso del re si disintegrò la bella maschera e comparve il suo aspetto ripugnante.
Le onde sonore trasformarono l’oro in acqua e l’acqua in ghiaccio. Il re e i Terroidi di Goa furono intrappolati e i loro calori, seppure bollenti, non riuscirono a liberarli.
Squarciai i tendaggi e i bambini videro, per la prima volta, pezzi di cielo con aquiloni e tutte le meraviglie della loro età.
Amici miei, il sole splendette ancora più forte e radioso quando mi riscaldò il volto ed ebbi la quinta visione.
Ahvaz dissi e subito fui nella regione più arida della Terra. Una tempesta di sabbia mi accolse sferzando l'aria spettrale e irrespirabile.
“E tu chi cazzo sei?” s’infiammò un giovane con un pugnale in mano e gli occhi infuocati.
Aveva il viso deforme e dalla bocca a ghigno uscivano solo parole offensive.
“Porta il tuo grosso culo da un’altra parte”, sentii urlare a una Terroide, “tornatene da dove sei venuta e non rompere i coglioni,” e mi sputò addosso.
Compagni miei, non sapevo cosa rispondere, e allora tacqui. Erano talmente pieni di odio, la sabbia entrava nei loro occhi e li accecava. Si coprivano di morsi con ferocia, ferendosi l’un l’altro.
Quando gliene chiesi il motivo mi risposero: “E chi cazzo se lo ricorda più. Chi ci comanda non tollera debolezze. Ha iniziato il nostro re, e ormai non c’è verso di fare altro.”
Tra urla e insulti, arrivai al trono del Bellicoso.
Aveva spalle grandi, il viso gonfio, occhi rosso fuoco e dalle narici usciva fumo.
“Chi è quello stronzo che ti ha fatto passare?” e mi sputò. Pensai che dovesse essere il loro modo per salutare e risposi al suo sputo.
“Io ti disintegro, merda schifosa! La mia specialità è distruggere quelli come te,” mi disse con un tono spaventosamente calmo, “Io sono incazzato anche quando sogno.”
“Addirittura. E che cavolo!” mi venne da dirgli.
“Ho le armi più potenti per disintegrare i nemici. Le guerre porteranno la Terra alla fine dei giorni.”
Ci misi poco a capire che con un tipo del genere era inutile discutere. Presi dalla tasca la bottiglietta con l’olio di papavero, ne strofinai due o tre gocce sui palmi delle mani e glieli sfregai sul naso. Nella lotta la bottiglietta mi cadde, versando il suo prezioso contenuto. Vi lascio immaginare gli effetti benefici che esso produsse su tutti gli abitanti della città. Era ovunque un Peace & Love.
Il nuovo sole sorse, chiusi gli occhi e mi lasciai riscaldare per accogliere la sesta visione.
Ronda dissi e subito fui nella città sullo strapiombo. La spaccatura era impressionante, la Terra in quel punto sembrava finita. Non vi erano ponti che conducessero dall’altra parte che nemmeno esisteva. I Terroidi sembravano tronchi senza linfa, scavati e vuoti. Le mani erano secche come rami e le dita erano contorte come vecchie radici. Avevano un occhio cucito con filo di ferro e l’altro ruotava come quello dei camaleonti.
“Tu sì che sei più bella di me,” sentii una voce venire da sotto una corteccia grinzosa.
“Che occhi, che corpo, e che seno…”
“Ci risiamo,” pensai.
“Guarda io come sono piatta.”
Effettivamente lo era e non mi venne da contraddirla.
Sul suo corpo avvizzito strisciavano vermi che scavavano cercando di cibarsi del poco nutrimento. Non fu una bella visione, mi crederete. Mi spinsi nel centro di Ronda e arrivai al castello che si affacciava sul dirupo.
Mi venne incontro il re, il Secco, un’ombra lacera con indosso una ruvida veste fatta di stracci. Aveva entrambi gli occhi cuciti con del filo di ferro e avanzava a tentoni.
“Hai già conosciuto gli abitanti della mia città? Si appoggiano l’un l’altro sull'orlo del burrone. Una volta erano come fratelli, pensa, e adesso non si conoscono nemmeno.”
Fece una risatina acida e poi continuò: “Uno dopo l’altro si spingono di sotto, ciechi per l’invidia che provano gli uni verso gli altri. Che idioti.”
Poi rivolgendosi a me: “Tu non sei come loro”.
Si avvicinò tastandomi fino ad arrivare al viso. “Lascia che cucia i tuoi occhi perché tu non veda. Tutta la Terra un giorno sarà cieca e i suoi abitanti precipiteranno nella follia.”
Ma, prima che mi trapuntasse le palpebre, indossai gli occhiali da sole e fuggii verso la rupe. Mi seguì cieco di odio ma non vide l’orlo e precipitò come un macigno. I Terroidi di Ronda, senza il loro re, fecero il resto, spingendosi l’un l’altro dal precipizio.
Un nuovo sole sorse e mi portò l’ultima visione.
Dissi Hybris e subito fui nella Città degli Specchi. L’intera metropoli si rifletteva e si centuplicava all’infinito. Costruzioni enormi quanto montagne erano completamente ricoperti da specchi. Vidi i Terroidi guardarsi in ogni superficie riflettente. Non avevano coscienza di chi stava loro intorno, e neppure di loro stessi se non attraverso l’immagine che gli veniva rimandata.
Arrivai indisturbato al trono della bellissima regina, l’Altera, dal collo rigido, vestita di rosso. Si accompagnava a un pavone, perennemente in procinto di fare la ruota.
Teneva nelle mani due specchi dalla cornice d’oro, nella sinistra quello con cui contemplava se stessa, nella destra quello con cui rifletteva raggi malati verso i suoi sudditi.
Voleva abbagliarli e con essi tutti gli abitanti della Terra.
“Sei un essere inferiore, un errore del creato, non vali nulla e non riuscirai a scalfire la mia superiorità. Con me nessuno vince, perché nessuno è al di sopra,” disse e puntò lo specchio della mano destra verso di me. Il fato volle che avessi ancora gli occhiali da sole e riuscii a parare il colpo.
Mi servii di un diamante, appartenuto alla Ricca e finito provvidenzialmente nella mia generosa scollatura. Mi servì per tagliare tutti gli specchi in mille pezzi.
La regina si afflosciò come un sacco di iuta vuoto sopra le schegge, cercando di ritrovare il suo volto in mezzo ai frantumi. Si procurò, come tutti gli abitanti di Hybris, solo tagli mortali.
Un nuovo sole filtrò, illuminando ancora una volta il mio viso.
Non dissi alcuna parola, invece udii una voce che diceva: “La colazione è pronta.”
Mi stupii e non capii, finché non mi apparve la visione.
Mia madre, in vestaglia, stava sulla porta della mia stanza.
Mi trovò in pigiama, con gli occhiali da sole, davanti allo schermo del pc.
“Ma tu sei scemo!” fu l’inaspettata reazione.
Il suo sguardo si spostava da me al letto intatto, finché non urlò: “Tutta la notte a giocare…e i professori dicono che dormi in classe! Ci credo!”
“Donna, stanotte ho salvato il pianeta Terra dalla distruzione finale. Puoi stare tranquilla, l’apocalisse è rimandata. Ma tu che ne sai…” risposi in totale sicurezza.
Un ceffone a mano aperta mi arrivò in piena faccia, facendomi girare la Terra e gli altri pianeti.
Sarete d’accordo con me, amici miei fidati, se dico che la gratitudine non è di questo mondo.
Mi fu ordinato di distruggere i Troni del Male, nelle Sette Città abitate dai Terroidi, prima che diventassero padroni della Terra e proclamassero l’Apocalisse.
Ho scolpito con gli occhi queste tavole perché conosciate gli eventi. Se a voi giungeranno, amici miei carissimi, significherà che la lotta è andata a buon fine. Se riuscirete a comprendere il mio linguaggio, sarà perché anche voi sarete amanti del Bene.
Iniziai che era da poco passata la mezzanotte.
Mi allontanai dalla mia posizione celeste, scesi i novecentonovantanove scalini e arrivai al Lago Verde. L’acqua mi coprì interamente e il mio spirito riemerse con le sembianze di una giovane donna. Conobbi il mio nome, Sapphira, e contemplai la bellezza del mio corpo. Una lunga veste blu lo avvolgeva, impreziosita da un filo di perle appena sotto i due grandi seni, di cui io stesso mi imbarazzai. Sopra uno dei due era appuntata una spilla a forma di orso. Capelli rosso tramonto erano raccolti da un nastro dello stesso colore del vestito. Nella tasca sinistra trovai un paio di occhiali da sole, nella destra una bottiglietta di olio di papavero. A tracolla portavo un piccolo flauto di Pan.
L’equipaggiamento mi sembrò assai inadeguato per affrontare l’impresa, ma presto conobbi l’autorità a cui sarei stato innalzato. Si trattava di logotopia, Il logos mi avrebbe aperto le porte del topos.
Ebbi così la visione delle Sette Città che avrei dovuto affrontare, nominarle mi avrebbe permesso di trasportarmi, in spirito e in materia.
Per prima dissi Heliópolis e il mio corpo fu nella più grande favelas della Terra.
I Terroidi erano uomini e donne, avanti negli anni, malvestiti, con i corpi cadenti e le bocche sdentate. Si trascinavano per le strade polverose, vivendo in baracche, con porte senza cardini e finestre senza pareti. Grosse tartarughe accompagnavano il loro lento procedere verso nessuna direzione.
“Anche tu qui,” mi disse una Terroide, come se mi conoscesse.
Abbassò lo sguardo e continuò: “È inutile che tu vada avanti, cosa pensi di fare? Tanto non serve a niente.” Aveva la voce sottile, tedio e noia mi raggiunsero come proiettili che feci fatica a schivare. Mi prese un torpore, un’incapacità di pensare qualsiasi azione, figuriamoci affrontare l’Impossibile. Non riuscivo a tenere gli occhi aperti e stavo sprofondando nella disperazione.
L’ultima volontà la usai per sollevare le gambe e iniziare a correre. Non mi fermai neppure quando sentii afferrarmi le caviglie. Il mio stesso vestito diventò ali e più correvo più mi tornava in mente la missione per cui ero stato chiamato.
Arrivai al trono del re di Heliópolis, il Vecchio. Stava seduto sul trono, una sedia sgangherata. Sollevò il viso raggrinzito come quello di una vecchia testuggine. Mi afferrò con le braccia alitandomi addosso: “Rimani con me, non raggiungerai mai il tuo scopo. Tutta la Terra sprofonderà nella disperazione.”
“Solo menzogne”, gli urlai, “Lo scopo c’è e io l’ho trovato.”
Pensai, amici miei, a tutto l’amore di cui io ero stato capace. Per noi Angeli del Mondo Superiore, amare è l’unico comandamento.
Dibattendomi, mi liberai, lasciandogli tra le dita il nastro dei miei capelli che prese fuoco. Bruciò il re incartapecorito, il trono sgangherato, le porte senza cardini, le finestre senza pareti, le baracche e tutti gli abitanti di Heliópolis. L’amore donato, come uno scudo, mi aveva protetto.
Un nuovo sole apparve all’orizzonte e il mio viso si sollevò per accogliere la nuova visione.
Per seconda dissi Guiyu, e il mio corpo fu nella città più grassa della Terra.
La porta sembrava la bocca di un orso da cui usciva un alito mefitico. Sollevai la veste perché non si impigliasse nei denti aguzzi e converrete con me che non fosse l’abbigliamento più appropriato. Le strade erano ingombre di detriti e scarti, carcasse di ogni genere e forma, da cui si alzavano fumi maleodoranti e polveri vischiose.
Gli abitanti avevano capelli unti e si muovevano distesi, con movimenti lenti. Si accompagnavano a maiali e come loro si nutrivano.
“Che fai, non ti unisci al banchetto?” sentii dire a una Terroide. “Vieni, non immagini il gusto che c’è a rimischiare per trovare qualche succosa prelibatezza.”
Come attirata da una voglia indefinibile, le diedi retta, ma riemersi subito, disgustata. Il vestito era lurido e, scavalcando carcasse di auto, frigoriferi e pneumatici in fiamme, arrivai in cima alla discarica, dove era collocato il trono della Regina. L’Ingorda, dal collo lungo, aveva gli occhi infossati nel grasso e mi squadrò da capo a piedi.
Nel mio corpo magro e sinuoso vide l’affronto: “Io mangio di tutto ma non ingrasso, perché so quando fermarmi.” Capì che ero una minaccia per lei e i suoi abitanti. Chiamò quattro orsi bruni che a comando si drizzarono sulle zampe posteriori ed emisero feroci ruggiti.
“Vedo che hai già conosciuto i miei sudditi. Sono talmente golosi! Non per fame ma per puro gusto si cibano dei loro scarti. Più si ingozzano e più ne vogliono.” La cosa doveva divertirla perché fece una grassa risata.
“Coprirò tutta la Terra di rifiuti fino a soffocarla. La porterò alla distruzione,” disse con la bocca deforme per quello che entrava oppure stava uscendo.
Mi voltai dall’altra parte per il disgusto e quasi mi fu fatale.
Gli orsi mi furono addosso, allora presi la spilla dal petto e mi bucai i polsi. Al posto di sangue uscì miele rosato. Gli sparai il liquido appiccicoso come una rete in cui si avvoltolarono per mangiarne quanto più potevano, fino a restare intrappolati nel loro stesso piacere.
L’Ingorda si mosse per raggiungere la grossa maniglia sotto il suo trono e farmi sprofondare, ma io arrivai più velocemente. La botola si aprì e i rifiuti vennero risucchiati nell’abisso. Un’enorme eruzione fece emergere dalle profondità fuoco e piombo. I Terroidi, con le bocche aperte, se ne nutrirono e quello fu l’ultimo pasto.
Il sole abbagliò il mio volto radioso e mi apparve la nuova visione.
Per terza dissi Bikhibai, e fui nella città più ricca del mondo. Ero sopra il grattacielo più alto e vi confesso che mi procurò un’inspiegabile vertigine. Il panorama cambiava continuamente, spuntavano isole artificiali, edifici dalle forme improbabili e dal lusso stratosferico.
“Non sappiamo dove mettere tutti i nostri beni. Non ci sono più mari dove parcheggiare i panfili, i cieli non bastano per i nostri jet”, disse un Terroide ricoperto d’oro. Mandava un profumo buonissimo, un distillato di stella alpina e rosa del deserto. Non resistetti e gli chiesi dove potevo comprarlo. “È costosissimo!” disse, ridendomi in faccia.
La città era circondata da un fossato di oro fuso. I Terroidi entravano nelle acque e risalivano coperti di una tunica dorata che gli scendeva dal capo fino ai piedi, coprendone il viso.
Il lusso era ovunque, ma le ricchezze non erano condivisibili, per non rischiare di vederle diminuire.
Arrivai al trono della regina, la Ricca. Famelici lupi mi circondarono e, quando la regina con un fischio li richiamò a sé, mi lasciarono passare.
Sebbene fosse ricoperta di ori, diamanti e di tutte le pietre preziose esistenti, riuscì ugualmente a vedere il mio filo di perle. Aveva il respiro affannoso, avrei voluto dirle che erano false, ma non mi diede il tempo perché proclamò: “Nel mio regno è reato fare del bene agli altri. Lottiamo tra noi per accrescere le ricchezze, e per questo diffidiamo gli uni dagli altri”.
“Qual è la tua gioia più grande?” le chiesi cercando sotto l’oro dove fossero gli occhi.
“Quella che ancora non possiedo. La povertà è destinata a scomparire. I poveri si estingueranno, quando tutte le ricchezze della Terra saranno in mio possesso.”
Come se avesse un lanciarazzi ai piedi, si avventò sopra di me per afferrare la collana, ma tirandola le perle si sfilarono. Le lanciai nelle quattro direzioni e da ognuna di esse si generò una bufera di vento. Le tuniche d’oro, che ricoprivano gli abitanti di Bikhibai, si sollevarono e si dissolsero come pulviscolo. La Ricca mi apparve in tutto il suo squallore, magra e pallida, come i suoi sudditi era ricoperta di soli stracci. Nessuna ricchezza era riuscita a salvarli.
Tutte le ricchezze furono risucchiate nel cuore del ciclone. Nulla rimase se non la dura pietra dietro cui vedevo spuntare il sole del nuovo giorno. Piegai il viso per accoglierne il calore ed ebbi la quarta visione.
Dissi Goa e fui nella città dei bambini contaminati. Vidi spiagge bianchissime con palme e acque cristalline, ma sembravano disabitate e nessuno godeva della bellezza del posto. I Terroidi erano tutti presi a godere di altri piaceri. Mi assalì un olezzo nauseante di carne e di sesso, di sperma e umori, inequivocabili anche per uno spirito puro come me. Vidi Terroidi giacere in amplessi con bambini di sesso maschile o femminile, senza alcuna differenza.
“Sei vecchia, ma se vuoi unirti…magari, nel mucchio, piaci a qualcuno,” mi disse un Terroide facendo capolino da sotto i corpi avvinghiati.
“Io vecchia? Ma vi rendete conto? Nel Mondo Superiore un giorno è come mille anni e mille anni un giorno, pensate che concezione abbiamo del tempo!”
Oltre a gemiti di piacere, non un lamento usciva dalle bocche dei bambini, sebbene subissero le peggiori atrocità.
“Non conoscono altro,” mi rispose una Terroide, leggendomi nel pensiero, “vengono al mondo solo per procurarci piacere.”
Provai una stretta al cuore, se ne avessi avuto uno. Capii il senso delle sue parole, quando vidi come vivevano. Le case erano piccole e con enormi finestre oscurate, di giorno e di notte, da grossi tendaggi color porpora. L’atmosfera era pesante e cupa e li privava della luce e dell’azzurro dei cieli.
Arrivai al trono del re di Goa, il Bello. Ai suoi piedi la palude infuocata era infestata da coccodrilli. Mi apparve come un dio, di indiscutibile bellezza. Si avvicinò lasciando i bambini che lo bramavano, e parlando di loro mi disse: “Da adulti saranno perversi come noi, faranno nascere altri bambini per lo stesso scopo, una deliziosa copertina che si allargherà fino a coprire tutta la Terra.”
Con i suoi occhi cobalto, lo sguardo perforante e la bocca umida di piacere, cercò di circuirmi. “Cacchio, finalmente qualcuno che si accorge della mia bellezza,” fu il pensiero idiota che mi venne.
La mia missione era un’altra e, in un momento di lucidità, prevalse.
Mentre fingevo di cedere alle sue lusinghe, cercai il modo per combatterlo.
“Sono pazzo di te, dei tuoi enormi seni,” mi disse dandomi la conferma che erano davvero troppo grandi. Invece di baciarlo, misi alla bocca il flauto di Pan. Riuscii a produrre note dalla frequenza di molto al di sopra del limite dell’udibilità. I coccodrilli, infastiditi, si gettarono nella palude infuocata. Dal viso del re si disintegrò la bella maschera e comparve il suo aspetto ripugnante.
Le onde sonore trasformarono l’oro in acqua e l’acqua in ghiaccio. Il re e i Terroidi di Goa furono intrappolati e i loro calori, seppure bollenti, non riuscirono a liberarli.
Squarciai i tendaggi e i bambini videro, per la prima volta, pezzi di cielo con aquiloni e tutte le meraviglie della loro età.
Amici miei, il sole splendette ancora più forte e radioso quando mi riscaldò il volto ed ebbi la quinta visione.
Ahvaz dissi e subito fui nella regione più arida della Terra. Una tempesta di sabbia mi accolse sferzando l'aria spettrale e irrespirabile.
“E tu chi cazzo sei?” s’infiammò un giovane con un pugnale in mano e gli occhi infuocati.
Aveva il viso deforme e dalla bocca a ghigno uscivano solo parole offensive.
“Porta il tuo grosso culo da un’altra parte”, sentii urlare a una Terroide, “tornatene da dove sei venuta e non rompere i coglioni,” e mi sputò addosso.
Compagni miei, non sapevo cosa rispondere, e allora tacqui. Erano talmente pieni di odio, la sabbia entrava nei loro occhi e li accecava. Si coprivano di morsi con ferocia, ferendosi l’un l’altro.
Quando gliene chiesi il motivo mi risposero: “E chi cazzo se lo ricorda più. Chi ci comanda non tollera debolezze. Ha iniziato il nostro re, e ormai non c’è verso di fare altro.”
Tra urla e insulti, arrivai al trono del Bellicoso.
Aveva spalle grandi, il viso gonfio, occhi rosso fuoco e dalle narici usciva fumo.
“Chi è quello stronzo che ti ha fatto passare?” e mi sputò. Pensai che dovesse essere il loro modo per salutare e risposi al suo sputo.
“Io ti disintegro, merda schifosa! La mia specialità è distruggere quelli come te,” mi disse con un tono spaventosamente calmo, “Io sono incazzato anche quando sogno.”
“Addirittura. E che cavolo!” mi venne da dirgli.
“Ho le armi più potenti per disintegrare i nemici. Le guerre porteranno la Terra alla fine dei giorni.”
Ci misi poco a capire che con un tipo del genere era inutile discutere. Presi dalla tasca la bottiglietta con l’olio di papavero, ne strofinai due o tre gocce sui palmi delle mani e glieli sfregai sul naso. Nella lotta la bottiglietta mi cadde, versando il suo prezioso contenuto. Vi lascio immaginare gli effetti benefici che esso produsse su tutti gli abitanti della città. Era ovunque un Peace & Love.
Il nuovo sole sorse, chiusi gli occhi e mi lasciai riscaldare per accogliere la sesta visione.
Ronda dissi e subito fui nella città sullo strapiombo. La spaccatura era impressionante, la Terra in quel punto sembrava finita. Non vi erano ponti che conducessero dall’altra parte che nemmeno esisteva. I Terroidi sembravano tronchi senza linfa, scavati e vuoti. Le mani erano secche come rami e le dita erano contorte come vecchie radici. Avevano un occhio cucito con filo di ferro e l’altro ruotava come quello dei camaleonti.
“Tu sì che sei più bella di me,” sentii una voce venire da sotto una corteccia grinzosa.
“Che occhi, che corpo, e che seno…”
“Ci risiamo,” pensai.
“Guarda io come sono piatta.”
Effettivamente lo era e non mi venne da contraddirla.
Sul suo corpo avvizzito strisciavano vermi che scavavano cercando di cibarsi del poco nutrimento. Non fu una bella visione, mi crederete. Mi spinsi nel centro di Ronda e arrivai al castello che si affacciava sul dirupo.
Mi venne incontro il re, il Secco, un’ombra lacera con indosso una ruvida veste fatta di stracci. Aveva entrambi gli occhi cuciti con del filo di ferro e avanzava a tentoni.
“Hai già conosciuto gli abitanti della mia città? Si appoggiano l’un l’altro sull'orlo del burrone. Una volta erano come fratelli, pensa, e adesso non si conoscono nemmeno.”
Fece una risatina acida e poi continuò: “Uno dopo l’altro si spingono di sotto, ciechi per l’invidia che provano gli uni verso gli altri. Che idioti.”
Poi rivolgendosi a me: “Tu non sei come loro”.
Si avvicinò tastandomi fino ad arrivare al viso. “Lascia che cucia i tuoi occhi perché tu non veda. Tutta la Terra un giorno sarà cieca e i suoi abitanti precipiteranno nella follia.”
Ma, prima che mi trapuntasse le palpebre, indossai gli occhiali da sole e fuggii verso la rupe. Mi seguì cieco di odio ma non vide l’orlo e precipitò come un macigno. I Terroidi di Ronda, senza il loro re, fecero il resto, spingendosi l’un l’altro dal precipizio.
Un nuovo sole sorse e mi portò l’ultima visione.
Dissi Hybris e subito fui nella Città degli Specchi. L’intera metropoli si rifletteva e si centuplicava all’infinito. Costruzioni enormi quanto montagne erano completamente ricoperti da specchi. Vidi i Terroidi guardarsi in ogni superficie riflettente. Non avevano coscienza di chi stava loro intorno, e neppure di loro stessi se non attraverso l’immagine che gli veniva rimandata.
Arrivai indisturbato al trono della bellissima regina, l’Altera, dal collo rigido, vestita di rosso. Si accompagnava a un pavone, perennemente in procinto di fare la ruota.
Teneva nelle mani due specchi dalla cornice d’oro, nella sinistra quello con cui contemplava se stessa, nella destra quello con cui rifletteva raggi malati verso i suoi sudditi.
Voleva abbagliarli e con essi tutti gli abitanti della Terra.
“Sei un essere inferiore, un errore del creato, non vali nulla e non riuscirai a scalfire la mia superiorità. Con me nessuno vince, perché nessuno è al di sopra,” disse e puntò lo specchio della mano destra verso di me. Il fato volle che avessi ancora gli occhiali da sole e riuscii a parare il colpo.
Mi servii di un diamante, appartenuto alla Ricca e finito provvidenzialmente nella mia generosa scollatura. Mi servì per tagliare tutti gli specchi in mille pezzi.
La regina si afflosciò come un sacco di iuta vuoto sopra le schegge, cercando di ritrovare il suo volto in mezzo ai frantumi. Si procurò, come tutti gli abitanti di Hybris, solo tagli mortali.
Un nuovo sole filtrò, illuminando ancora una volta il mio viso.
Non dissi alcuna parola, invece udii una voce che diceva: “La colazione è pronta.”
Mi stupii e non capii, finché non mi apparve la visione.
Mia madre, in vestaglia, stava sulla porta della mia stanza.
Mi trovò in pigiama, con gli occhiali da sole, davanti allo schermo del pc.
“Ma tu sei scemo!” fu l’inaspettata reazione.
Il suo sguardo si spostava da me al letto intatto, finché non urlò: “Tutta la notte a giocare…e i professori dicono che dormi in classe! Ci credo!”
“Donna, stanotte ho salvato il pianeta Terra dalla distruzione finale. Puoi stare tranquilla, l’apocalisse è rimandata. Ma tu che ne sai…” risposi in totale sicurezza.
Un ceffone a mano aperta mi arrivò in piena faccia, facendomi girare la Terra e gli altri pianeti.
Sarete d’accordo con me, amici miei fidati, se dico che la gratitudine non è di questo mondo.
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Ciao, Penna.
Non ricordo se ci sono dei refusi, però ho notato che Iperide si identifica come "l’ultimo dei Dodici Angeli a guardia del Mondo Inferiore" ma anche uno degli "Angeli del Mondo Superiore". Questa cosa non è spiegata e mi ha lasciato confuso.
Il racconto è molto sensoriale, compresi tatto, gusto e olfatto. Questo mi cozza un po' con il finale, in quanto al giorno d'oggi (e non ho modo di pensare diversamente) i videogiochi impegnano soprattutto vista e udito. Anche per questo motivo non ho gradito il finale.
Mi è piaciuto molto lo stile epic fantasy usato per scrivere il racconto, portato avanti in modo coerente fin quasi alla fine. Anzi, devo dire che è stata una lettura per me molto soddisfacente da questo punto di vista, anche per la ricchezza delle descrizioni sensoriali.
Sono curioso di scoprire se hai preso ispirazione dalla Apocalisse/Rivelazione di Giovanni o da altri testi considerati sacri.
Grazie e alla prossima.
Non ricordo se ci sono dei refusi, però ho notato che Iperide si identifica come "l’ultimo dei Dodici Angeli a guardia del Mondo Inferiore" ma anche uno degli "Angeli del Mondo Superiore". Questa cosa non è spiegata e mi ha lasciato confuso.
Il racconto è molto sensoriale, compresi tatto, gusto e olfatto. Questo mi cozza un po' con il finale, in quanto al giorno d'oggi (e non ho modo di pensare diversamente) i videogiochi impegnano soprattutto vista e udito. Anche per questo motivo non ho gradito il finale.
Mi è piaciuto molto lo stile epic fantasy usato per scrivere il racconto, portato avanti in modo coerente fin quasi alla fine. Anzi, devo dire che è stata una lettura per me molto soddisfacente da questo punto di vista, anche per la ricchezza delle descrizioni sensoriali.
Sono curioso di scoprire se hai preso ispirazione dalla Apocalisse/Rivelazione di Giovanni o da altri testi considerati sacri.
Grazie e alla prossima.
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
perdonami ma non riesco ad apprezzarlo.
lo trovo sbiadito, come una fiaba venuta per caso ma senza un senso logico, un significato.
certo, parli della distruzione di tutto ciò che è negativo o dannoso, però non sono riuscito a entrare nella storia.
forse solo il finale dà una piccola svolta.
mi spiace.
lo trovo sbiadito, come una fiaba venuta per caso ma senza un senso logico, un significato.
certo, parli della distruzione di tutto ciò che è negativo o dannoso, però non sono riuscito a entrare nella storia.
forse solo il finale dà una piccola svolta.
mi spiace.
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Ammetto che dopo le prime dieci righe sono stata tentata di mollare..., ma arrendermi non è nelle mie corde e ho proseguito.
Allora, cosa ci facesse Iperide, oratore dell'antica Grecia, nel corpo di una donna formosa investita di potere soterico dell'intero orbe terracqueo non mi era chiaro, ma mi si è chiarito alla fine (forse...).
Sette sono le città visitate da questa Iperide- Sapphira. Sette, numero caro alla Bibbia cui il racconto fa riferimento, almeno nei toni apocalittici delle descrizioni dei "Terroidi", che tanto richiamano i dannati dei gironi danteschi.
Heliopolis, città dall'etimologia greca, ma dall'ubicazione in Brasile, dove i "Terroidi" vivono (guarda caso) in favelas;
Guiyu, città cinese nota per essere considerata il cimitero dei rifiuti tecnologici;
Goa, che richiama il nome di uno stato dell'India;
Ahvaz, città dell'Iran, vicino al confine con l'Iraq;
Ronda, città spagnola spettacolarmente situata (almeno la parte vecchia) su uno strapiombo;
Hybris, che in realtà è un termine greco che descrive un atteggiamento di eccessiva sicurezza che sconfina nella tracotanza.
Da dove sia saltata fuori Bikhibai onestamente lo ignoro...
Tutto questo per dire che, così come è stato impegnativo leggere fino in fondo questo racconto, immagino lo sia stato ancora di più comporlo, per il gran lavoro dedicato dall'autore/autrice nel mettere insieme tutti questi elementi frutto, immagino, in parte di una fervida fantasia e in parte di una commistione di antichi miti, riferimenti biblici e chissà cos'altro.
Quindi, sicuramente complimenti per lo sforzo immaginifico che ha comportato "pensare" questo brano, ricco di descrizioni e di richiami sensoriali.
Diciamo che il genere apocalittico visionario non è tra i miei favoriti, però devo riconoscere che il colpo di coda finale ha risollevato il racconto nella mia considerazione e mi ha (forse) anche spiegato il motivo per cui Iperide si era trasformato in Sapphira, dal momento che è tipico dei videogiochi utilizzare personaggi mitologici come avatar dei giocatori, che li manovrano come super eroi nei mondi fantastici che fungono da sfondo alle battaglie virtuali.
In conclusione, riconosco il grande lavoro che sta dietro a questo racconto, che mi sembra sia anche formalmente corretto, ma che non mi ha preso più di tanto per una questione di mio gusto personale.
Comunque bravo/a.
Allora, cosa ci facesse Iperide, oratore dell'antica Grecia, nel corpo di una donna formosa investita di potere soterico dell'intero orbe terracqueo non mi era chiaro, ma mi si è chiarito alla fine (forse...).
Sette sono le città visitate da questa Iperide- Sapphira. Sette, numero caro alla Bibbia cui il racconto fa riferimento, almeno nei toni apocalittici delle descrizioni dei "Terroidi", che tanto richiamano i dannati dei gironi danteschi.
Heliopolis, città dall'etimologia greca, ma dall'ubicazione in Brasile, dove i "Terroidi" vivono (guarda caso) in favelas;
Guiyu, città cinese nota per essere considerata il cimitero dei rifiuti tecnologici;
Goa, che richiama il nome di uno stato dell'India;
Ahvaz, città dell'Iran, vicino al confine con l'Iraq;
Ronda, città spagnola spettacolarmente situata (almeno la parte vecchia) su uno strapiombo;
Hybris, che in realtà è un termine greco che descrive un atteggiamento di eccessiva sicurezza che sconfina nella tracotanza.
Da dove sia saltata fuori Bikhibai onestamente lo ignoro...
Tutto questo per dire che, così come è stato impegnativo leggere fino in fondo questo racconto, immagino lo sia stato ancora di più comporlo, per il gran lavoro dedicato dall'autore/autrice nel mettere insieme tutti questi elementi frutto, immagino, in parte di una fervida fantasia e in parte di una commistione di antichi miti, riferimenti biblici e chissà cos'altro.
Quindi, sicuramente complimenti per lo sforzo immaginifico che ha comportato "pensare" questo brano, ricco di descrizioni e di richiami sensoriali.
Diciamo che il genere apocalittico visionario non è tra i miei favoriti, però devo riconoscere che il colpo di coda finale ha risollevato il racconto nella mia considerazione e mi ha (forse) anche spiegato il motivo per cui Iperide si era trasformato in Sapphira, dal momento che è tipico dei videogiochi utilizzare personaggi mitologici come avatar dei giocatori, che li manovrano come super eroi nei mondi fantastici che fungono da sfondo alle battaglie virtuali.
In conclusione, riconosco il grande lavoro che sta dietro a questo racconto, che mi sembra sia anche formalmente corretto, ma che non mi ha preso più di tanto per una questione di mio gusto personale.
Comunque bravo/a.
Albemasia- Padawan
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Bravo autore, hai creato qualcosa di incredibile e molto impegnativo sia da scrivere che da leggere.
C'è molta ricerca dietro al racconto e tanta fantasia.
La base di partenza biblica è apprezzabile anche se poi stona un po' con il finale, direi inatteso e che mi ha strappato un sorriso.
Ho notato che nella seconda parte le descrizioni si sono ridotte, così come le scene. Direi che è comprensibile, difficile mantenere lo stesso livello in un racconto così lungo e carico di riferimenti e simbologie.
Le immagini create con le parole sono spassose e anche l'aspetto sensoriale è rimasto coinvolto.
Buona l'idea del videogioco anche se è stata seguita una strada impervia, che non tutti apprezzeranno.
Per me è un ottimo lavoro. Grazie per il tuo contributo.
C'è molta ricerca dietro al racconto e tanta fantasia.
La base di partenza biblica è apprezzabile anche se poi stona un po' con il finale, direi inatteso e che mi ha strappato un sorriso.
Ho notato che nella seconda parte le descrizioni si sono ridotte, così come le scene. Direi che è comprensibile, difficile mantenere lo stesso livello in un racconto così lungo e carico di riferimenti e simbologie.
Le immagini create con le parole sono spassose e anche l'aspetto sensoriale è rimasto coinvolto.
Buona l'idea del videogioco anche se è stata seguita una strada impervia, che non tutti apprezzeranno.
Per me è un ottimo lavoro. Grazie per il tuo contributo.
Giammy- Younglings
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Racconto impegnativo e non di facile lettura. Molto ricco. A tratti sembra quasi un testo spirituale. Buona l'idea dei peccati capitali. Bellissimo il titolo. Spiazzante il finale (ecco, non ho ancora capito se mi ha positivamente sorpreso o deluso).
Mi ripeto, non è un racconto facile, né da scrivere né dal leggere. C'è alle spalle un lavoro intenso e importante, e si vede. Perdonami, ho sorriso un po' all'inizio perché mi ha richiamato alla mente la scenda di Aldo, Giovanni e Giacomo (Io sono Pdor, figlio di Kmer).
Un lavoro interessante. Grazie.
Mi ripeto, non è un racconto facile, né da scrivere né dal leggere. C'è alle spalle un lavoro intenso e importante, e si vede. Perdonami, ho sorriso un po' all'inizio perché mi ha richiamato alla mente la scenda di Aldo, Giovanni e Giacomo (Io sono Pdor, figlio di Kmer).
Un lavoro interessante. Grazie.
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
ciao, Autore.
Nel tuo racconto non ci sono asteroidi, alieni ma i sette vizi capitali che minacciano l’esistenza globale e li personifichi in città che diventano gironi danteschi.
Personalmente aggiungerei anche l’indifferenza.
Mi hai ricordato Seven, il film del serial killer che uccide seguendo proprio i peccati capitali.
La leggera ironia che a volte sfiora il racconto aveva forse lo scopo di alleggerire l’asprezza e la pesantezza di alcune scene.
A discolpa, come ho scritto in altri commenti, questo step era ostico, per me lo è stato, per la trama e credo che la difficoltà di affrontare l'argomento si senta anche in questo racconto.
Nel tuo racconto non ci sono asteroidi, alieni ma i sette vizi capitali che minacciano l’esistenza globale e li personifichi in città che diventano gironi danteschi.
Personalmente aggiungerei anche l’indifferenza.
Mi hai ricordato Seven, il film del serial killer che uccide seguendo proprio i peccati capitali.
La leggera ironia che a volte sfiora il racconto aveva forse lo scopo di alleggerire l’asprezza e la pesantezza di alcune scene.
A discolpa, come ho scritto in altri commenti, questo step era ostico, per me lo è stato, per la trama e credo che la difficoltà di affrontare l'argomento si senta anche in questo racconto.
Resdei- Maestro Jedi
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Dopo la lettura, mi verrebbe di aggiungere alla lista dei sette sovrani un'altra degna regina: la delusione.
La lotta apocalittica dell'Angelo contro "i Troni del Male, nelle Sette Città abitate dai Terroidi", altro non è che un videogioco.
Il racconto è scritto bene e, a parte l'incongruenza dell'angelo ("Angeli a guardia del Mondo Inferiore" / "Angeli del Mondo Superiore") non presenta errori o refusi. Per tutta la sua (forse un po' eccessiva) lunghezza snocciola sensazioni a raffica che sollecitano tutti e cinque i sensi; ma, se tutta questa sensorialità da un lato può essere un pregio, testimoniare la capacità di coinvolgere il lettore, dall'altro ne diventa un limite poichè un'avventura vissuta attraverso lo schermo del PC non può andare oltre la vista e l'udito (e, al limite, il tatto).
Se posso permettermi un suggerimento, il racconto dovrebbe terminare con "Un nuovo sole filtrò, illuminando ancora una volta il mio viso", aggiungendo semmai un nuovo passaggio nelle acque del Lago Verde, così da far riprendere all'angelo la sua essenza spirituale, e la risalita dei "novecentonovantanove scalini"...
Grazie
M.
La lotta apocalittica dell'Angelo contro "i Troni del Male, nelle Sette Città abitate dai Terroidi", altro non è che un videogioco.
Il racconto è scritto bene e, a parte l'incongruenza dell'angelo ("Angeli a guardia del Mondo Inferiore" / "Angeli del Mondo Superiore") non presenta errori o refusi. Per tutta la sua (forse un po' eccessiva) lunghezza snocciola sensazioni a raffica che sollecitano tutti e cinque i sensi; ma, se tutta questa sensorialità da un lato può essere un pregio, testimoniare la capacità di coinvolgere il lettore, dall'altro ne diventa un limite poichè un'avventura vissuta attraverso lo schermo del PC non può andare oltre la vista e l'udito (e, al limite, il tatto).
Se posso permettermi un suggerimento, il racconto dovrebbe terminare con "Un nuovo sole filtrò, illuminando ancora una volta il mio viso", aggiungendo semmai un nuovo passaggio nelle acque del Lago Verde, così da far riprendere all'angelo la sua essenza spirituale, e la risalita dei "novecentonovantanove scalini"...
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Lettura faticosa. Le città corrotte e i loro sovrani distrutti da un angelo vendicatore.
La tematica mi fa pensare a un fantasy niente male, anche se trovo un po’ monotono l’elenco delle città, ma il finale mi delude.
“Un nuovo sole filtrò, illuminando ancora una volta il mio viso.
Non dissi alcuna parola, invece udii una voce che diceva: “La colazione è pronta.”
Mi stupii e non capii, finché non mi apparve la visione.
Mia madre, in vestaglia, stava sulla porta della mia stanza.
Mi trovò in pigiama, con gli occhiali da sole, davanti allo schermo del pc.”
Dunque, un sogno che si conclude al risveglio con un ceffone materno o una notte trascorsa a guardare un videogioco? In ogni caso non mi convince. Mi spiace.
Il ceffone però mi è piaciuto.
La tematica mi fa pensare a un fantasy niente male, anche se trovo un po’ monotono l’elenco delle città, ma il finale mi delude.
“Un nuovo sole filtrò, illuminando ancora una volta il mio viso.
Non dissi alcuna parola, invece udii una voce che diceva: “La colazione è pronta.”
Mi stupii e non capii, finché non mi apparve la visione.
Mia madre, in vestaglia, stava sulla porta della mia stanza.
Mi trovò in pigiama, con gli occhiali da sole, davanti allo schermo del pc.”
Dunque, un sogno che si conclude al risveglio con un ceffone materno o una notte trascorsa a guardare un videogioco? In ogni caso non mi convince. Mi spiace.
Il ceffone però mi è piaciuto.
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Sei un mito, autore. Un racconto intenso e totale da leggere e basta, senza cercare di capire, senza farsi troppe domande.
Al risveglio resta il dubbio del sogno o del videogioco, ma è comunque stata una grande esperienza per me che non amo spiegarmi tutto, mi basta aver conosciuto il tuo grande talento, e ti ringrazio.
Al risveglio resta il dubbio del sogno o del videogioco, ma è comunque stata una grande esperienza per me che non amo spiegarmi tutto, mi basta aver conosciuto il tuo grande talento, e ti ringrazio.
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
La rivelazione finale non riesce a risollevare le sorti di una lettura molto faticosa (per me). Scrittura ottima, complimenti, ma proprio questo racconto mi ha fatto irritare. Ho dovuto forzarmi a leggerlo per poi scoprire la beffa… scusa la franchezza. Riconosco la bravura e anche apprezzo la trovata, perché fra tanti racconti questo colpisce senz’altro.
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
L’ho letto tre volte, e sono passato dalla prima in cui ho capito poco e non mi è piaciuto, alla seconda in cui ho cominciato a capire cosa voleva dire l’Autore/trice, alla terza in cui credo di averlo apprezzato almeno in parte. Il testo ha qualcosa di geniale e qualcosa di banale, e io non so decidermi (ma non lo leggerò una quarta volta!).
La trama è poco consistente e si capisce a un certo punto che si tratta di un videogioco. Però dopo la terza, poi la quarta città, dove gli avvenimenti procedono uguali identici (rapporto con gli abitanti, incontro col sovrano, lotta vincente), tutto diventa ripetitivo e noioso. Immagino che le sette città corrispondano ai sette vizi capitali, e già questa è una buona idea. Però lo svolgimento appare abbastanza piatto e, alla fine, noioso. Ma credo di averne colto il potenziale e mi dispiace non sottolinearlo. Ci sono diversi errori e passaggi complicati e involuti di non immediata comprensione. Considerazione finale: se questo racconto tu lo sviluppassi portandolo a 30.000 battute (ovviamente fuori concorso), rendendo più originali e caratterizzate le visite alle sette città, a parità di stile, credo che verrebbe qualcosa di molto apprezzabile.
La trama è poco consistente e si capisce a un certo punto che si tratta di un videogioco. Però dopo la terza, poi la quarta città, dove gli avvenimenti procedono uguali identici (rapporto con gli abitanti, incontro col sovrano, lotta vincente), tutto diventa ripetitivo e noioso. Immagino che le sette città corrispondano ai sette vizi capitali, e già questa è una buona idea. Però lo svolgimento appare abbastanza piatto e, alla fine, noioso. Ma credo di averne colto il potenziale e mi dispiace non sottolinearlo. Ci sono diversi errori e passaggi complicati e involuti di non immediata comprensione. Considerazione finale: se questo racconto tu lo sviluppassi portandolo a 30.000 battute (ovviamente fuori concorso), rendendo più originali e caratterizzate le visite alle sette città, a parità di stile, credo che verrebbe qualcosa di molto apprezzabile.
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L'uomo fa il male come l'ape il miele (William Golding).
Re: Dal giorno che nessuno conosce
Da come ho capito io, lui è un Angelo dei Mondi Superiori che è stato messo a guardia dei Mondi Inferiori.
Pregi di questo racconto: tanta fantasia, lasciata correre a briglia sciolta.
Difetti: briglia troppo sciolta.
Di conseguenza tante cose che stonano molto.
Es: Lunga ed epica spiegazione iniziale, Mondi Superiori e Inferiori, Il Bene e il Male (con la maiuscola), e poi "era da poco passata la mezzanotte". Un orario molto terrestre.
Poco dopo: "amare è l’unico comandamento" e "Bruciò il re incartapecorito, il trono sgangherato, le porte senza cardini, le finestre senza pareti, le baracche e tutti gli abitanti di Heliópolis." Magari gli abitanti poteva risparmiarli, meno male che era mosso dall'amore.
Non vado avanti con gli esempi.
Ad ogni modo, in alcuni punti mi sono anche divertito, nonostante sia stato molto faticoso leggerlo e arrivare alla fine.
Inoltre, ma questa è una cosa mia, trovo irritante l'uso della parola "terroide".
Mi dispiace, il racconto non mi è piaciuto. Ma neanche il videogioco, ad essere sinceri.
Comunque grazie per i sorrisi, chiaramente divertire era il tuo intento e in alcuni passaggi ci sei riuscito.
Grazie
Pregi di questo racconto: tanta fantasia, lasciata correre a briglia sciolta.
Difetti: briglia troppo sciolta.
Di conseguenza tante cose che stonano molto.
Es: Lunga ed epica spiegazione iniziale, Mondi Superiori e Inferiori, Il Bene e il Male (con la maiuscola), e poi "era da poco passata la mezzanotte". Un orario molto terrestre.
Poco dopo: "amare è l’unico comandamento" e "Bruciò il re incartapecorito, il trono sgangherato, le porte senza cardini, le finestre senza pareti, le baracche e tutti gli abitanti di Heliópolis." Magari gli abitanti poteva risparmiarli, meno male che era mosso dall'amore.
Non vado avanti con gli esempi.
Ad ogni modo, in alcuni punti mi sono anche divertito, nonostante sia stato molto faticoso leggerlo e arrivare alla fine.
Inoltre, ma questa è una cosa mia, trovo irritante l'uso della parola "terroide".
Mi dispiace, il racconto non mi è piaciuto. Ma neanche il videogioco, ad essere sinceri.
Comunque grazie per i sorrisi, chiaramente divertire era il tuo intento e in alcuni passaggi ci sei riuscito.
Grazie
AurelianoLaLeggera- Younglings
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Era tutto perfetto per me. Mi sono lasciato trasportare dalle tue parole tra i vari vizi capitali, una bellissima metafora allegorica. Veramente, mi ha rapito in un modo che mi capita raramente. Ho visto ogni singolo regno e tutto era bello.
Poi...
Poi è arrivato il finale. Scusami se te lo dico, ma hai rovinato tutto. la fine mi ha completamente guastato il racconto. Ogni bell'immagine è svanita, lasciando spazio alla delusione e al disappunto.
Un vero peccato.
Poi...
Poi è arrivato il finale. Scusami se te lo dico, ma hai rovinato tutto. la fine mi ha completamente guastato il racconto. Ogni bell'immagine è svanita, lasciando spazio alla delusione e al disappunto.
Un vero peccato.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Riletto e ri-piaciuto.
Ogni volta scopro qualche riferimento nuovo, tipo...Spider Man.
Ma cosa hai nella testa, amico?
Ristrutturo il mio podio e ti ci ficco.
Tenere fuori un racconto così impegnativo, ricco di sussulti creativi, sarebbe un peccato mortale.
Sei grandioso per genialità, fantasia e cultura, autore.
Da ragazzo pure io avevo la tua stessa follia, hai pure questo pregio: avermela ricordata.
Ogni volta scopro qualche riferimento nuovo, tipo...Spider Man.
Ma cosa hai nella testa, amico?
Ristrutturo il mio podio e ti ci ficco.
Tenere fuori un racconto così impegnativo, ricco di sussulti creativi, sarebbe un peccato mortale.
Sei grandioso per genialità, fantasia e cultura, autore.
Da ragazzo pure io avevo la tua stessa follia, hai pure questo pregio: avermela ricordata.
tommybe- Maestro Jedi
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Un giro del mondo in click di computer e tutto parte dall'avvocato Iperide che parte a fare il difensore del mondo così come da suo nome nell'antica Grecia.
E la sua avventura come nel giro del mondo la fa travestito da bellissima e tettonissima drug queen dal nome di Sapphira appunto travestita e dotata di gadget per salvare i terroidi.
E cosi via allora per varie parti del globo tra città favelas in Brasile e con i mali del caso distrutti e poi si va in Cina con la città degli scarti industriali e anche qui piazza pulita fatta, continuiamo il viaggio a Dubai fra i ricconi e quindi altro male da punire e così sarà fatto.
Non manca poi il turismo sessuale in India con i minori e anche qui sarà fatta pulizia.
Prendiamo la mongolfiera e andiamo in Iran e li so tutti incazzati e quindi fuori il male da questo posto e poi si atterra nella bellissima
città spagnola a strapiombo e naturalmente esiste pure qui il male e lo si fa fuori e per chiudere i concetto filosofico dell' "hybris" del sentirsi superiori a tutto e del venire puntualmente puniti.
Tutto ok e mondo mondato dai mali tranne il ceffone finale de mamma che riporta alla realtà.
Cronache dal mondo vi saluta e vi rimanda alla prossima.
Realizzazione dell'intreccio curata e cercata con l'ausilio del vero a sviluppare la trama e il senso e la chiusa finale un po' avulsa dal concetto. Tecnica con momento catartico che stempera ogni illusione di salvezza e che bel ceffone!
E la sua avventura come nel giro del mondo la fa travestito da bellissima e tettonissima drug queen dal nome di Sapphira appunto travestita e dotata di gadget per salvare i terroidi.
E cosi via allora per varie parti del globo tra città favelas in Brasile e con i mali del caso distrutti e poi si va in Cina con la città degli scarti industriali e anche qui piazza pulita fatta, continuiamo il viaggio a Dubai fra i ricconi e quindi altro male da punire e così sarà fatto.
Non manca poi il turismo sessuale in India con i minori e anche qui sarà fatta pulizia.
Prendiamo la mongolfiera e andiamo in Iran e li so tutti incazzati e quindi fuori il male da questo posto e poi si atterra nella bellissima
città spagnola a strapiombo e naturalmente esiste pure qui il male e lo si fa fuori e per chiudere i concetto filosofico dell' "hybris" del sentirsi superiori a tutto e del venire puntualmente puniti.
Tutto ok e mondo mondato dai mali tranne il ceffone finale de mamma che riporta alla realtà.
Cronache dal mondo vi saluta e vi rimanda alla prossima.
Realizzazione dell'intreccio curata e cercata con l'ausilio del vero a sviluppare la trama e il senso e la chiusa finale un po' avulsa dal concetto. Tecnica con momento catartico che stempera ogni illusione di salvezza e che bel ceffone!
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Io sono quell'effimero scorcio d'arancio e di giallo che al tramonto appare per un istante e s'allunga in cielo, prima che la terra volti la faccia e il sole si ritrovi dall'altra parte del mondo.
Io sono sempre dall'altra parte del mondo quando gli altri mi leggono, per questo non esisterà mai un mio scritto.
Flash Gordon- Padawan
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
A me questo racconto non è piaciuto tanto, è piaciuto tantissimo!
E ancor più alla seconda rilettura quando, alla luce della sorpresa finale, ho potuto apprezzare tante piccole finezze di cui hai cosparso il racconto.
Per esempio le piccole riflessioni personali sulle dimensioni del seno o quando afferma, partendo da un bel "cacchio" che qualcuno si è accorto della sua bellezza: tutte cose che se dette da un Angelo non sarebbero proprio ortodosse...
L'idea di affidare a un racconto che fosse una via di mezzo tra l'Apocalisse e la Divina Commedia (come ispirazione, naturalmente, cui mancherebbe!) per raccontare una parodia dei sette vizi capitali l'ho trovata davvero entusiasmante e ben condotta con riferimenti corretti e mai lasciati al caso.
Non tutto fila perfettamente e d'altra parte tenere lo stesso livello per tutto il racconto non era affatto semplice anche tenuto conto del limite dei caratteri a disposizione (per esempio la soluzione del diamante finito nella scollatura l'ho trovata molto forzata, quasi che le idee ti fossero venute meno) ma considero queste piccole scollature dei fisiologici incidenti di percorso.
Ho trovato molto azzeccato il finale con una piccola morale nei confronti degli attuali adolescenti sempre più spesso vittime di telefonini e giochi virtuali che si prendono il loro tempo e purtroppo anche parte deim loro cervelli. magari fosse sufficiente un solo ceffone a rimettere le cose a posto!
Nulla da dire sulla scrittura pulita e scorrevole con quei tocchi di ironia che mi hanno strappato più di un sorriso; attenzione, in futuro, all'inicipit, qui particolarmente faticoso da leggere e che mi ha inizialmente indisposto, un pericolo che trovo sciocco correre considerato il tanto bello che viene dopo.
E ancor più alla seconda rilettura quando, alla luce della sorpresa finale, ho potuto apprezzare tante piccole finezze di cui hai cosparso il racconto.
Per esempio le piccole riflessioni personali sulle dimensioni del seno o quando afferma, partendo da un bel "cacchio" che qualcuno si è accorto della sua bellezza: tutte cose che se dette da un Angelo non sarebbero proprio ortodosse...
L'idea di affidare a un racconto che fosse una via di mezzo tra l'Apocalisse e la Divina Commedia (come ispirazione, naturalmente, cui mancherebbe!) per raccontare una parodia dei sette vizi capitali l'ho trovata davvero entusiasmante e ben condotta con riferimenti corretti e mai lasciati al caso.
Non tutto fila perfettamente e d'altra parte tenere lo stesso livello per tutto il racconto non era affatto semplice anche tenuto conto del limite dei caratteri a disposizione (per esempio la soluzione del diamante finito nella scollatura l'ho trovata molto forzata, quasi che le idee ti fossero venute meno) ma considero queste piccole scollature dei fisiologici incidenti di percorso.
Ho trovato molto azzeccato il finale con una piccola morale nei confronti degli attuali adolescenti sempre più spesso vittime di telefonini e giochi virtuali che si prendono il loro tempo e purtroppo anche parte deim loro cervelli. magari fosse sufficiente un solo ceffone a rimettere le cose a posto!
Nulla da dire sulla scrittura pulita e scorrevole con quei tocchi di ironia che mi hanno strappato più di un sorriso; attenzione, in futuro, all'inicipit, qui particolarmente faticoso da leggere e che mi ha inizialmente indisposto, un pericolo che trovo sciocco correre considerato il tanto bello che viene dopo.
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paluca66- Maestro Jedi
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Alla seconda parola dell’incipit parte la ricerca (qui c’è sempre da imparare) e di seguito un “ossignur, e adesso dove andiamo a parare?” perché qui iniziamo con la Cultura che se spesa a piene mani come prometteva… ce la posso fare? Ce la devo fare, sia mai che si abbandoni un racconto, che commentatori saremmo se non dessimo tutti il nostro contributo costruttivo, lasciando sulla tastiera un po’ di sudore marca “lettore”? Poi il tono si fa leggero, un misto tra un linguaggio quasi arcaico, spirituale e uno molto moderno che incuriosisce. E va bene, ci può stare di rivedere in chiave moderna e umoristica (o comica) un po’ di storia o di mitologia… quindi proseguo, confesso a tratti un briciolo faticosamente perché c'è molta carne sul barbecue, ma il tono faceto ha aiutato. I 7 vizi capitali declinati in siffatto modo sono una bella trovata, con personaggi che rendono bene l’idea e che fanno il loro santo dovere fino in fondo, con quella dose di ironia, arroganza e di sfacciataggine che il/la protagonista si trova a dover gestire se vuol salvare il mondo, anche quando la tentazione di lasciar andare le cose al loro destino fa capolino.
Non ho fatto ricerche sulle città – grazie @Albemasia – ma non era poi importante sul momento: le descrizioni rendevano pienamente i vari concetti di come si può declinare la parola “distruzione”, che purtroppo si adattano a tante situazioni del nostro tempo.
Il finale! Quel ceffone a mano aperta arriva con un effetto sonoro di tutto rispetto. Una vera chicca.
Mannaggia, mi ero posta tanti problemi per non far la figuraccia dell'ignorante, ho pure studiato... e siamo in un videogioco!
Quindi complimenti, che piaccia o meno il genere, va dato atto alla Penna che un racconto così non è facile da comporre, né mantenere costante un ritmo che catturi e tenga ben stretta l’attenzione.
Per il momento, complimenti
Non ho fatto ricerche sulle città – grazie @Albemasia – ma non era poi importante sul momento: le descrizioni rendevano pienamente i vari concetti di come si può declinare la parola “distruzione”, che purtroppo si adattano a tante situazioni del nostro tempo.
Il finale! Quel ceffone a mano aperta arriva con un effetto sonoro di tutto rispetto. Una vera chicca.
Mannaggia, mi ero posta tanti problemi per non far la figuraccia dell'ignorante, ho pure studiato... e siamo in un videogioco!
Quindi complimenti, che piaccia o meno il genere, va dato atto alla Penna che un racconto così non è facile da comporre, né mantenere costante un ritmo che catturi e tenga ben stretta l’attenzione.
Per il momento, complimenti
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
Susanna- Maestro Jedi
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Ho apprezzato tantissimo il finale: sorpresa, divertimento, autoironia.
Il problema è la prima parte del racconto: non è fluida, non è accattivante, non crea tensione e attenzione. Si rivela una lettura faticosa. E io le letture faticose le faccio solo se devo lavorare.
Mi perdonerai autore/autrice e mi crederai se penso che sia solo un problema di mismatch fra i tuoi gusti di scrittore/scrittrice e quelli miei di lettore.
Alla prossima
Il problema è la prima parte del racconto: non è fluida, non è accattivante, non crea tensione e attenzione. Si rivela una lettura faticosa. E io le letture faticose le faccio solo se devo lavorare.
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gipoviani- Padawan
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
L'autore o autrice denota immaginazione, inventiva, coraggio e in uno step abbastanza piatto come questo il suo racconto si discosta parecchio dalla massa.
Questa rivisitazione dei peccati capitali a me è piaciuta, come detto c'è inventiva, c'è azione, c'è la voglia di creare qualcosa di particolare.
La rivelazione finale del videogioco mi lascia leggermente dubbioso. Questa svolta non è pienamente soddisfacente, va a sgretolare un pò l'immaginario fantasioso che eri riuscito a creare, toglie epicità alla storia, avrei preferito un'altra soluzione. Ma quale sarebbe potuta essere? Non so, tutto sarebbe rimasto in un ambito fantasy, invece il colpo di scena finale riporta tutto in uno scenario reale, seppur all'interno della ludica finzione. Rimango ancora convinto che qualche altra soluzione(che io stesso non sono riuscito a trovare) mi sarebbe piaciuta di più, eppure ogni giorno che passa mi dico che la scelta che hai fatto è quella più funzionale alla tua creazione. Tutto questo giro di parole per dire che alla fine mi hai convinto.
Questa rivisitazione dei peccati capitali a me è piaciuta, come detto c'è inventiva, c'è azione, c'è la voglia di creare qualcosa di particolare.
La rivelazione finale del videogioco mi lascia leggermente dubbioso. Questa svolta non è pienamente soddisfacente, va a sgretolare un pò l'immaginario fantasioso che eri riuscito a creare, toglie epicità alla storia, avrei preferito un'altra soluzione. Ma quale sarebbe potuta essere? Non so, tutto sarebbe rimasto in un ambito fantasy, invece il colpo di scena finale riporta tutto in uno scenario reale, seppur all'interno della ludica finzione. Rimango ancora convinto che qualche altra soluzione(che io stesso non sono riuscito a trovare) mi sarebbe piaciuta di più, eppure ogni giorno che passa mi dico che la scelta che hai fatto è quella più funzionale alla tua creazione. Tutto questo giro di parole per dire che alla fine mi hai convinto.
Byron.RN- Maestro Jedi
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Riconosco lo sforzo impiegato nella creazione di un universo complesso, arricchito da riferimenti culturali e simbolici. Valuto positivamente l'originalità dell'ambientazione, la profondità della trama e la ricchezza delle descrizioni, che contribuiscono a rendere la lettura coinvolgente e stimolante. Tuttavia, ho riscontrato difficoltà nel seguire alcuni passaggi del racconto, dovute alla sua complessità. Il finale, sorprendente e inaspettato, mi lascia incerto: non so se considerarlo apprezzabile o deludente. Mi sembra che la conclusione si distacchi troppo dal resto del racconto.
Gimbo- Padawan
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Mi piace quando ci sono giudizi contrastanti; è stimolante e si genera un dibattito.
Difficile l'inizio, poi mi ha catturato completamente, con una scrittura pesante, ma che il genere richiede: la approvo.
I vizi dell'era moderna affrontati in modo quasi biblico da un angelo vendicatore! Il tema è profondo, interessante e trovo anche molto originale, sia come ambientazione che come personaggi, numerosi ma ben delineati.
Il finale no, non mi convince, mi rovina tutto il castello che mi sono creato nella lettura.
Comunque, promosso!
Difficile l'inizio, poi mi ha catturato completamente, con una scrittura pesante, ma che il genere richiede: la approvo.
I vizi dell'era moderna affrontati in modo quasi biblico da un angelo vendicatore! Il tema è profondo, interessante e trovo anche molto originale, sia come ambientazione che come personaggi, numerosi ma ben delineati.
Il finale no, non mi convince, mi rovina tutto il castello che mi sono creato nella lettura.
Comunque, promosso!
FedericoChiesa- Cavaliere Jedi
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Allora, la scrittura mi è sembrata a tratti farraginosa. Intendo dire che un racconto del genere, secondo me, aveva bisogno di più ampio respiro. In ogni caso, grazie all'espediente degli oggetti, ho seguito bene lo sviluppo della vicenda ed è stata una lettura affascinante. L'Autore ha una bella fantasia e il testo, luoghi, personaggi e descrizioni lo dimostrano. Non nascondo che fin dall'inizio mi sono chiesto dove si volesse andare a parare.
Ecco ciò che non mi è piaciuto: il finale. Verosimile che un ragazzo "rincoglionito" (nel senso buono) dal videogioco si sia fatto dei film del genere, ma per come è stato impostato il racconto mi aspettavo che questo angelo salvatore fosse "reale" per cui, dopo aver distrutto il male, ci portasse in un nuovo mondo senza difetti e nel quale vivere in prosperità. Insomma, anch'io mi sono fatto un film leggendo e la conclusione mi ha deluso.
In ogni caso, a conti fatti, il lavoro è apprezzabile.
Grazie
Ecco ciò che non mi è piaciuto: il finale. Verosimile che un ragazzo "rincoglionito" (nel senso buono) dal videogioco si sia fatto dei film del genere, ma per come è stato impostato il racconto mi aspettavo che questo angelo salvatore fosse "reale" per cui, dopo aver distrutto il male, ci portasse in un nuovo mondo senza difetti e nel quale vivere in prosperità. Insomma, anch'io mi sono fatto un film leggendo e la conclusione mi ha deluso.
In ogni caso, a conti fatti, il lavoro è apprezzabile.
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Molli Redigano- Maestro Jedi
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Il racconto a parer mio ha del potenziale, ma rimane sospeso, indeciso, e alla fine perde anche quel poco di mordente che mi aveva catturato. Non lo boccio in toto, sia chiaro, perché l'idea è comunque buona, ricorda un po' gli isekai, ma secondo me non è gestita bene. Innanzitutto arriva di botto e più spiazzare il lettore lo destabilizza. Io qualche indizio in più, qualche pulce nell'orecchio durante la narrazione lo avrei messo. Che poi alla fine ci hai pure provato a dare qualche imboccata, come il linguaggio che delle volte è ironico o il riferimento continuo al seno. L'effetto però, almeno per me, è stato quello di pensare che stessi scrivendo una sorta di parodia piuttosto che preparare un finale a sorpresa. Buona la scrittura, alcuni passaggi immaginifici mi sono davvero piaciuti, altri invece li ho trovati un po' troppo assurdi fino a essere quasi deformati. A rileggerci!
Akimizu- Cavaliere Jedi
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Re: Dal giorno che nessuno conosce
Allora, va detto che sembra davvero l'Apocalisse. Io non ho altri riferimenti e non conosco il mondo dei videogiochi, quindi magari mi sfuggono decine di riferimenti, ma il racconto si impegna davvero nel creare una serie di mondi credibili per quanto spinti al limite delle loro possibilità. Gli manca l'essenzialità del linguaggio biblico e certi passaggi sono un po' pesanti, ma ha comunque una qualità di scrittura molto elevata.
Il capovolgimento finale sminuisce un po' tutto il resto. Non fraintendermi se uso la parola sminuire. Di certo lo riporta a una dimensione più umana e fruibile, ma per un attimo ti passa per la testa che avresti anche potuto evitarlo e andare dritto per la tua strada, lasciando il lettore completamente spaesato e stordito dalle immagini che si susseguono senza sosta.
Un lavoro difficile da inquadrare, e forse da premiare, ma che non passa inosservato.
Il capovolgimento finale sminuisce un po' tutto il resto. Non fraintendermi se uso la parola sminuire. Di certo lo riporta a una dimensione più umana e fruibile, ma per un attimo ti passa per la testa che avresti anche potuto evitarlo e andare dritto per la tua strada, lasciando il lettore completamente spaesato e stordito dalle immagini che si susseguono senza sosta.
Un lavoro difficile da inquadrare, e forse da premiare, ma che non passa inosservato.
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Asbottino- Cavaliere Jedi
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