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I colori del vento

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Messaggio Da Different Staff Mar Ott 08, 2024 6:38 pm

Adele


Qui sotto si sente il vento.
Se allungo la mano più in alto che posso, sento il suo alito leggero sulle dita.
Ma il suo rumore non è leggero per niente.
È un rombo continuo che fruscia e stride sulle rocce, che si impenna e si arrampica in alto e poi scende ancora in basso con furore.
Se chiudo gli occhi mi sembra di essere ancora vicina alla vita.
Posso ascoltare le storie del vento.
Vale la pena ascoltarle, perché cambiano sempre.
Il vento ha il suono di ciò che incontra.
È una musica che stona e cigola, che sbaglia ritmo, che disturba.
Una musica inopportuna che porta con sé storie da ogni dove.
Anche quel giorno c’era il vento.
In questa valle il vento è una costante, cambia forme e suoni ma c’è sempre, ad accarezzare o a sferzare.
Quel giorno era un vento freddo e pungente che arrivava da nord e aveva il profumo della neve.
A quei tempi avevo nove anni e la neve l’avevo vista e toccata una sola volta: ma poi ho sentito così tante storie sulla neve che è come se l’avessi vissuta io stessa mille volte.
La Congrega delle Altissime era arrivata verso le undici del mattino; io ero in cortile che giocavo con dei pezzetti di legno e delle formiche. Le formiche sono silenziose, le loro sono storie fatte di movimenti lenti e non di parole. Cercavo di capire come mai quel giorno fossero così agitate e nella mia testa la loro storia stava prendendo forma, quando la Congrega era arrivata.
Alte e imponenti nelle loro vesti scure, le cinque donne si erano fermate davanti alla casa.
«Vai a chiamare tua madre», mi aveva ordinato la più alta.
E io ero andata.
Ma la mamma stava già uscendo, con i capelli biondi come il grano impolverati di farina e le mani strette una sull’altra.
Aveva spalancato gli occhi come un animale spaventato, alla vista delle cinque donne.
Poi aveva sorriso, ma era un sorriso strano. Tirato.
Mamma aveva già capito.
Nel villaggio le voci serpeggiano prima ancora di essere una certezza; basta una parola, un pensiero, una mezza espressione, e nasce la storia. E alcune storie diventano realtà.
«Donna Marcella, siamo qui per tua figlia. La Congrega delle Altissime si è radunata e ha scelto la tua primogenita, Adele, come nuovo membro della Congrega delle Ascoltatrici. Sai che è un ruolo molto importante, un ruolo che dona prestigio a tutta la famiglia della prescelta per quattro generazioni».
«Onoratissima, egregie. Posso domandare per quale ragione proprio mia figlia Adele è stata scelta?»
«Lo vedi da te, Donna Marcella».
Quella più alta si era voltata a guardarmi, con occhi che avevano una certa dose di meraviglia e anche qualcos’altro, che non riuscivo a capire, Pena, forse, mi dico oggi. Perché lei sapeva.
«Guarda come è posizionato il suo corpo, come è in ascolto, senza distrarsi. E ha nove anni. Penso che Adele sarà la nostra ascoltatrice più potente. Ha la sacra fiamma, dentro».
Mi è sempre piaciuto ascoltare, Sempre.
Eppure la mamma non era felice per questo ruolo che mi stavano assegnando.
La mamma sapeva.
Ora mi sembra tutto così lontano, come se fosse la vita di un’altra persona, come se questa fosse la storia di un’altra. Ed è come se lo fosse. Quando una storia non la racconti a nessuno, è una storia vera o no? Se la conosci solo tu, che storia è? Se non la racconti muore con te e nessuno conoscerà la tua storia. Anzi, nessuno conoscerà la tua versione della storia.
Qui sotto mi mancano le storie degli altri, e allora continuo a raccontarmi la mia, a spizzichi e frammenti.
C’era stato l’addestramento, che era durato un mese. Non si poteva tornare indietro. Quando varchi la soglia della Congrega delle Ascoltatrici, non ne esci più. Vivi e muori lì dentro.
Io ci ho vissuto e ora ci sto morendo, come il nostro destino prevede.
Che poi quando te lo spiegano, cosa succederà, non lo capisci bene.
Ogni storia che ascoltiamo viene registrata e archiviata nello schedario, poi viene incisa con la nostra voce e inserita negli archivi storici del villaggio.
A ogni storia completa che depositiamo negli archivi, sulla nostra pelle viene tracciato un tatuaggio. Dimensioni variabili, ovvio. Storia piccola, tatuaggio piccolo e via dicendo.
Quando di pelle bianca sul corpo non ce n’è più, l’ascoltatrice ha assolto il suo compito, ha portato a termine il suo mandato.
Quando varchi la soglia della congrega, non ne esci più.
Se adesso unisco queste due informazioni, mi chiedo come ho fatto a non capire prima a cosa stavo andando incontro. E capisco perché mi avevano scelto così giovane. Non sapevo. Non avrei capito.
Qui sotto, qui dentro, qui dove sono, cerco di ricostruire quello che ero prima di essere un’ascoltatrice; prima di tutto questo.
I miei primi nove anni di vita sono stati pieni di piccoli fermenti, di fremiti, di emozioni. Pieni di mamma, papà, di Lucia e Arianna, del piccolo Luigi con quelle minuscole manine da neonato. Una piccola vita piena. Di cose che vivevo io. Solo mie. I mie legnetti, i miei salti con la corda, le mie esplorazioni nel bosco, le mie piccole mani a cercare le uova nel pollaio.
Ma quando diventi un ascoltatrice, non sei altro se non orecchie a disposizione delle storie degli altri. Non conversi, non stringi rapporti, non avvii discussioni. Non hai altre parole al di fuori di quelle che spettano al tuo ruolo.
Dopo l’addestramento è stata solitudine. Infinita
Qui ho avuto solo le storie degli altri.
E le voci, che portano le storie che stanno per arrivare. Non sono storie vere, sono storie che diventeranno realtà. Presagi, li avremmo definiti un tempo. Ora si chiamano “Storie che saranno”.
Quando saranno, lo sanno solo le voci.
Se un’ascoltatrice è abbastanza potente, e io lo sono sempre stata, può percepire le voci con un buon anticipo. E riuscire a scongiurare il destino.
Ma nei miei primi nove anni queste cose non le sapevo: c’erano solo i capelli biondi di mamma e i sorrisi di papà, i litigi delle gemelle e i gorgheggi di Luigi.
Le cose belle succedono agli altri, sentivo che mormorava spesso la mamma quando papà rientrava dal lavoro al maneggio con la faccia scura, le cose belle succedono a quelli che non sono come noi.
Non sapevo, ho saputo. E allora ho capito.
Ho saputo ascoltando le storie degli altri che parlavano di noi, definendoci fatati, che parlavano delle nostre doti; alcune storie ero certa che avessero come protagonista mamma ma non ne avevo la certezza.
Una su papà sono sicura di averla ascoltata, da un voce rude di un uomo che mi aveva raccontato, commuovendosi, di come questo collega fatato gli avesse salvato la vita, curandogli una gravissima ferita solo con le mani. Quello era papà. Ne sono certa.
Quante cose non sapevo, quando sono entrata nelle Ascoltatrici. Quante cose mi hanno rubato portandomi via dalla mia casa e dalla mia gente.
Avrei voluto qualcosa di diverso, ma la verità è che quella notte, la notte prima della partenza per la Congrega, il vento mi aveva portato voci e colori. E ho visto. Ho visto cosa sarebbe accaduto se non fossi entrata nella Congrega. La disgrazia che avrebbe colpito la mia famiglia, la pazzia che avrebbe accompagnato mia sorella Arianna, io stessa folle di rabbia con le mani sporche di sangue di qualcuno che amavo.
Non c’era scampo. Dovevo andare. Quello era il mio destino.
Ma ora so , da questo lungo lamento del vento che ora mi accompagna verso la fine, che un giorno tutto questo sarà diverso. Ho visto i colori di un mondo in pace, dove umani e fatati sono uniti, dove hanno capito.
Allungo ancora una volta le dita verso l’ alto. Il vento le accarezza e le ricopre di colori, come dovevano essere un tempo, quando ero innocente e potevo ancora essere qualsiasi cosa.
Racconto la mia storia al vento, ancora e ancora, mormorando rauca e sperando che qualcuno possa ascoltarla.
Che suono fa il corpo quando si muore?



Donna Marcella

Io sapevo.
Tua figlia sarà un’ascoltatrice, avevano detto, guardandomi come se avessi vinto qualcosa.
Prendete qualcun’altra, avevo pensato, qualcuna che non sia mia figlia.
Avevo chiesto perché.
E avevo osservato mia figlia insieme a loro.
Maledette.
L’avevano spiata, per quello sapevano quanto era speciale. Quanto sarebbe diventata potente.
Io lo sapevo che lo era, ma avevo confidato sul fatto che abitavamo molto al di fuori dal villaggio e non eravamo proprio al centro degli sguardi della Congrega.
E invece, sempre siano maledette, loro la spiavano. Spiavano tutti. Rubavano i nostri figli, per portarli nelle loro Congreghe e sacrificarli. Per qualche scopo superiore.
Ma i loro figli, lì dentro, non entravano mai. I loro figli non servono a niente.
Non l’ho più vista, la mia piccola Adele.
Un mese fa è arrivata la comunicazione ufficiale che è venuta a mancare dopo una forte polmonite.
Ma io lo so, cosa succede alle ascoltatrici. Vorrei non saperlo, vorrei non averlo saputo quel giorno di tredici anni fa, ma lo sapevo allora e lo so adesso.
Le voci del vento mi accompagnano da quando sono nata, io so tutto.
E non finisce qui.
Maledette. Continuano a spiarci. Prenderanno la piccola che porto in grembo, con la quale mi scambio pensieri come facevo con Adele.
Loro non sentono nulla, le Congreghe sono al di fuori del nostro mondo.
Ci chiamano i fatati come se quelli normali fossero loro. Non riusciranno mai a sentirci veramente. Continueranno a rubare i nostri figli perché la loro stirpe è squallidamente umana.
Ma non sarà così per sempre.
Il vento ha parlato, con voci e colori.
Le cose belle, presto, succederanno a tutti.


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Messaggio Da M. Mark o'Knee Mer Ott 09, 2024 11:58 pm

Inizio segnalando alcune imprecisioni.
- La punteggiatura non sempre è adeguata, come per esempio in "una sola volta: ma poi ho sentito", dove sarebbe preferibile un punto o un punto e virgola ai due punti;
- ancora a proposito di punteggiatura: "a capire, Pena" e "ascoltare, Sempre", dove, in entrambi i casi, la maiuscola segue una virgola;
- nella frase "come è posizionato il suo corpo, come è in ascolto" sarebbe preferibile usare "com'è";
- "diventi un ascoltatrice": manca l'apostrofo;
- "verso l’ alto": l'apostrofo è seguito, erroneamente, da uno spazio.
A parte questo, il racconto è scritto piuttosto bene e c'è un'attenta scelta di termini e di ritmo che rendono bene l'atmosfera fantasy di una società, chiaramente matriarcale, composta da umani e fatati.
Ma ci sono diverse cose non molto chiare.
Sembra che, in qualche modo, gli umani - le umane - siano dominanti rispetto ai fatati e usino questi ultimi per scopi non del tutto chiariti. In questo rapposto di sudditanza, si ritrova imprigionata Adele, che, come una sorta di precog prelevato di peso da Minority report, riesce a captare dei presagi, le "Storie che saranno", e "scongiurare il destino". Una capacità che però, a quanto pare, per i fatati non funziona, come la stessa Adele ci dice: "Non c’era scampo. Dovevo andare. Quello era il mio destino". E contraddicendo, almeno in parte, una delle sue ultime profezie: "Ho visto i colori di un mondo in pace, dove umani e fatati sono uniti, dove hanno capito".
Altrettanto confusi sembrano i pensieri finali di Donna Marcella (abbinamento un po' cacofonico per i miei gusti), che sembra sapere tutto ("Le voci del vento mi accompagnano da quando sono nata, io so tutto") ma non può fare niente per "scongiurare il destino" delle proprie figlie. Non può fare altro se non esprimere la speranza (la certezza?) di un futuro migliore ("Le cose belle, presto, succederanno a tutti").
Qualche minima spiegazione in più penso avrebbe giovato alla storia, che, così com'è, risulta davvero poco chiara.
Un ultimo appunto sul titolo: dal testo appaiono molto più importanti le voci del vento, piuttosto che i colori.
M.

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Messaggio Da Albemasia Ven Ott 11, 2024 6:52 pm

Il racconto è ben scritto, la lettura scorre piacevolmente, tuttavia ancora una volta mi imbatto in un testo con significati inespressi, che ho faticato a cavar fuori. Limite mio, probabilmente, ma questo mi ha impedito di godere appieno della lettura, perché impegnata a rincorrere il senso del testo.
O meglio: la storia emerge sicuramente, ma anche a me sarebbe piaciuta qualche spiegazione in più del perché di questa sudditanza dei fatati rispetto agli umani, magari il rimando a un mito o a una leggenda. O forse la spiegazione c’era, ma io non l’ho colta.
Oltre alle imprecisioni già segnalate, ho trovato uno spazio prima della virgola (”so ,”) e uno dopo l’apostrofo (“l’ alto”).
Nel complesso un buon racconto, che sa condurre il lettore in un mondo magico, ma che alla fine della lettura lo lascia con più domande che risposte.
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Messaggio Da tommybe Ven Ott 11, 2024 8:20 pm

Adesso dirò una castroneria, ma le voci del vento sembrano ricordare una delle più belle commedie di Eduardo : Le voci di dentro. 
Quelle voci destano grande impressione e grande amarezza come quelle del vento.
Il racconto mi è piaciuto molto e ci tornerò sopra per convincere e per convincermi del suo valore.
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Messaggio Da paluca66 Sab Ott 12, 2024 6:30 pm

Un racconto ben scritto al di là di qualche distrazione (di troppo) tra maiuscole sbagliate, spazi dopo virgole e apostrofi, un apostrofo mancante e poco altro.
la scrittura, peraltro, è molto buona rendendo scorrevole un racconto che, invece, ho faticato un po' a leggere perché il senso continuava a sfuggirmi ogni volta che mi sembrava di avvicinarmi a coglierlo.
Il termine "fatati", la Congrega, il vento e i suoi colori mi hanno calato in una dimensione "fantasy" che non è tra le mie preferite sebbene da ragazzo abbia letto molti romanzi di questo genere.
In conclusione un bel racconto ben scritto ma che non mi ha suscitato emozioni lasciandomi poco alla fine.

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Messaggio Da Byron.RN Dom Ott 13, 2024 10:53 am

Questo racconto mi ha intrigato molto.
Trovo l'idea davvero affascinante. 
Di sicuro è uno dei racconti del contest che proverò a rileggere più spesso perché non tutto mi è chiaro, non so se per colpa mia che non sono riuscito a riconoscere e decodificare eventuali indizi e non detti, oppure per una tua omissione di dettagli.
Soprattutto lo scopo superiore per il quale la Congrega rapisce le prescelte non sono riuscito a focalizzarlo per bene.
Ho trovato interessante poi come i fatati, quelli che hanno dei poteri, siano in un certo modo sotto scacco degli umani, che li utilizzano per i loro scopi.
All'inizio penavo che i protagonisti del racconto avessero tutti la stessa natura, invece da quanto ho capito la Congrega delle Altissime è formata da esseri normali, le Ascoltatrici sono invece gli esseri speciali, col dono.
Già adesso comunque, per me, giudizio positivo.
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Messaggio Da AurelianoLaLeggera Lun Ott 14, 2024 9:29 am

Racconto dal doppio giudizio.
Il primo ottimo. Un inizio quasi perfetto, direi. In poche righe trascina in un mondo diverso dal nostro. C'è l'atmosfera e tutto. 
Poi andando avanti si perde, diventa più confuso. 
Si ripetono concetti: non sapevo, ho saputo. 
ci sono molte contraddizioni: "quante cose mi hanno rubato portandomi via dalla mia casa" e subito dopo "Ho visto cosa sarebbe accaduto se non fossi entrata nella Congrega. La disgrazia che avrebbe colpito la mia famiglia, la pazzia che avrebbe accompagnato mia sorella Arianna, io stessa folle di rabbia con le mani sporche di sangue di qualcuno che amavo". Insomma sapeva o non sapeva? l'hanno salvata da un destino tragico? O l'hanno condannata alla solitudine?

Insomma peccato, perché anche qui c'era: un ottima idea, un credibile stile di scrittura, adatto alla situazione, ma il poco tempo del contest.

Secondo me dovresti sviluppare questo racconto molto interessante. 

Grazie
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Messaggio Da Giammy Mer Ott 16, 2024 2:51 pm

Lo ammetto, qualcosa mi sfugge e mi impedisce di gustare fino in fondo un racconto che, nonostante parli di una vita privata della libertà di scegliere, è intriso di delicatezza e di dolcezza.
All’inizio ho sognato, la penna è stata capace di creare qualcosa di sublime che ho particolarmente apprezzato.
L’arrivo della storia reale ha abbassato il livello, la quotidianità appesantisce persino il testo e tutto è diventato più faticoso.
Suppongo che la “soglia della congrega” sia un luogo fisico, tipo un convento di clausura. Si parla di un mese di addestramento all’ascolto e poi tanta solitudine. Perché serve l’addestramento se è un dono?
Avrei tante altre domande ma non ha senso continuare.
Resta un testo interessante, scritto bene e con una storia da cui è possibile pensare a un film.
 
Il vento ha la voce di ciò che incontra.
A volte basta una sola frase per dare un senso a tutto…
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Messaggio Da ImaGiraffe Oggi alle 8:39 am

Sono molto combattuto su questo racconto. Da un lato è sicuramente pane per i miei denti, ho amato tantissimo ciò che è stato creato, ma dall'altro i dubbi rimangono troppi e forse il racconto necessita di una direzione più chiara. Innanzitutto, non saprei definire il genere. Cos'è? Questo aspetto non mi è chiaro. Amo i generi ibridati e fusi, ma comunque devo percepire una certa "regola". 
Se ho capito bene, le ascoltatrici vengono impiegate per trovare le storie dei fatati? Oppure quelle di tutti? E una volta raccolte, che fine fanno queste storie? L'obiettivo è il genocidio dei fatati? Tutte queste domande senza risposta mi confondono e fanno perdere punti al racconto. 
Tuttavia, rimane il fatto che mi ha affascinato. La prima parte, in particolare, è come se parlasse il vento, come se lei fosse nel vento, e questo l'ho trovato bellissimo.

P.S. Il titolo, per me, è poco azzeccato. Ho dovuto cantare la canzone di Pocahontas tre volte prima di riuscire a concentrarmi sul testo. Tra l’altro, inizialmente pensavo che il racconto virasse proprio in quella direzione, e sarebbe stata una scelta azzeccatissima.
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