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Un diario dal passato

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Susanna
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Messaggio Da Different Staff Mar Ott 08, 2024 6:58 pm

Lunedì 7 dicembre 1812

Per questa notte abbiamo trovato riparo in una vecchia chiesa abbandonata. Dopo la battaglia sul fiume Beresina abbiamo seguito un gruppo di grognards per alcuni giorni dormendo dove capitava e facendo fondo alle modeste razioni che ci erano rimaste. Arrivati a un villaggio in fiamme si è alzato un forte vento, che spazzando neve e fumo, ha reso la vista del cammino molto difficoltosa e il freddo quasi insopportabile. Abbiamo subito perso il contatto con gli uomini della guardia. Ci siamo affidati al nostro sergente e a un capitano dei cacciatori, un bravo uomo che viene da Orleans. Seguendo le loro indicazioni abbiamo raggiunto questo villaggio. Qui alcuni edifici sono sopravvissuti al fuoco appiccato dai russi, ma il vento non accenna a diminuire e il freddo ti entra nel corpo senza darti tregua. Per fortuna alcuni sappeur sono riusciti ad accendere un piccolo fuoco sufficiente per scaldare un poco di neve per fare della zuppa. Ne approfitto per aggiornare questo mio diario fermo ormai da tempo. Del nostro battaglione siamo rimasti in cinque. Con noi ci sono una decina di cacciatori del quinto e degli sappeur una volta aggregati all’artiglieria a piedi. Non siamo più di venti in tutto. Se i russi dovessero attaccarci saremmo uomini morti senza possibilità di difenderci. Sempre che non ci uccida prima il freddo.

Giovedì 10 dicembre 1812

Il vento non accenna a diminuire. La neve ti colpisce come schegge di una granata che esplode in mezzo al campo. Ci siamo fermati una sola notte al villaggio. Il fuoco era molto visibile e rendeva alta la probabilità di essere attaccati dall’avanguardia russa. Dopo un giorno di marcia abbiamo perso i cacciatori, inghiottiti da una bufera di neve alzata da questo maledetto vento. Non so neppure se stiamo procedendo verso casa o se stiamo tornando tra le braccia di Kutuzov. La neve che si alza copre le tracce di chi è passato prima di noi. Il morale è molto basso. Champagneul si è fermato su una roccia e si è spento davanti a nostri occhi diventando un statua di ghiaccio. Povero Champagneul. Lui era bretone e prima di arruolarsi faceva il ciabattino. Mi raccontava spesso di sua moglie e dei suoi quattro ragazzi, tutti maschi. Avrebbero portato avanti loro la bottega di famiglia. Dovrò andare a trovarli quando riuscirò a tornare da questo inferno.

Domenica 13 dicembre 1812

E’ dura continuare. Mettere un piede davanti all’altro quando la neve ti arriva fino al ginocchio. Quello che ti spinge a proseguire è il pensiero che ogni passo che fai è un passo verso casa. Verso il caldo. Verso il calore di un bel letto, di una zuppa calda e dell’amore di una donna. Avrei voglia di una bella zuppa di cipolle, come quella che faceva sempre mia madre. Calda, che ti riempie lo stomaco e ti scalda le interiora. Qui invece non ci è rimasto altro che neve. E vento. E freddo.
Siamo rimasti in tre. Ieri l’altro, in uno spiraglio di calma dal martellante soffio del vento, abbiamo visto delle figure lungo l’orizzonte. Sembravano uomini a cavallo. Potevano essere dei nostri, certo, ma avrebbero potuto essere anche dei cosacchi. Jacquot si è messo a correre e a gridare come un matto. “Fermo Jacquot, dove vai? Fermati!”. Abbiamo provato a farlo ragionare, ma non avevamo argomentazioni convincenti per farlo desistere. Si è fatto sempre più piccolo nel bianco della neve tutt’attorno. Jacquot è sparito inghiottito da quel candido orizzonte. E’ tornato il vento e noi ci siamo rimessi in marcia. Non sappiamo verso dove, ma marciare è l’unica cosa che ci tiene vivi.

Martedì 16 dicembre 1812

Oggi siamo arrivati in un nuovo villaggio, seguendo il corso ghiacciato di un piccolo fiume. Appena abbiamo raggiunto le prime case siamo stati bersagliati da alcuni colpi sparati da una delle case lungo la strada principale. Per fortuna non erano colpi molto precisi perché non avremmo avuto nulla con cui rispondere. I nostri moschetti sono diventati legna da ardere già da tempo, oppure abbandonati perché ormai inservibili. Abbiamo tenuto qualche baionetta, e la zappa di uno sappeur morto, utile per poter spaccare legna. Come i colpi hanno smesso di piovere verso di noi, siamo usciti dal nascondiglio di fortuna che avevamo trovato, dietro un vecchio carretto senza ruote rovesciato al bordo della via. Abbiamo provato a urlare in francese e nel poco russo che abbiamo imparato a conoscere in questi ultimi mesi. Da una casetta mezza diroccata è uscito un gigante dai capelli rossi come il fuoco. Si chiama Villeron e faceva parte del corpo dei corazzieri a cavallo della guardia imperiale. E’ qui da qualche giorno e dice che non ne vuole più sapere di proseguire. Il suo cavallo è morto di stenti durante la ritirata e, grazie al gelo, avrà carne per almeno altri dieci giorni. Dopo, che siano i cosacchi o il gelo, lui è pronto ad andarsene in questo paese scordato da Dio. Tanto a casa non ha nessuno che lo aspetta.

Giovedì 18 dicembre 1812

Questa mattina abbiamo lasciato l’amico Villeron e con lui ha voluto rimanere anche il caporale Ceziere. I racconti del corazziere ci hanno sconvolto. Un uomo che avrebbe dato la vita per il suo imperatore, ma quando l’ha visto fuggire sulla sua slitta lasciando tutti i suoi uomini in balia dei russi e del freddo, ha confessato che l’unica forza che lo avrebbe ancora spinto a tornare a casa è il desiderio di uccidere Napoleone. Quell’impostore che gli ha rubato gli anni più belli della sua vita. Tutto sommato penso che abbia ragione. Io voglio tornare per riabbracciare mia madre. Ma se non ci fosse lei, non avrei nessun motivo per continuare a marciare in mezzo alla neve, e al vento che oggi è tornato a farci compagnia.

Mercoledì 24 dicembre 1812

Domani sarà Natale, se abbiamo tenuto un conteggio esatto dei giorni passati. Da due giorni siamo nascosti in quella che un tempo avrebbe potuto essere una stalla. Maingold delira per la febbre e non credo riuscirà a superare la prossima notte. Io non sento ormai più i piedi e sono stanco. E non ho voglia di rialzarmi e proseguire a camminare, da solo, verso casa. Perdonami madre, ma non ne ho più la forza. Non ho neppure la forza di piangere. Con questo freddo le lacrime gelano all’istante procurando un atroce dolore agli occhi. Tutto attorno è buio. Il silenzio è rotto solo dal vento che scuote le assi della stalla. Ho solo voglia di chiudere gli occhi un’altra volta. Un’ultima volta. Per sempre.


Mercoledì 12 giugno 1822

Hanno riportato a casa mio figlio. Non il suo corpo, ma almeno i suoi pensieri. Un mercante che conosco ha acquistato della merce da un rigattiere. Merce che arrivava dalla Russia. E tra candelabri e crocifissi in peltro e stagno, ha trovato un piccolo diario scritto in francese. E’ stata immensa la mia gioia quando ho letto quel nome, il suo nome. Il nome di mio figlio.
Questo non significa che potrò riabbracciarlo, che potrò sentire di nuovo il suo profumo, ascoltare il suo dolce sorriso come quando da bambino lo cullavo tra le mie braccia. Ma posso leggere di nuovo i suoi pensieri, quello che le sue mani avevano scritto, quello che il suo cuore aveva sentito in quei ultimi momenti. Leggendo queste poche pagine ho provato la sensazione che lui fosse qui accanto a me a raccontarmi delle sue paure, dei suoi sogni, di quel freddo insopportabile che gli ghiacciava le ossa e gli toglieva il respiro.
Le sue parole si sono fatte sempre più spezzate, incerte, fino a diventare macchie d’inchiostro, sfocate, forse dalle sue lacrime o dalle mie che ora bagnano queste stesse pagine. Terrò queste poche pagine sempre con me, come se lui fosse qui, come se potessi, attraverso loro, riportarlo davvero indietro con me, anche solo per un momento. Invece no. Non posso.
Quello che mi resta è il vuoto.
Un vuoto che nessuna parola potrà mai riempire.
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Messaggio Da Susanna Ven Ott 11, 2024 11:10 pm

Primo racconto in commento ed è una prova discreta: una scrittura semplice, efficace nel delineare il personaggio e il momento che sta vivendo, dove c’è spazio per ben poco che non siano disperazione, rassegnazione e il desiderio di tornare alla vita di prima.
Ammesso che si possa tornare alla vita di prima, quando sono vissute certe esperienze, e questo vale per ogni periodo storico, per ogni dannata guerra.
La forma del diario si presta bene alla narrazione: giornate alla fine tutte uguali pur con tante vicissitudini, intrise di crudeltà, paura, perdite, dove il vento è ben presente. Assassino indifferente, complice di chi ha trasformato esseri umani in pedine sacrificabili.
La parte affidata alla madre è ovviamente legata al dolore della perdita, ai ricordi, alle speranze spezzate. Il figlio rincorre pensieri e ricordi con cui cerca di occupare la mente, per non demordere.
Se posso fare una piccola annotazione, che dipende anche dalle mie aspettative: lo stile dei due narratori è praticamente uguale, non c’è una minima differenza di stile che rimarchi il passaggio di consegna.
Resta comunque una buona prova.

p.s. Anche questo racconto mi ha insegnato qualcosa: le figure dei soldati, con quelle denominazioni così strane e... si approfondisce.

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Messaggio Da M. Mark o'Knee Sab Ott 12, 2024 2:17 pm

Alcune imprecisioni riscontrate nel testo.
- "degli sappeur", "uno sappeur": penso che la preposizione e l'articolo da utilizzare siano "dei" e "un" e inoltre la grafia corretta è "sapeur" ("sappeur" credo sia la versione tedesca); poi, essendo un termine straniero, dovrebbe essere scitto in corsivo, come "grognards";
- E’ dura, E’ tornato, E’ qui, E’ stata: lungo tutto il testo viene usato E + apostrofo al posto della E maiuscola accentata (È);
- "ascoltare il suo dolce sorriso": guardare.
Da segnalare anche un paio di ripetizioni.
Un resoconto, sotto forma di diario, della tragica campagna di Russia di Napoleone. Le descrizioni, molto vivide e ben fatte, sono sempre affiancate da impressioni e sensazioni personali che arricchiscono molto il testo e lasciano trasparire come ben presto disperazione e sconforto prendano il posto di una sempre più flebile speranza di poter fare ritorno, fino alla rassegnazione finale.
Comprensibile l'uniformità di stile delle ultime righe della madre: la donna si è immersa nelle parole del figlio e sembra averne assorbito l'essenza.
Una cosa che avrei apprezzato, in questa ultima parte, sarebbe stata una rabbia, una condanna, della madre verso coloro che, incuranti di morte e dolore che camminano al loro fianco, pensano solo ad arricchirsi, arraffando e saccheggiando quel poco che resta nei villaggi dati alle fiamme; quelli che molto probabilmente hanno venduto la merce al rigattiere; quelle iene che, immancabilmente, in un modo o nell'altro, dalla guerra, da tutte le guerre, traggono vantaggio.
Comunque, davvero un buon lavoro, un racconto da tenere in considerazione (I.M.H.O.) nelle valutazioni finali.
M.

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Messaggio Da Byron.RN Dom Ott 13, 2024 5:49 pm

Idea semplice, svolgimento lineare, zero rischi e buona resa.
Il mio potrebbe sembrare un giudizio poco lusinghiero e invece ho gradito molto il racconto. Le immagini sono vivide, il freddo e la neve dell'inverno russo sono protagonisti assieme ai superstiti di questa storia.
C'è caparbietà, desolazione, resistenza e infine rassegnazione.
In pochi caratteri penso che tu sia riuscito a delineare un quadro esauriente della vicenda.
Buon racconto e buona esecuzione.
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Messaggio Da Molli Redigano Mer Ott 16, 2024 10:01 am

La costruzione del testo è molto semplice per cui la scelta di utilizzare il diario è azzeccata. Come già notato, nessun rischio narrativo ma resa massima dal punto di vista del "prodotto" finale.

Trattandosi di un resoconto storico non posso che apprezzarlo a priori. Mi ha colpito soprattutto il vento, indiscusso protagonista insieme al freddo, che ritorna sempre in ogni pagina di diario come fosse una sorta di filo conduttore che trascina con sé il dramma che l'Autore ha voluto descrivere. 

Circa i personaggi, nonostante di loro vengano date poche informazioni, li ho trovati ben caratterizzati e funzionali alla narrazione diaristica. 

L'ultimo passaggio della madre che attraverso gli scritti del figlio recupera i ricordi di lui e del loro speciale rapporto completa il racconto e chiude il cerchio. Non trovo inverosimile che abbia trovato il diario da un rigattiere anche se di certo è stata molto fortunata.

Arvedse!
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Messaggio Da ImaGiraffe Oggi alle 7:43 am

Non amo i racconti dal fronte, li trovo tutti abbastanza uguali e questo compromette il mio giudizio.
Il tuo racconto è lineare e senza picchi e in alcuni casi mi sono annoiato.
La cosa che ho sentito più forte è la mancanza del vento. Percepisco che tu abbiamo fatto l’associazione freddo= vento freddo. (Almeno così spero) ma purtroppo, per me, è un collegamento troppo debole.
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