Il libraio stava leggendo la controversa Storia dei Templari di Wilkinson, un’edizione abbastanza rara ma ben conservata, appoggiato al suo banchetto d’angolo, sul lato opposto all’ingresso della minuscola libreria. In quell’ora serale sedeva generalmente assorto su un qualche testo misterico, cabalistico, negromantico, ché in questo era specializzato. Mentre leggeva, alla luce di una piccola lampada, annotava mentalmente le argomentazioni di Wilkinson che non lo convincevano molto. Stava ragionando sulla nota ipotesi di quell’Autore sul Santo Graal, dissentendo risolutamente fra sé, quando sentì le campane di San Guido battere otto rintocchi.
Il primo rintocco attirò la sua attenzione. Al secondo già chiudeva il libro prendendo nota della pagina alla quale era arrivato. Non era risuonato l’ottavo che aveva agevolmente attraversato la piccola libreria portandosi alla porta, dove chiuse a chiave e girò il cartello su “chiuso”.
Passarono alcuni minuti silenziosi quando qualcuno bussò. Il libraio andò ad aprire: “Mi dispiace signore, abbiamo chiuso da poco.”
L’uomo sulla strada era massiccio, anche se non molto alto. Vestiva pesante, con una sciarpa sul volto e un cappello a larghe tese. “Mi manda il Maestro.”
Il libraio lo scrutò, rispondendo come convenuto: “Non conosco il Maestro.” “Nessuno può conoscerlo,” replicò l’uomo. Il libraio fece un passo indietro e lasciò entrare il visitatore.
“Si accomodi,” fece il libraio indicando una piccola poltrona scrostata davanti al suo banco.“La prego di aspettare qui qualche istante.” Aprì quindi una porticina poco visibile e sparì per alcuni minuti; quando ricomparve posò sul banco un involto non particolarmente ingombrante, damascato ma coi colori spenti dal tempo e con qualche visibile strappo. L’uomo era sempre immobile ma ora pareva vibrasse, che stentasse a contenere l’eccitazione. I suoi occhi erano lucidi, sbarrati, fissi sull’oggetto. “È lui, vero? Permette?” Disse alzando lentamente la mano. “Prego, si accomodi.”
L’uomo si alzò in piedi e delicatamente tolse il panno in modo da liberarne il contenuto. “Lei non sa…” iniziò a dire con voce tremante; “lei non può capire… Sono quasi vent’anni che lo cerco.” Il libraio non si prese la pena di rispondere, non era necessario. Aveva già visto scene simili molte volte e sapeva fare bene il suo lavoro.
L’uomo sfiorò coi polpastrelli il piccolo volume, senza decidersi ad aprirlo. “Lei sa cos’è?” chiese ora con voce ferma, sempre fissando il libro; “sa cos’è veramente questo libro?” “Signore, non crederà che possa gestire una libreria esoterica come questa senza sapere cosa io venda. Veramente.”
“Lei sa cos’è e lo vende?”
“Faccio il libraio per vivere; lei paga bene.”
“No. Ci deve essere qualcos’altro. Forse lei non sa realmente cos’è questo.”
“Il Libro Nero. Secondo Thibaut de Champagne fu iniziato da Giovanni di Salisbury quando era già vescovo di Chartres, poco prima di morire nel 1180. Pare che nel suo testamento lo menzioni come ‘il mio piccolo quaderno di devozioni’…”
“Mi risparmi la lezione storica. Le sa cos’è o non lo sa?”
“È la compilazione di tutti i nomi di Dio. È scritto in lingua d’oc e dialetti francesi, latino, greco, naturalmente ebraico e numerose altre lingue incluso l’italiano volgare. A partire da Giovanni di Salisbury decine e decine di catari, dolciniani, begardi hanno trascritto i nomi di Dio, ma si ha nota anche di spinoziani e altri ebrei… Per secoli questi mistici hanno cercato i nomi dell’Onnipotente e li hanno scritti in questo quaderno, uno sull’altro, continuamente, per confondere i loro persecutori. La scrittura si è sovrapposta in maniera inestricabile, in un groviglio sempre più fitto che ha annerito le pagine rendendole illeggibili, ed è per questo che il libro viene appellato ‘Nero’. Secondo Johannes Quasten i nomi sono 5.185. Ovvero i 72 prescritti dalla Cabala per 72 volte. Più uno, quello fondamentale che li rappresenta tutti.”
“Lei è un erudito, indubbiamente,” disse con un filo di voce l’uomo. “Immagino allora che sappia a cosa serva, e ripeto che non capisco perché lo voglia vendere. Il potere del libro è… è… come posso dire… totale. Inconcepibile. Assoluto.”
“Signore, un conto è che io conosca queste cose e un altro conto è che io le creda. E in ogni caso il libro è inservibile. Semplici pagine annerite dalle molteplici calligrafie, un arabesco continuo e intrecciato totalmente incomprensibile.”
“Mmh… Può darsi. Lei è un personaggio singolare. Ero stato informato. Lei mi ha reso un enorme servigio. Un servigio senza prezzo. Spero comunque che questo sia soddisfacente per lei.”
Il libraio gettò un breve sguardo all’assegno. “Certo, va benissimo. Io la ringrazio caro signore. Spero che lei trovi veramente quello che va cercando”.
L’uomo abitava lontano e impiegò diverse ore per tornare a casa, in un crescente stato di eccitazione febbrile. Senza fare alcuna sosta arrivò di prima mattina. Fermò l'automobile davanti all’ingresso, prese la valigetta che conteneva il prezioso oggetto e con passi veloci arrivò nello studio dove si chiuse a chiave. Una volta dentro alzò lo sguardo sul macchinario che dominava dal grande tavolo della parete di destra. Era una sofisticata evoluzione di uno scanner, tutto sommato. L’aveva immaginata lui, e poi fatta progettare e costruire da informatici e ingegneri differenti. L’apparecchio avrebbe compiuto tre analisi sulle pagine del Libro Nero.
Una prima era chimica. Gli inchiostri antichi si potevano riconoscere dalla loro composizione, da quelli basati sulla fuliggine prodotta da conifere fino a quelli più moderni con componenti di acido ossalico; la chimica dell’inchiostro rivelava chiaramente l’epoca della scrittura ed era facilmente identificabile senza esami intrusivi sul prezioso testo. La seconda analisi era spettrografica; anche se gli inchiostri erano essenzialmente neri, l’esame dello spettro rivelava con precisione incredibile le piccole differenze di tono non percepibili ad occhio nudo. Con questi primi due esami l’uomo contava di dividere le molteplici sovrapposizioni di scrittura, di isolare ogni tratto dall’intrico stratificato. E per le parti logorate dal tempo o diversamente non ben distinguibili, il terzo esame, quello grafico-topologico, ovvero la ricostruzione delle linee e delle forme, avrebbe consentito le ultime cuciture, l’imbastitura delle lacune, la giunzione dei frammenti.
L’uomo accese subito la macchina e introdusse il Libro Nero su un ripiano interno; la triplice scansione avrebbe impiegato qualche ora per ciascuna pagina. Il meccanismo emetteva un piccolo beep ogni volta che ne concludeva una, trovando l’uomo una volta immerso nelle sue fantasie, una volta addormentato vestito sul divano, quasi crollato per la stanchezza e la tensione. Passò tutto il giorno lì, poi la notte, e l’ultimo beep avviò la riproduzione dei risultati sul monitor.
La macchina produsse il primo nome e il vocalizzatore lo scandì nel silenzio dello studio.
E il primo nome era il Caos primordiale, gelido vuoto eterno, massa eterea, buio totale e luce abbacinante, silenzio assoluto, freddo, magma, neutrini impazziti e protoni danzanti, raggi ultravioletti che schizzavano selvaggi e violenti, precipizio, caduta, schizzi di universo che si schiantavano l’uno sull’altro, e l’uomo sentì la sua mente vacillare in quel vorticare.
Il secondo nome pronunciato dalla splendida macchina era il puro Assoluto. L’assoluto vuoto, l’assoluto pieno, l’assoluto nulla, l’assoluto male e l’assoluto bene, l’assoluto godimento e l’assoluta sofferenza, e l’uomo si accasciò stremato e svuotato di ogni energia e di ogni volontà.
Il terzo nome uscì rombante ed esplose nei miliardi di suoni della Parola. Boati, fischi, tuoni, sibili, urla, schianti, ruggiti, clangori, fragori, fruscii, abbai, tonfi, tutti assieme, tutti distinti, tutti percettibili, tutti insopportabili, e l’uomo assordato, annichilito, ormai paralizzato giaceva riverso con un rivolo di sangue dalle orecchie, coi timpani spezzati.
Ma non servivano più orecchie, e il quarto nome era Giudizio e arrivò diritto alla sua anima, trapassò il suo cuore, sconvolse le sue viscere, fuse il suo cervello in uno strazio inaudito dove le sue colpe, e la consapevolezza delle colpe, e l’irreversibilità eterna delle colpe compirono l’ultimo atto per quello che fu un uomo e ora era solo un fantoccio di carne gettato sul pavimento.
Un fantoccio di carne morta che non poté più ascoltare l’elenco dei nomi, di tutti i nomi di Dio, che la macchina prodigiosa continuò a declamare per tutta la notte.
Il libraio sentì bussare e andò ad aprire: “Mi dispiace signore, abbiamo chiuso da poco.”
L’uomo sulla strada era teso, nervoso, di una magrezza impressionante. Indossava un mantello a ruota, con una sciarpa rossa e il capo scoperto. “Mi manda il Maestro,” disse.