Quest’ultimo mese e mezzo è stato per me molto, molto, molto, molto ecc. ecc. brutto. Ho toccato il fondo di un periodo molto, molto, molto ecc. ecc. brutto. Ci sono momenti della vita in cui si è eccezionalmente fragili, fragili tanto quanto mai si sarebbe pensato di potere mai essere. E questa fragilità si estende, senza che nulla ci si possa fare, a ogni cosa che accade, cose che normalmente sarebbero solo enormi sciocchezze, a cui non si darebbe alcuna importanza e che scivolerebbero via senza ricordo. Ci sono periodi in cui tutto è una disconferma di ciò e di chi si è, si è stati, si pensa che mai più si sarà, in cui quindi una sciocchezza fa eccezionalmente male perché è una disconferma, quando invece non si è in grado di reggere più nemmeno una piuma.
La parte razionale capisce tutto questo, ma la parte emotiva non può farci niente.
Questo solo per dire che sono consapevole che l’essere stata così amareggiata da quanto è successo in questo step non è obiettivamente realistico, quello che è successo fa parte delle normali dinamiche del concorso, quindi è la mia personale percezione che lo ha reso qualcosa che invece non è, come dimensioni e come peso.
In questo mese ho avuto tutti i pensieri possibili dell’universo: fare andare fuori gara il racconto e farmi squalificare per i prossimi concorsi, eliminare la mia iscrizione al forum (ho avuto il ditino lì pronto per diverse sere) e altri di cui qui non vale la pena parlare.
In questo mese ho però anche sentito una frase che mi ha aiutato molto: tra lo stimolo e la risposta, la reazione, c’è uno spazio, ed è in questo spazio che si gioca la nostra libertà.
Allora ho aspettato. Consapevole di quanto ogni mia reazione fosse in questo periodo legata a cose che esulano dall’importanza reale di un concorso letterario. Ho aspettato la fine del contest, che per fortuna è arrivata in questi giorni, in cui per fortuna sto meglio, e oggi, in cui sono piena di cortisone in vena, che su di me ha l’effetto di una botte di caffeina, nel senso che mi tira molto su. Pensate se avessi scritto in un giorno in cui ero giù…
Oggi sono in grado di prendere le distanze e scrivere in modo sereno (insomma, più o meno, ma non aspettatevi che possa farlo meglio di così… ) della faccenda dei paletti.
Perché un conto è non venire votati perché il racconto non piace o è scritto male o non coinvolge, non prende, ma leggere che il racconto è bello, scritto bene ma non si verrà votati perché non ci sono i paletti, quando invece ci sono… Certo, si può riflettere sul quanto più o meno sviluppati o centrali, ma questo non è stato qualcosa di relativo solo al mio racconto ed è legittimo.
Certo, e qui sono perfettamente d’accordo, alcuni non erano paletti “col cartellino sopra”, andavano evinti dal testo…
1. L’anno 1600. La richiesta era che l’azione del racconto fosse nell’anno 1600 (non in tutto l’anno, bastava anche un solo giorno dell’anno 1600, come infatti avviene nel racconto).
Certo, non ho scritto esplicitamente “anno 1600” da nessuna parte, ma l’anno si evince, tramite inferenza, dal dialogo iniziale tra i due protagonisti, quando Cervantes dice di essere stato ferito ventinove anni prima nella battaglia di Lepanto. La battaglia di Lepanto è del 1571, quindi 1571+29= 1600, anno in cui storicamente Cervantes era a Siviglia e faceva l’esattore delle imposte.
Quello che mi ha lasciato male è stato sì il fatto che la prima persona a commentare abbia scritto un anno sbagliato per la battaglia di Lepanto (che, appunto, avviene nel 1571 e non nel 1575) – Petunia non lo ha fatto in cattiva fede, ne sono convinta; probabilmente, penso io, aveva in mente una data e l’ha buttata lì senza verificare – ma anche che le persone che hanno commentato a seguito abbiano preso per buona la sua informazione sbagliata, senza porsi alcun dubbio, anche appunto considerando che il racconto era stato ammesso, e non abbiano verificato, cosa rapidissima da fare tramite internet.
La prima a verificare è stata Susanna (anche se per lei il fatto che il racconto fosse del tutto ambientato nell’anno 1600 non era sufficiente, ma questo ricade nel campo delle opinioni personali, quindi non ho niente da dire), anche se dopo di lei ancora qualcuno ha tirato fuori la mancanza dell’anno, quindi senza trovare l’informazione oppure non verificandola.
2. Arrivo a quello più spinoso: l’utente. Nessuno l’ha trovato (o almeno l’ha scritto nei commenti), nemmeno Asbottino che aveva chiaramente avuto un’intuizione ma non è riuscito a portarla alle conseguenze finali.
Alcuni indizi.
In fase pre-concorso si era detto che, ambientando il racconto nel 1600, il concetto di utente poteva e doveva, necessariamente, essere adattato all’epoca.
Si era parlato abbastanza del concetto di utente, avevamo riportato alcune citazioni da dizionario: chi usufruisce di un bene o di un servizio offerto da enti pubblici o privati, chi usa di un servizio, il destinatario ultimo di un servizio, ecc.
Ultimo indizio: il sostantivo “utente” può essere sia maschile che femminile. Uno dei problemi credo proprio essere stato questo, che istintivamente si pensa all’utente al maschile, ma non è detto.
Oggi nessuno di noi ha il dubbio se considerarsi o no un o un’utente del servizio sanitario pubblico, ma nel 1600 non c’era il servizio sanitario nazionale. C’erano diverse realtà, spesso legate a iniziative private, che si occupavano dei problemi sanitari, della cura di malati e bisognosi di varia natura. Una di queste realtà era la Confraternita della carità di Siviglia, che aveva creato l’Ospedale della carità, in cui Maria finisce, in cui don Alonso la trova e la lascia perché venga curata, in cui la vede Cervantes. Maria è quindi un’utente di questo servizio di assistenza e cura del tempo.
Asbottino ha scritto che Maria, pur presente in modo limitato, è il motore narrativo di tutta la storia. Ed è esattamente così che l’avevo pensata io: senza Maria non ci sarebbe nessun desiderio, nessun conflitto con le forze avverse, nessuna azione, nessuna storia.
3. L’anticamera e la chiesa. In realtà questi due paletti sono stati i più individuati, anche se ne è stata spesso messa in dubbio la rilevanza. Su questo però, naturalmente non posso dire niente: sono opinioni dei commentatori, quindi non sindacabili.
Io ovviamente penso che fossero rilevanti e usati in modo corretto. Mi sembra di ricordare che, nel regolamento, non sia richiesto che tutta l’azione si svolga nella camera o nel luogo, ma che abbiano una funzione importante nella storia, che può anche solo iniziare o finire lì. Ed è esattamente quello che succede nel racconto.
L’anticamera è il luogo dell’incontro da cui parte il viaggio per Siviglia, incontro in cui don Alonso si rende conto di avere finalmente la sua occasione per fare quello che deve e per cui ha preso accordi con le guardie. Il dialogo con Cervantes che qui avviene è importante perché don Alonso “gli prende le misure”, intuisce di avere a che fare con qualcuno che può fare al caso suo, e non solo per il lavoro che svolge, ma perché forse può capire motivazioni importanti.
Il viaggio iniziato nell’anticamera si conclude nella cattedrale di Siviglia, prima con la firma dei documenti e il distacco di don Alonso e Maria, poi con il dialogo finale in cima alla Giralda, e chi ha anche solo visto le foto di Siviglia, sa quanto è bella.
E non sto qui a spendere parole per dire quanto sia importante quello che viene detto, sia all’interno del racconto che nella proiezione per quanto riguarda il futuro personaggio di don Chisciotte.
Questione paletti finita.
Rispondo ad altri dubbi.
Il campanello di Paluca. Ma dai, abbiamo più o meno la stessa età! Mi sono sentita vecchia, ad avere nel ricordo avere suonato campanelli di conventi azionati da un sistema di trasmissione tramite corde. I campanelli esistono da prima della corrente elettrica. Si vedono ancora nei film in costume.
Il personaggio di don Alonso è del tutto inventato, così come il suo incontro con Cervantes. Se è avvenuto qualcosa di simile, io non ne so niente.
Di realmente storico c’è che Cervantes nel 1600 faceva l’esattore delle imposte a Siviglia. Nel 1597 era finito nelle carceri reali di Calle Sierpes proprio in seguito a guai col suo ufficio (e ci tornerà nel 1602). Si pensa che proprio l’esperienza della prima prigionia sia stato il momento in cui ha cominciato a elaborare la storia di Don Chisciotte.
Io ho semplicemente romanzato un po’ e spostato di qualche anno lo scattare di quel processo. Ho chiamato così don Alonso perché questo è il nome di don Chisciotte. “Non vi dimenticherò, don Alonso”, dice Cervantes alla fine, e prima avevano parlato di ideali e di pazzia agli occhi del mondo.
Se ho lasciato dubbi irrisolti, sono qui.
Di solito inizio con i ringraziamenti, questa volta chiudo.
Inizio ringraziando lo staff, per tutto il lavoro che ogni volta svolge. Questo per me, come ho scritto sopra, è stato uno step molto critico, per tantissimi motivi. Però questi paletti mi hanno permesso di scrivere quello che io reputo un bel racconto, migliorabile ma bello, e spendibile in modi futuri. Questo non sarebbe possibile senza il lavoro dello staff di DT e senza questo stranissimo concorso.
Ringrazio per il tempo che tutte le persone che partecipano impiegano, togliendolo alle loro vite, per commentare il mio racconto. Da standing ovation quelli che addirittura commentano senza partecipare.
Ringrazio tutti per gli apprezzamenti sulla scrittura e sulla qualità del racconto, al di là della questione paletti. Sono parole che fanno sempre bene.
Ringrazio naturalmente tutti quelli che hanno dato fiducia sia a me che allo staff, che i paletti ci fossero , e chi alla fine mi anche votato.