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Tempesta di sensi
* * *
Sono sul terrazzo, seduta su una poltroncina, i piedi nudi appoggiati al muretto e sto leggendo.
È strano, perché di solito preferisco il divano o il letto, sono più comodi e non c'è il fuori che mi distrae. Per di più la poltroncina, così invitante quando era esposta in negozio, non è neanche troppo adatta "per le lunghe percorrenze", forse per una colazione veloce ma sicuramente non per la lettura. Pazienza, speriamo di trovare anche stavolta, tra le pagine di questo libro, cuscini morbidi e divani avvolgenti.
Probabilmente mi alzerò con l'osso sacro dolorante, però non è poi così grave: almeno per un paio d'ore avrò respirato aria non climatizzata, riposato gli occhi con luce naturale e lasciato che i sogni e le emozioni di un buon romanzo abbiano avuto il sopravvento su aridi documenti di lavoro.
Uno dice: - Ma chi te l'ha fatto fare? Invece di lamentarti, cambia posto!
La tentazione è stata la bellezza di questa giornata estiva: sarebbe stato uno spreco non approfittarne.
Il sole non è stato troppo invadente e il balcone è piacevolmente caldo, nell'aria sembra esserci una leggera nebbiolina dorata, il verde della macchia d'alberi dietro casa è variegato, riposante e nasconde per bene i piccoli nidi e gli ospiti giocosi che la mattina danno la sveglia con puntualità.
Mi torna alla mente mia nonna:
"Guarda il verde che ti fa bene agli occhi!" mi diceva quando trotterellavo dietro a lei nei prati o nell'orto. Saggezza contadina: forse lei con "occhi" intendeva la vista, dato che fin da piccola ho portato gli occhiali, e il guardare il verde, chissà, forse è davvero un buon rimedio per la stanchezza. O magari era il suo modo ruvido e da donna all'antica, senza tanto studio in testa, per insegnarmi ad amare la natura, la campagna.
A un tratto la luce cambia: verso le colline sta diventando gialla, lattiginosa, il sole riesce a darle ancora una pennellata di rosa pallido. Le colline si vestono di viola e verde scuro, i profili si stanno stemperando tra nuvole nuove.
Verso la città invece il cielo sta diventando blu, blu carta da zucchero. È un colore compatto, uniforme, come i cieli che dipingevo da bambina con le tempera. Un blu scuro e nello stesso tempo luminoso: viene voglia di accarezzarlo, per sentire quanto sia liscio, privo di asperità, sperando che in cambio di una carezza temeraria regali un ultimo attimo di calore.
Pensieri vaganti, liberi di essere assurdi o forse liberi di essere finalmente pensieri, giocherelloni e sornioni, falsamente ingenui e infantili.
Sta arrivando il temporale: spero sia un bel temporale estivo, di quelli che durano poco e non fanno danni.
Mi piace il temporale, tutta la forza che porta con sé mi tranquillizza.
Appoggio il libro sulle ginocchia: voglio proprio godermelo, questo temporale, lasciando che i pensieri e i ricordi scorrazzino intorno a me, richiamati dai mille stimoli e dalla confusione che si stanno preparando.
Da bambina facevo disperare mia madre, che dei temporali aveva paura, andandomene a passeggio per le strade di campagna vicino a casa, piene di buche che sarebbero diventate pozzanghere divertentissime.
Tornavo umidiccia, con le gambe sporche di terra e fili d'erba, felice di quei momenti di libertà tutti miei. Forse anche un po' contenta di averla fatta preoccupare, sentendomi forte per non aver avuto paura mentre lei qualche volta si rifugiava nel sottoscala o a casa dei nonni.
Che incosciente! Se penso che qualche volta uscivo pure con l'ombrello… mah, qualcuno che tiene d'occhio i bambini da qualche parte si vede che esiste davvero.
Qualche giorno fa ho trovato una foto: per chissà quale gioco della memoria, mi sono ricordata che proprio il giorno in cui mia mamma aveva scattato quella foto c'era stato un brutto temporale. Non mi era stato permesso di uscire, ma io, piano piano per non farmi sentire, avevo alzato la tapparella e aperto la finestra della mia camera: ero rimasta per lunghi minuti a osservare affascinata i rivoli d'acqua in strada, con striature oleose di uno stranissimo colore che ricordava un arcobaleno, in realtà i residui dei gas di scappamento delle auto.
Mi ero inventata lì per lì un gioco, semplice ed ipnotico: seguivo una foglia o una macchia di fango, una striscia di bollicine, finché non finiva nel ricciolamento intorno ai tombini, scommettendo con me stessa che avrebbe resistito fino a che io non avessi contato fino a quattro, sette…
Per strano che possa sembrare, il temporale mi calma.
Un momento di riposo per me, mentre lui, il temporale, deve darsi un sacco da fare: un ragazzino scalmanato, con troppi giochi tra i quali non sa quale scegliere. Il vento, l’acqua, il tuono, le nuvole…
Lui è forte, la natura è forte, ma io me ne sto qui, buona buona, aspettando che si quieti: se fossi in strada dovrei cercare un posto per ripararmi dalla pioggia e sarebbe un posto speciale, dove sentirmi protetta ma senza rinunciare allo spettacolo.
E che spettacolo!
L’aria è immobile, piena di suoni. Vorrei chiudere gli occhi, ascoltare solamente, concentrandomi per riconoscere suoni lontani o nascosti, ma è più forte di me: non devo perdere un solo colore, un solo movimento, un odore. Oggi deve diventare un ricordo: vorrei che tra qualche anno un piccolo, insignificante particolare mi riporti improvvisamente su questo balcone, adesso, con questa luce, col profumo delle acacie che arriva insieme alle prime folate di vento, con l'idea dell'aria fresca che si avvolge attorno alle mie gambe e si arrampica sulle braccia…
Sopra i cortili, rondini e storni stanno volando in tondo, nervosi, lanciando richiami acuti: veli neri, leggeri e dai disegni delicati in balia di venti capricciosi. Dal canale dietro casa le rane, così rumorose fino a qualche minuto fa, si stanno dando il cambio con le cicale, mentre un paio di gazze litigano, o forse chiacchierano solamente, svolazzando attorno a un grosso nido.
Improvviso arriva il vento: un ragazzino turbolento, che spazza i cortili sollevando dispettosamente nuvole di polvere poi, non contento, va a spettinare le chiome degli alberi, portandosi via foglie disattente e rametti ormai secchi.
Le antenne sui tetti dondolano in strane danze rituali, senza ritmo.
Ed ecco, atteso, l’odore della pioggia: da qualche parte piove già, e non deve essere molto lontano.
Che buon odore! Odore di terra calda: le prime gocce, grandi e pesanti, avranno sollevato piccole nuvole di polvere finissima, avranno dato ristoro ai ciottoli accaldati. E ancora l’odore verde dell’erba, gli steli ancora bambini rotti dal peso delle gocce, di foglie finalmente libere dalla polvere.
I pensieri senza senso sono in agguato: qualcosa mi suggerisce che quell'odore potrebbe anche avere un sapore, che se mi ritrovassi improvvisamente bambina curiosa e sperimentatrice, potrei anche scendere in cortile e provare ad assaggiare la polvere bagnata o qualche stelo di erba. Mi accontento di una goccia d'acqua che raccolgo sul palmo della mano, troppo piccola per regalarmi la sensazione di un sapore.
Si comincia a sentire anche un vago brontolio, ancora non si capisce se sia il tuono oppure i camion che transitano rumorosi sulla strada, più avanti, o forse i rumori del cantiere dietro quella macchia di alberi.
Piove. Goccioloni grandi, radi e pesanti, arrivano veloci e si schiantano contro i vetri, le tegole. Se non fosse per le mille goccioline in cui si dividono potrebbero sembrare sassolini.
Di punto in bianco le gocce rade si trasformano in un sipario di acqua che si piega al vento, una trama fitta anche se trasparente, e si affaccia l'idea che qualcuno la stia spingendo.
Dall’asfalto sale l’odore del caldo, il fruscio delle auto si sta liquefacendo. Tra poco i rivoli d’acqua… sssffccciierrannno… in un suono gorgogliante, bianchi di schiuma: sui bordi della strada si trasformeranno in immense onde e cavalloni per le lucertole, per i topolini e per quel cagnetto temerario che sta passando tranquillo, con le orecchie e la coda bassa, già bagnato fradicio.
Mi fissa per un momento con uno sguardo… rassegnato.
"Non hai mai visto un cane bagnato? Non è mica male, sai! Sei tu che non hai più il coraggio di scendere in cortile, a giocare alla trottola, sotto l'acqua! Ci sono delle bellissime pozzanghere, più in là: vedessi che spettacolo quando ci passano su le auto!"
Le mille gocce si infrangono anche sulla ringhiera, sulle foglie dei ficus, sul tendone, le sento leggere sulla pelle: assomigliano allo zampettare di una zanzara. Un attimo di pelle d’oca, poi il freddo di quelle gocce diventa fresco. Non mi muovo. Mi sto bagnando ma non mi importa.
Una luce, bianca e inattesa, mi costringe per un attimo a chiudere gli occhi.
Due secondi e il cielo sembra rompersi con uno schiocco fortissimo. Il tuono, secco, deciso, padrone dell’aria e del mio cervello, cancella per un attimo tutti i rumori ed i suoni. Un attimo di spavento, ma resto lì.
Altri lampi, vicinissimi, abbaglianti. Altri tuoni, che fanno tremare i vetri e che sembrano scuotere anche lo stomaco, il cuore. Assomigliano a ordini, oppure a frasi secche che ti attraversano. IO sono forte. IO comando.
Altri lampi, altri tuoni: il cielo è sempre blu e sembra volersi difendere da nuvoloni grigi che stanno accorrendo, minacciosi e disordinati.
Dovrei andarmene, potrebbe essere pericoloso: il desiderio di un ricordo potrebbe anche trasformare me in un ricordo. Un bel fulmine e zacchete: un paginone sul giornale di domani, magari assieme alla conta dei danni che sicuramente il temporale avrà fatto da qualche parte.
Beh, non rientro in casa, però almeno tolgo i piedi dal muretto e dalla bassa ringhiera di ferro. Non tentiamo la sorte.
Adesso si sente anche un odore strano, arido, di aria “bruciata”, che cancella per qualche secondo tutti gli altri odori, umidi e appiccicosi: ancora qualche lampo, più gentile e il tuono si fa brontolone. Sì sì, vabbè... adesso vado! Visto però come sono forte? State attenti!
Bene: adesso che ci ha fatto vedere di cosa è capace, è contento e si allontana, con uno strascico di pioggia leggera e di vento gentile che scompiglia dispettoso i gerani. Non vi pare che ci stiano facendo le boccacce?
Gna gna gna gnana…
Dai tetti l’acqua sta scolando nelle grondaie: pochi minuti e quei rivoli impetuosi che invadono giardini e marciapiedi saranno solo un ricordo. Stanno tornando lentamente i suoni di un pomeriggio estivo: il traffico che si fa più veloce, le sventagliate d'acqua di automobilisti distratti o dispettosi stanno perdendo d'intensità.
Nei cortili tornano le risate dei bambini, le gru del cantiere là in fondo ricominciano il loro saliscendi, mentre le gazze hanno ripreso le loro chiacchiere rumorose e prepotenti.
La signora Irma è già al lavoro in giardino: tempo mezz'ora e non ci saranno più petali o foglie disperse, avrà risistemato i tralicci dei rampicanti e spazzato per bene il marciapiede. Probabilmente asciugherà le persiane con i suoi immancabili stracci immacolati.
Me ne sto lì ancora un po’, immersa in quel miscuglio di odori, suoni, profumi, con la pelle ancora umida. Torna una perla di sole, rossa e arancione.
Mi alzo, più serena e sorrido tra me: prima cosa, asciugare il libro. Ho la vaga idea che le pagine 125 e 126 non abbiano gradito molto il temporale, eppure parlano di deserto, di sete, di borracce vuote e del sogno di una pioggia.
Seconda cosa… niente, non c'è una seconda cosa. Anzi c'è, ma è una sensazione, una voglia improvvisa, ma neanche... È un desiderio fortissimo che il tempo possa trascorrere con la stessa lentezza di quando ero bambina.
Mi rendo improvvisamente conto, anche se è qualcosa che in realtà rimugino da tempo, della differenza tra quanto dura un pomeriggio di vacanza oggi e quanto mi sembravano lunghe le giornate estive dell’infanzia.
Allora c'era persino il tempo di annoiarsi, di non sapere cosa fare per arrivare a sera. Eppure si facevano tantissime cose.
Persino un temporale, che oggi mi pare si sia preso quasi l'intero pomeriggio, anche se è durato forse un'oretta, a "quei tempi" (mamma mia, che brutto dire, quei tempi) era solo una breve interruzione, giusto il tempo di pensare a nuovi giochi o a passatempi più tranquilli: scala 40, le bambole, ritagliare le pagine di vecchi giornali.
Talvolta anche la prima occasione per una bella lettura, per due chiacchiere tra amici, o con il nonno che ti racconta dei temporali durante la guerra, di quella volta che un fulmine lo ha sfiorato, e di quell'altra volta che una tromba d'aria si aveva portato via il tetto della vecchia stalla.
Oggi il temporale è disagio per il traffico, autobus che ritardano, timore che una grandinata ti rovini l'auto al parcheggio, finestre che forse hai solo accostato, bucato che non fai in tempo a raccogliere. Ad ogni temporale, la conta dei danni di cui nessuno vuole essere responsabile, acqua da togliere dalle cantine sperando che i tombini tengano, fango che si trasformerà in cemento su del cemento di troppo.
Agosto 2010
Sono passati due anni da "questo temporale": due anni passati cercando nelle parole un modo di raccontarmi le cose, costruendo frasi che poi mi sorprendo a pensare: "Ma davvero le ho scritte io, 'ste cose?".
Niente di difficile, di ricercato o di filosofico. Solo parole che siano ricordi, prima o poi.
Anche oggi, e ieri, c'è stato un bel temporale.
Non sono uscita sul balcone, la seggiolina scomoda è ancora nel ripostiglio, a raccogliere polvere. Il temporale è passato quasi inosservato, nascosto dal suono dei telefoni, dall'accanimento della posta elettronica, dal fruscio della montagna di carte sulla scrivania.
Soffocato da un tempo che pare scorrere sempre più veloce, con traguardi che neanche ti accorgi di aver raggiunto perché già ce n'è un altro da raggiungere, chiedendosi se davvero là davanti c'è qualcuno che corre più veloce di te.
Il temporale oggi non mi ha aiutato a trovare un attimo di calma tutto mio: è scivolato via come la pioggia sulla strada, non mi ha riportato ricordi lontani.
O forse c'erano, ma non sono stata capace di afferrarli.