«Cris, che piacere sentirti» dice una voce squillante.
«Come stai bro?» chiede Cris quasi sottovoce. Si porta una mano al petto per sentire il battito impazzito del suo cuore. Si morde il labbro.
«Io bene sister, e tu? A cosa devo la tua call, non mi chiami mai!» esclama la voce dall’altra parte.
«Mi stai rimproverando?» ridacchia Cris. Ancora sottovoce: «Giada è con te?»
«La vedrò più tardi, perché me lo chiedi?»
«No, così, per sapere», segue un lungo attimo di silenzio.
«Cris, ci sei?»
«Che urli, certo che ci sono!» risponde Cris con tono scocciato. Si passa la mano sul viso, le guance bruciano e il contatto con i polpastrelli gelati la fanno sobbalzare. «Possiamo vederci prima che tu vada da Giada, avrei bisogno di parlarti a quattr’occhi.»
«Va…d’accordo», risponde con voce titubante, «però, tra una cosa e l’altra, avrò soltanto una mezz’oretta.»
«Mezz’ora basta e avanza», dice Cris, «ci vediamo a casa mia ok?»
«Bella! Allora a più tardi.»
Senza dire altro Cris chiude la chiamata. Con la mano si tocca la fronte, bollente come se avesse la febbre, le tremano le gambe. Ha una gran confusione in testa. Nel caos, una certezza: la volontà di portare a termine l’intenzione.
Cris si guarda allo specchio del bagno. L’immagine riflessa le pare estranea. Chiude gli occhi, fa un respiro profondo gonfiando il petto. Riapre gli occhi e finalmente lo specchio restituisce l’immagine di lei, sicura, fiera, pronta. Quella che vuole essere. Il trucco è perfetto, ombretto, mascara, cerone e lucidalabbra. Con le mani si tasta il seno. Le mani scivolano lungo i fianchi. Si congratula con se stessa.
Il suono del citofono la spaventa. Si chiude l’accappatoio e corre verso l’ingresso per aprire il portone.
«Ciao Cris!» esclama il ragazzo sulla porta. La guarda in accappatoio: «Forse sono arrivato troppo presto?»
«No, no, avevo voglia di una doccia e…» risponde Cris sfuggendo allo sguardo del giovane.
«Ti sei dimenticata di toglierti il trucco però!»
«In realtà…vabbè accomodati bro, non stare sulla porta. Siediti sul divano. Qualcosa da bere? Un caffè, una coca?»
«Sì dai, un caffè lo prendo volentieri.»
«Giada ti aspetta immagino…ti raggiungo subito.»
Mentre prepara il caffè, Cris si domanda per l’ultima volta se stia facendo una cazzata o meno. Per un attimo, l’idea di ritornare indietro sembra avere la meglio. Si maledice per aver fatto quella telefonata. Si immagina alle pendici di burrone. Si lascia cadere. Il vuoto non finisce mai. L’impatto con il terreno non le lascerà scampo. Sorride al pensiero che presto tutto sarà finito, tormenti, domande senza risposta, sogni inspiegabili.
«Cris, ci sei?» dice una voce lontana, «sei andata in Brasile a fare il caffè?»
Cris ritorna alla realtà: ormai è in partita e bisogna giocare.
«Amaro, giusto?»
«Ricordi bene, sister. Perché continui a chiedermi di Giada?»
Cris si morde il labbro, in bocca il sapore ciliegia del lucidalabbra. Sorride e non risponde. Con un rapido movimento slaccia la cintura dell’accappatoio.
«Cris, io…io» balbetta Michele che d’istinto si appiattisce allo schienale del divano con la tazzina in mano. Muovendosi il caffè bollente gli macchia i pantaloni. Sul suo viso una smorfia di dolore.
«Non ti preoccupare,» dice Cris con voce suadente, «ci penso io. Giada non si arrabbierà se dovessi arrivare un poco in ritardo…»
Cris è rannicchiata sul divano. Sorride ed è felice. Michele, nella fretta, ha dimenticato la cintura dei pantaloni. Chissà Giada che cosa penserà. Alla fine a Cris poco importa perché ora si sente donna. Pensa all’indomani, alla seduta dalla psico. È tentata di mandarla affanculo definitivamente. Ora non ha più bisogno di lei.
Prende l’I-phone. Se lo passa da una mano all’altra. Sorride. È orgogliosa di se stessa e di quello che non è più. Apre la chat whatsapp delle ragazze della terza A geometri.
Scrive stappata. Sorride. E invia.