Ho sempre amato gli uccelli migratori, più di ogni altra specie.
Per esempio, la Pittima minore, che migra dall'Alaska fino alla Tasmania senza mai fermarsi per nutrirsi. Oppure le Oche selvatiche, che volano in formazione a V, e la Sterna artica, che viaggia dall'Artico all'Antartico e ritorno. Anche lo Svasso collorosso, che migra di notte per evitare i predatori. E infine la Pernice bianca, che migra solo dalle montagne a zone più tiepide a valle, ma quando lo fa cambia piumaggio per mimetizzarsi con l'ambiente.
L'evoluzione ha donato a questi uccelli caratteristiche uniche per affrontare lunghi viaggi attraverso le terre e i mari, ma quello che amo di più è la loro libertà.
Comunque, per non sembrare troppo di parte, voglio parlare anche del Kakapo. Incapace di volare, vive solo su tre isole, in poche centinaia di esemplari, ed è a grave rischio di estinzione. Mi impegno costantemente a creare nuovi habitat adatti alla sua proliferazione e, grazie allo sforzo congiunto mio e di alcuni umani, la sua popolazione sta aumentando.
È vero, gli uomini distruggono molte delle cose che creo e la loro sete di espansione sembra inesauribile, ma non voglio parlare di questo.
Voglio celebrare la bellezza delle aree protette, istituite da uomini virtuosi, spesso volontari, che si dedicano alla conservazione della natura. Questi spazi, destinati alla protezione della biodiversità, permettono a flora e fauna di prosperare senza essere disturbate dall'attività umana intensiva. Le riserve naturali offrono rifugio a specie a rischio come il Kakapo e forniscono un ambiente sicuro per gli uccelli migratori durante i loro lunghi viaggi. Per questo mi piace osservarle da vicino.
L’esemplare di Fratino che sto guardando è piccolo, ha le zampe sottili e grigio scure che si muovono con grazia sulla sabbia umida. Il piumaggio mimetico sfuma dal grigio-marrone chiaro della schiena al bianco candido del ventre, mentre il becco nero e affilato cattura abilmente piccoli insetti nella brezza mattutina. Gli occhi scuri brillano di attenzione mentre le ali si agitano leggermente. Sono giorni che la osservo preparare il nido. Ha deciso, deporrà il suo primo uovo in questa piccola riserva naturale.
È la foce di un fiume, una zona acquitrinosa dominata da una torre esagonale che sembra più un casale. Dovrebbe essere al sicuro, ma una vibrazione fa spaventare il Fratino. Questo odore è inconfondibile, un profumo muschiato che si mescola al salmastro dell'oceano. È il profumo della vita stessa, dell'umanità che si avvicina.
L’anziana donna ha i capelli grigi che cadono come cascate lungo le spalle nude e riflettono la luce del sole con un bagliore argentato. La pelle, abbronzata e rugosa, evoca la forza e la saggezza degli alberi secolari. I seni con grandi areole brune, anche se non più floridi, si adagiano sul ventre; e poi la vulva, sormontata da peli argentei. Ogni colore, odore e suono di lei mi rapiscono. La sua presenza sulla spiaggia è come un ritorno alle radici primordiali, una manifestazione vivente della potenza e della vitalità che mi pervadono; gli antichi la definirebbero una dea madre.
«Ah, sono tornati i fratini.» dice, mentre accelera il passo. Un uomo, vestito, la sta inseguendo.
«Onorì, mò se ne va! Devi metterti qualcosa addosso. Hai sconfinato di nuovo.»
«Ma dai, Olì. Si sta così bene qui. Piuttosto guarda, sono tornati i Fratini. Chissà da dove viene. Facciamo piano, non vorrei spaventarla. Sai, prima ho visto un Cavaliere d’Italia. Mamma se era bello, ero a prendere il sole quando è volato proprio sopra di me...»
«Lo so che so tornati. Ora, Onorina, metti un coprisole, spaventi i bambini.»
La risata della donna mi ha raggiunto nel profondo.
«Olivo. Lo so che è Sina che spavento. La vedo, sta lì sulla porta di casa. Piuttosto, come vanno i reumatismi? Dille, se le occorre posso farle ancora l’impacco con artiglio del diavolo e arnica, l’altra volta ha funzionato.»
Mentre si sistema un telo sul corpo, il suo odore si affievolisce subito. È come se quel pezzo di stoffa ne avesse annullato la potenza divina: l’ha trasformata in una donna qualunque. Il Fratino, intanto, ha iniziato a tremare tutta e si è accovacciata sempre di più per mimetizzarsi con il paesaggio. La sola idea di lasciare l’uovo in balia dei predatori la paralizza.
La donna la vede e spinge lontano l’uomo continuando a parlare. Vorrei seguirli, ma non posso ignorare un piccolo essere dai colori vivaci che si avvicina rapido dal mare. Le sue ali blu e il petto arancione brillano sotto il sole mentre vola verso gli stagni, cullato dalla brezza che accarezza la costa.
Il Martin pescatore si tuffa con eleganza nelle acque placide degli stagni, gli occhi affilati in cerca di movimento. Con un tuffo rapido, afferra un pesce scintillante con il becco affilato. Da sempre un simbolo di prosperità. Non è tempo per lui di nidificare, ma vederne uno è segno di buon auspicio.
«Zozza! Vatte viè!»
Il Martin pescatore spaventato spicca il volo e riprende il mare.
«Schifosa. Disonorina.»
Una risata accompagna i passi di Onorina, ingobbita e goffa, con i capelli che le ricadono lungo il viso e un senso di vergogna che le adombra gli occhi mentre attraversa la zona degli stagni per raggiungere la spiaggia. Solo quando arriva, lontana dalla casa da cui provengono risate di scherno, l’anziana si libera del tessuto che la costringe. Allora riaffiora la sua potenza. Diventa immensa, capace di abbracciare l’intera riserva naturale se solo ne avesse le capacità. Respira l’aria salmastra, scuote i capelli e, nel momento in cui si adagia sulla sabbia, una coppia di Cavalieri d’Italia spicca il volo. Ride: è in pace e libera.
Come un uccello, vola alto, lo sento. Non conosco la sua storia, ma percepisco che vola oltre tutte le reprimende, oltre il giudizio, perché quel luogo protegge anche lei. La riserva naturale le permette, come un esemplare da preservare, di essere libera.
Onorina si è appisolata e ne percepisco il dolce respiro. Poco più in là, tra la sterpaglia, il ciuffo verde metallico iridescente di una Pavoncella mi attira. Si sente al sicuro mentre continua a cercare cibo, avvicinandosi all’anziana addormentata.
Un movimento rapido e la Pavoncella torna rapidamente al suo rifugio, come se avesse udito anche lei quei passi furtivi.
L'uomo, con il cappello in mano e visibilmente imbarazzato, si avvicina. Anche Onorina sembra percepirlo e si sveglia.
«Olì, tutto bene?»
Lui le porge un bicchiere pieno di vino e gazzosa.
«Questo te lo manda Sina. Lo sai com’è fatta. È rigida e pudica ma ti vuole bene.»
«Lo so, ma che ci posso fare? Io il costume non riesco a portarlo, mi irrita. Mi dà noia. Preferisco stare così.»
«Sì, ma non devi sconfinare. Rimani dentro la riserva, ché qui non disturbi nessuno. Attenta solo alle guardie.»
«E gli amici vostri, gli Olandesi, lo sanno delle guardie? Sina con la moglie non si indigna. Fa l’amica. Com’è? Non è schifosa lei. È perché è giovane? È quello!»
«Ma no! Ci siamo affezionati a loro dopo avergli ritrovato i bambini che si erano persi e mò Sina se li è presi a cuore. E poi quando vengono a trovarci, quelli, si vestono. Tu invece fai come ti pare e quella si incazza. Dice che poi la gente a messa parla.»
«Ma che parlino, chi se ne frega, a messa ci vado vestita pure io, sa?»
«Onorì, ma perché non migri?»
«In che senso? Mi state cacciando? Oh! io sò nata qua e qua morirò. Nu mi fa ‘ncazzà.»
«Ma no. C’hai capito. Ci saranno altri come te, qui siamo quattro gatti. Ma su in riviera sicuro ci sono posti in cui puoi stare senza costume.»
«E tu che ne sai?» Onorina si è portata le gambe al petto sospettosa.
«Gli Olandesi. Hanno detto che lì ci stanno spiagge riconosciute. Migra, Onorì, devi migrare come gli uccelli che ti piacciono tanto.»
L’uomo si allontana e lei rimane sola, con le gambe cinte dalle braccia, si è fatta piccola. Non conosco i suoi pensieri, ma percepisco un'inquietudine insinuarsi in lei. La forza divina sembra essersi spaventata, timorosa di lasciare la piccola riserva in cui si sente potente. Devo darle un segnale, non posso sentirla così abbattuta: scuoto appena la terra, e il resto lo fanno gli uccelli. Uno stormo si solleva dagli stagni e vola verso nord.
Gli si gonfiano gli occhi di lacrime, ma il suo volto è sereno. Ha recepito il messaggio.
Purtroppo, quando è una donna qualunque non riesco a distinguerla dalle altre; ma quando si toglie i vestiti sento subito la connessione.
«Oh mamma! Ma che succede qui?»
«Signò, hanno deciso di fare il concerto di un cantante famoso qua, sulla spiaggia nostra.»
«Ma è una zona protetta, per la salvaguardia del Fratino, ne nidificano a migliaia qui. Ero in viaggio per il nord e mi sono fermata proprio per questo, è un disastro.»
Per la prima volta sento la rabbia montargli dentro. È vero che le ruspe hanno spianato la spiaggia, ma i Fratini non sono ancora arrivati. Non si fermeranno qui, lo faranno poco più giù o poco più su. È triste vedere la spiaggia ridotta così, ma è solo questione di tempo prima che mi riprenda ciò che è mio. Gli uomini possono cambiare il paesaggio a loro piacimento, ma alla fine la forza rigogliosa della natura riconquisterà tutto.
«I fratini sono sempre tornati.» dice l’uomo nudo al suo fianco «Come noi. Ci caccino, ci facciano la multa ma noi torniamo perché qui è bello... Che facciano pure il loro concerto, noi sappiamo aspettare.»
Onorina non è per niente convinta, è inquieta, si riveste in fretta e torna qualunque.
Sono nella quiete di una salina, che guardo i fenicotteri nutrirsi di gamberetti che conferiranno al loro piumaggio il tipico colore rosa, quando finalmente la percepisco di nuovo, non molto distante, e avverto la sua felicità. La sua essenza si mescola armoniosamente a quella di altri corpi.
Sono seduti su teli colorati uomini e donne di ogni età, i loro corpi diversi sono liberi e rilassati, e questa libertà mi inebria. Onorina ha trovato uno stormo.
«E a te cosa ti porta da queste parti?»
«Io sto migrando.» dice fiera.
«Come un uccello?» Il ragazzo al suo fianco è calmo e sereno.
«Proprio così. Ho lasciato il mio nido sicuro alla ricerca di qualcuno come me. Ho viaggiato con il treno e lungo la costa ho visto cosa stanno facendo alle spiagge. Uno schifo! A me piacciono gli uccelli, e vedere interi areali di nidificazione presi d’assalto mi ha messo paura. Ero certa che non sarei riuscita a trovare nessuno, ma il biglietto ce l’avevo già e meno male che non ho rinunciato. È uno spettacolo!»
«Si, stiamo bene. Altro che spiagge affollate. Tranquilli, a contatto con la natura non facciamo male a nessuno. Qui non fanno le multe, non aver paura.»
«Io non ho mai paura quando sono nuda.»
Il corpo le pulsa di orgoglio e appartenenza. Convince i nuovi amici a visitare la riserva naturale del delta del grande fiume e là, tra le zone palustri, li perdo in un suono di risate.
La stagione calda sta per finire e ogni uccello migratore si prepara a tornare da dove è venuto. C’è fermento nei nidi, ma la voglia di librarsi in volo è tanta.
Onorina è tornata a casa. Ho sentito la sua pelle scossa dai brividi, e temo che sia l’ultima volta che si spoglierà per quest’anno. Percepisco qualcosa di diverso: è meno selvaggia, ma più consapevole; quella migrazione l’ha arricchita di una complessità che la rende più difficile da decifrare ma anche stranamente più potente e connessa a quella riserva.
«Scostumata!» si sente urlare.
Onorina si irrigidisce per un attimo e si copre giusto il seno e la vulva. Poi una risata cristallina.
«Sina, che te possino. Mi hai spaventata.»
Sina ha un costume intero e un pareo.
«Chi pensavi che ero, la guardia?»
Non c’è astio nella sua voce e Onorina lo capisce.
«Ti sei venuta a fa l’ultimo bagno? È fredda l’acqua, con i reumatismi che c’hai non ti conviene.»
«Ma che bagno e bagno. Sono venuta per te. Olivo mi ha detto che sei tornata. Ti volevo vedere.» Sina stende il pareo e ci si siede sopra a fatica. «Mi sei mancata.»
Le due si avvicinano e rimangono a guardare il mare.
«Allora, hai trovato altri scostumati come te?»
«Sì. Naturisti.» Gonfia il petto di orgoglio: «Il prossimo anno, Marcello e Anna da Torino scenderanno verso la Puglia e passeranno a prendermi. O almeno, così hanno detto, poi non so.»
«Oh, e che è sà faccia! Se t’hanno detto che passano, passano. Mò fai tanto la timorosa. Sei sempre stata libera e mò ti vergogni per esserti fatta amici come te. Io mica mi offendo, che qui di zozzoni non ne voglio.»
«Solo gli Olandesi.» scoppia a ridere.
«Brava. Io qui ci voglio solo gli Olandesi.» E anche Sina ride.
Onorina toglie il tessuto dal corpo, si stende all’ultimo sole, stringe con le mani la sabbia e, quando vede il Cavaliere d’Italia sorvolare la zona, si sente libera.
«Io non ho mai paura quando sono nuda.»