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Il ribelle annoiato

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Messaggio Da Achillu Mar Ott 08, 2024 11:49 pm

Voglio festeggiare i dieci anni del mio primo racconto (ebbene sì, il primo racconto completo l'ho scritto nell'ottobre 2014) aggiungendo i paletti del quarto step di Pachamama. Il vento c'era già dieci anni fa, ho provato ad aggiungere la madre (e mi sono perso il vento... mi dispiace, scusatemi).
Stamattina non ho voglia d’andare in ufficio, tanto è sufficiente garantire la reperibilità. Accendo le mappe, giusto per passare il tempo: il cane che ho adottato è al parco animali, così lo faccio seguire dalle webcam. Le mappe mi chiedono se desidero adottare un altro animale, rispondo: “No, grazie.” Poi se desidero scoprire come sono stati spesi i soldi della mia donazione, rispondo: “No, grazie.” Infine se desidero dare un nome al cane che ho adottato, rispondo: “Non adesso.” Spengo le webcam. Le mappe mi chiedono se desidero rivedere il filmato più tardi, rispondo: “No, grazie.”
Esco. Qui girare in scooter è già qualcosa di ribelle, ma voglio mettere in difficoltà il predittore dei miei spostamenti. Il navigatore non si può spegnere, ed è già impostato sul percorso più probabile verso la mia destinazione più probabile. Così l’ho personalizzato: al posto di “svolta a destra”, “rallenta” e tutte le altre frasi ho sostituito dei sample musicali. L’effetto è quello d’una base rap di quelle antiche; il mio sample preferito ovviamente l’ho messo al posto di “ricalcolo”. Faccio partire un giro di basso e percussioni e via! Anche oggi posso creare la colonna sonora della mia mattina.
Mi piace passare vicino ai posti di blocco dell’esercito; non mi fermano mai, probabilmente non fermano mai nessuno, stanno lì a chiacchierare tra loro. Il loro compito è quello di presidiare le strade d’accesso ai quartieri abbandonati. Le vie principali sono governate dalla torre di controllo e non mi lasciano accelerare o sorpassare, per cui mi butto nei vicoli più spesso che posso, al ritmo del mio rap improvvisato. Sto seguendo una specie di presentimento che mi spinge fin sulle colline.
Tiro fuori la felpa dal bagagliaio, ormai sono fuori dall’area climatizzata e si comincia a sentire il vento; è freddo, dev’essere inverno là fuori. Sono investito da qualche nuvola di polvere e ormai capisco d’essere vicino; nemmeno lo scooter può andare oltre e proseguo a piedi. Oltre le colline il vento soffia da oltre un secolo e a vista d’occhio è tutto un deserto grigio; m’appiattisco più che posso per non respirare la polvere e cerco d’osservare al di là del valico. Qualcosa si muove: sembra l’ennesimo tentativo di far funzionare un veicolo oltre le colline; questa volta sembra un veicolo leggero, per sfruttare al meglio la poca forza motrice che riusciamo a portare fuori dall’area coperta dalle nostre centrali, ma non resiste alle raffiche di vento. Mi sembra di percepire lo sconforto degli ingegneri, o forse ciò che sento è solo il mio sconforto!
Torno allo scooter, c’è un avviso importante: è stata richiesta la mia reperibilità. Secondo il navigatore non posso arrivare in tempo, ma il navigatore non mi farebbe mai attraversare i quartieri abbandonati; non ci sono controlli per chi scende dalle colline e così mi lancio a tutta velocità attraverso un viale completamente deserto. Quasi: c’è un vagabondo, non segnalato sulle mappe. Guardo bene: effettivamente c’è solo il mio puntino. Ho fretta di recarmi in sede, altrimenti mi fermerei perché son curioso di sapere in quale catena d’eventi straordinari è stato coinvolto questo vagabondo, per riuscire a rimaner fuori dalle mappe. Mi giro un’ultima volta per indovinare come e dove ritrovarlo, forse di nuovo intorno al market dov’è adesso. Anche lui s’è girato a guardarmi, ha un’espressione strana che sembra quasi una smorfia, ma ormai è troppo lontano per riuscire a metterla a fuoco.
Al termine del viale c’è il posto di blocco; non lo evito, anzi lancio un poke a tutti nel raggio di cento metri in modo che sappiano che sto arrivando dai quartieri abbandonati; m’avvicino lentamente e faccio il saluto militare. Non mi fermano nemmeno questa volta; mi seguono con lo sguardo e ricominciano a chiacchierare tra loro.
Arrivo in ritardo di cinque minuti. Il capufficio mi vede e mi saluta, chiama alcuni miei colleghi e dice che, ora che ci sono anch’io, si può iniziare la riunione; nessuno ha fatto caso al mio ritardo.
Penso e ripenso al vagabondo, così dopo il lavoro torno nei quartieri abbandonati. Le mappe capiscono che sono a piedi, per cui le vetrine dei negozi s’illuminano, accompagnando la mia passeggiata. È già tutto pronto per quando, in futuro, le nuove generazioni occuperanno questi spazi. Mi sono sempre chiesto come mai le vetrine siano perfettamente allestite. Non credo che lo facciano per i vagabondi, non ne vedo il motivo; qui il tempo s’è fermato a più d’un secolo fa.

Da quando il vento ha iniziato a soffiare siamo rimasti isolati; intorno a noi a vista d’occhio è stato tutto raso al suolo da questa tempesta infinita. La nostra città s’è trovata in una situazione privilegiata rispetto agli insediamenti vicini: costruita in una depressione, fornita di centrali d’energia rinnovabile, sede d’un cloud dov’erano replicate tutte le conoscenze fondamentali, con tutti gli stabilimenti per il riciclo dei rifiuti, ricca d’acqua potabile. Le colline ci hanno protetto, ma le comunicazioni con il resto del mondo si sono interrotte, perciò ancora non sappiamo quale fu l’origine di questo fenomeno, né quale ne sia la portata. Noi non riusciamo ad uscire: la tecnologia in nostro possesso non permette di portare una forza motrice sufficiente al di fuori della nostra città e resistere al vento; nessuno oltre l’orizzonte ci ha ancora trovato, o cercato.
La polvere invadeva le nostre strade, gran parte della gente s’ammalò di malattie ai polmoni che non si sapevano curare. Perfezionando la climatizzazione, si riuscì a tenere la polvere fuori dal centro abitato, ma nel frattempo il bilancio fu tragico: la popolazione fu quasi dimezzata, ogni famiglia ebbe almeno una persona da piangere. L’amministrazione comunale decise allora di concentrare la popolazione sopravvissuta, svuotando alcuni quartieri per tenerli a disposizione delle generazioni future; diverse furono le contestazioni, alla fine fu necessario raggiungere un compromesso.
Li chiamiamo quartieri abbandonati, ma in realtà sono mantenuti con regolarità e ogni fabbricato è agibile all’istante; sono abitati da qualche migliaio di vagabondi: alcuni sono discendenti di coloro che non si vollero spostare, altri si sono insediati volontariamente pur essendo nati nei quartieri abitati. Grazie alla tecnologia dei social e alle webcam, ogni abitante della città è segnato sulle mappe, vagabondi compresi; ma per non essere un puntino in movimento non devi mai aver avuto contatti con una webcam accesa, e questo è praticamente impossibile.

Sono ormai vicino al market dove ho incrociato il vagabondo stamattina. La vetrina s’illumina, è un negozio di alimentari: si tratta di cibo a conservazione perpetua. Dentro c’è un autotreno, probabilmente è il residuo di qualche sommossa; sembra incredibile, eppure i servizi di manutenzione automatica l’hanno considerato parte dell’arredamento e non l’hanno rimosso, anzi lo tengono pulito e in ordine.
Ciò che mi colpisce di più nei quartieri abbandonati è il silenzio. A molte persone questo silenzio fa paura; io ho una mia idea: credo che questo silenzio ti obblighi ad avere dei pensieri tuoi e creare qualcosa di nuovo. Siamo talmente abituati a copiare i pensieri di altri, a condividere le frasi di scrittori famosi del passato, che non siamo più in grado di generare dei pensieri nostri. A me questo silenzio piace; non al punto che diventerei un vagabondo per starmene immerso per sempre, ma mi piace. Amo avere pensieri miei; li ho tutto il giorno, e credo proprio che siano miei.
Ora per esempio sono qui che contemplo un market, in attesa di scorgere un vagabondo che non è sulle mappe; immerso in questo silenzio entro in contatto con qualcosa di profondo che fatico a esprimere. È proprio in questo momento che, nella penombra che fino a poco fa mi sembrava uniforme, scorgo una figura dentro all’autotreno e distinguo chiaramente due occhi che mi stanno guardando, chissà da quanto tempo. Mi sembra d’intuire una smorfia, simile a quella che avevo visto stamattina, e questa volta capisco che si tratta d’un sorriso.
Quest’uomo è riuscito a non farsi trovare da nessuna webcam accesa per tutta la sua vita, o per lo meno da quando ha compiuto i tredici anni necessari per entrare nei social. La curiosità d’intervistarlo è forte, ma so che se m’avvicino l’esporrei al rischio d’essere trovato dalle mappe; in preda all’emozione ricambio il sorriso e faccio un cenno di saluto. Il vagabondo ricambia il saluto e indica una porta ad apertura manuale. M’invita a entrare; ha un’espressione serena, come se non avesse paura d’essere scoperto.
Oggi però non mi sento pronto per entrare. Ringrazio, sempre con un cenno, e garbatamente rifiuto. Il vagabondo fa spallucce però continua a sorridermi; mi saluta. Poi torna nell’ombra dell’autotreno e non lo vedo più. Resto lì a guardare il buio, finché m’accorgo che m’è arrivato un invito: “Un aperitivo al piazzale sud?” Rispondo che arrivo in tempo, tanto nessuno farà caso al mio ritardo.
***
Sono passati dieci anni da quando mio figlio ha lasciato questi appunti. Al piazzale sud non ci è mai arrivato, e da allora nessuno lo ha più visto. Il suo puntino è sparito dalle mappe sulla via principale dei quartieri abbandonati e nessuno ha mai voluto indagare seriamente in quella zona.
Pochi giorni fa, l'ufficiale dell’anagrafe lo ha dichiarato ufficialmente deceduto, riaprendo una ferita profonda che credevo, o speravo, di essermi lasciata alle spalle. Ho capito, improvvisamente, di non essermi mai rassegnata alla sua scomparsa. Una parte di me, quasi inconscia, spera ancora di ritrovarlo vivo, mentre la ragione si accontenterebbe persino di un corpo gelido da poter riabbracciare.
Quante volte ho pregato i militari di lasciarmi passare attraverso i quartieri abbandonati? Non è vero che non fermano mai nessuno: fermavano sempre me. E quelle poche volte in cui sono riuscita a superare il posto di blocco, non ho mai osato andare oltre la zona in cui il suo puntino era scomparso. Lì lo cercavo. Cercavo lui o almeno un perché, ma non ho mai trovato né l’uno né l’altro.
Stasera, però, ho deciso di andare oltre. Sono arrivata al market con l’autotreno, e mi chiedo perché non ci abbia mai pensato prima, nemmeno una volta in dieci anni. Se solo ci avessi provato, magari avrei trovato la mia risposta. O forse, semplicemente, non ero mai stata pronta. E forse non lo sono nemmeno adesso.
Nel buio scorgo un sorriso che indica una porta ad apertura manuale. Tremo mentre la maniglia cede sotto la pressione delle mie dita. In un attimo mi ritrovo dentro il market, senza nemmeno ricordare di aver attraversato l’ingresso.
«Vivo qui da un paio d'anni» mi dice la vagabonda. «Chi ci stava prima ha lasciato dei disegni. Vieni.»
Accarezzo i fogli con le lacrime agli occhi. Alcuni ritraggono un ragazzo su uno scooter. Voglio credere che sia lui.
La vagabonda ha appena quindici anni e mi chiede se anche la sua famiglia aspetterà dieci anni prima di cercarla qui. Non so cosa risponderle. Però mi lascia prendere i disegni.
Le propongo di venire con me. Lei sorride e mi mostra affettuosamente un terzo dito. Ha ragione. Potrei essere sua nonna.
Esco dal market con i disegni stretti al petto, come se stringessi mio figlio. Forse non è qui, forse non lo ritroverò mai, ma in questi fogli c'è qualcosa di lui, o almeno di quel che resta della sua memoria.
Mentre mi allontano, il silenzio dei quartieri abbandonati sembra un po’ meno opprimente. Non so se troverò mai la risposta che cerco, ma continuare a cercare oggi mi ha fatto sentire viva. Credo che un altro giro lo farò presto.
Faccio una svolta imprevista dentro un vicolo. Il navigatore inizia a suonare un vecchio pezzo rap. Sorrido.
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Messaggio Da Claudio Bezzi Ven Ott 11, 2024 10:21 am

In generale bello, e sono contento che non hai potuto pubblicarlo per il quarto step, sarebbe stato un concorrente temibile ( Il ribelle annoiato 1f601 ). Come sempre non ho riscontrato errori, ma che scrivi correttamente già lo sai. Poiché - come lo scorpione di Esopo - ho una mia natura, ecco un paio di osservazione, che non minano la buona considerazione già espressa per il tuo racconto ma - come dire - mi fanno fare il mio sporco lavoro.


La prima riguarda la spiegazione che metti circa a metà, nel paragrafo che inizia con "Da quando il vento ha iniziato a soffiare"; questo, per me, è un difetto che risponde (così io credo) a un'insicurezza sulla credibilità di storie fantasy, futuristiche etc. Come mai quella gente non può uscire dalla città? Cosa diavolo è questo vento? Allora l'Autore fa una digressione e spiega. Non ce n'è bisogno. La "spiegazione" deve emergere, ma solo per il minimo indispensabile, dalla narrazione medesima, lasciandola fluire nel suo percorso principale e infilando con sapienza e moderazione quei due o tre indizi che servono non già a spiegare TUTTO, che nessuno lo chiede, ma solo il minimo indispensabile per fornire plausibilità entro il tessuto narrativo proposto (quindi: non una plausibilità assoluta, ma funzionale alla narrazione).
La seconda cosa che ti vorrei indicare è il finale. Ho già fatto una prima lettura di tutti i racconti del quarto step, e una metà buona (ma sono generoso) cade nel finale "materno". Francamente il tuo non è male, certamente dignitoso e non perso in stereotipie sul dolore materno, assai difficilmente esprimibile. Credo che il tuo sia discreto ma, se riesci a leggerti con distacco, credo che noterai che un certo livello di tensione, che avevi benissimo creato col vagabondare del protagonista, si abbassa di numerose tacche - se così posso esprimermi - nel finale. Perché questo maledetto paletto impone all'Autore di cambiare completamente registro, narrazione, contesto e tutto quanto, e di farlo in modo assolutamente repentino. La fuga nei cliché (non è il tuo caso) può davvero essere dietro l'angolo.
Ciò detto, ripeto: sono molto contento che tu NON possa partecipare con questo racconto, perché è indubbiamente sopra la media (e di più non dico, è brutto vellicare l'autostima altrui)
lol!

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Messaggio Da Achillu Sab Ott 12, 2024 12:32 am

Ciao, Claudio.

Sono parzialmente d'accordo con te, però i complimenti me li prendo tutti 🤣 grazie.
Non sono d'accordo per esempio che il racconto sia sopra la media dello step. C'è inoltre un difetto grosso per me che è l'assenza di dialoghi. È vero che in un certo senso ho trovato un'alternativa con molti "non detti" che sono quasi dei dialoghi, però è stato un escamotage perché dieci anni fa ero convinto di non essere capace di scrivere dialoghi.
Mi trovo allineato con la tua analisi sulla questione dell'infodump centrale. In questi dieci anni di scrittura ho imparato che si tratta di un difetto narrativo e aggiungo che hai dato spiegazioni che vanno oltre ciò che avevo già intuito. Mi sono chiesto: che faccio? Taglio o lascio? Trattandosi di un post celebrativo ho optato per "lascio". Un po' come dire che la mia creatura non è perfetta ma la prendo e la accetto così com'è, anche con i suoi difetti. Ma, grosso ma, alla luce di tutto il tuo commento devo ammettere che ho ben chiari i punti in cui intervenire.
Probabilmente taglierò la madre o... Chissà? Perché no, proverò a integrarla meglio.

Grazie mille davvero.

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Messaggio Da Claudio Bezzi Sab Ott 12, 2024 9:48 am

Achillu ha scritto:Ciao, Claudio.

Sono parzialmente d'accordo con te, però i complimenti me li prendo tutti 🤣 grazie.
Non sono d'accordo per esempio che il racconto sia sopra la media dello step. C'è inoltre un difetto grosso per me che è l'assenza di dialoghi. È vero che in un certo senso ho trovato un'alternativa con molti "non detti" che sono quasi dei dialoghi, però è stato un escamotage perché dieci anni fa ero convinto di non essere capace di scrivere dialoghi.
Mi trovo allineato con la tua analisi sulla questione dell'infodump centrale. In questi dieci anni di scrittura ho imparato che si tratta di un difetto narrativo e aggiungo che hai dato spiegazioni che vanno oltre ciò che avevo già intuito. Mi sono chiesto: che faccio? Taglio o lascio? Trattandosi di un post celebrativo ho optato per "lascio". Un po' come dire che la mia creatura non è perfetta ma la prendo e la accetto così com'è, anche con i suoi difetti. Ma, grosso ma, alla luce di tutto il tuo commento devo ammettere che ho ben chiari i punti in cui intervenire.
Probabilmente taglierò la madre o... Chissà? Perché no, proverò a integrarla meglio.

Grazie mille davvero.
Essendo un racconto riciclato, celebrativo, direi: ma che ti importa, lascialo così. Semmai, poiché l'idea della città abbandonata e iper controllata è bella, se ne avessi voglia sviluppala non tanto in un nuovo racconto ma in un romanzo, stando ovviamente attento di non scivolare verso cliché fantascientifici già ampiamente utilizzati (specie nella parte del controllo sui cittadini; ormai l'ampia letteratura FS sui mondi distopici è stata superata dalle analisi sociologiche; qui devi trovare un bel coniglio nel cilindro). Ciò detto, allineandomi credo al tuo sentire, anch'io anni fa scrivevo in maniera assolutamente più ingenua. Alcune delle osservazioni che mi trovo a fare qui su DT potevano calzarmi a pennello un po' di tempo fa. Non vorrei sembrare uno che distribuisce complimenti per ingraziarsi il loggione (no, non credo di correre questo pericolo  Il ribelle annoiato 1f601 ), ma i pochi mesi che mi vedono membro di DT mi hanno fatto fare un salto (credo, spero) enorme; e non solo per le critiche ricevute, sempre preziose, ma per un meccanismo più interessante: il fatto stesso di essere oggetto di critiche mi impone un'attenzione maggiore a ciò che scrivo. Anni fa stavo su un gruppo simile ma più amicale, dove si scriveva di getto un racconto a settimana su temi strampalati e via, tutti, a mettere like e cuoricini. In quel periodo ho scritto una quantità di racconti ma oggi, rileggendoli, solo una decina mi sembrano decenti, e nessuno lo proporrei a DT senza una profonda revisione. Scrivere sapendo di essere letti e passati al vaglio, a volte minuziosamente, da amici lettori, mi impone di prestare maggiore attenzione a ciò che scrivo; di rileggere più volte; di (cercare di) calarmi nella mente del lettore per comprendere cosa può capire e cosa rimarrebbe oscuro per difetti narrativi, e così via. Anzi: direi che occorrerebbe fare una campagna entro DT, per evitare i commenti sempre e comunque positivi, sempre e comunque brevemente approvativi, perché quelli lusingano (ma poco poco) lì per lì, ma non ci fanno crescere. Se ci importa crescere, ovviamente. Buona fine settimana.

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Messaggio Da Achillu Sab Ott 12, 2024 4:06 pm

Grazie, direi che non ho altro da aggiungere ^_^

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Messaggio Da Gimbo Dom Ott 20, 2024 10:41 am

Il racconto è una riflessione profonda su una società tecnologicamente avanzata, ma isolata e alienata, in cui il protagonista cerca di sfuggire ai vincoli imposti dal controllo pervasivo della tecnologia e dalle abitudini quotidiane. L'ambientazione distopica e la narrazione fluida lo rendono coinvolgente, alternando momenti di riflessione a un senso di ribellione sottile, ma mai davvero concretizzata.
La prima parte è più leggera e ironica, giocando con l'automatizzazione della vita e il bisogno del protagonista di rompere con la routine. Nella seconda parte, invece, il tono diventa più oscuro e malinconico, affrontando la perdita e il mistero del vagabondo, con un passaggio significativo dal punto di vista della madre che chiude con una nota di speranza velata di tristezza.
Un punto di forza del racconto è il suo equilibrio tra il futuro ipertecnologico e il profondo senso di vuoto e isolamento umano. Le descrizioni sono efficaci e riescono a evocare immagini vivide di un mondo in decadenza, ma ancora governato da regole invisibili. La conclusione, con il viaggio della madre nei quartieri abbandonati e il suo incontro con la vagabonda, è commovente e porta a una riflessione più ampia sulla ricerca di connessione umana in un mondo che sembra averne persa la capacità.
Tuttavia, la trama risulta troppo lenta o dispersiva, e il cambio di prospettiva verso la fine sembra un po' brusco. Anche se questa scelta narrativa aggiunge profondità, distoglie l'attenzione dal filo conduttore principale.
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Messaggio Da Achillu Oggi alle 3:53 pm

Ciao, Gimbo.

Grazie mille per aver aggiunto un altro punto di vista sul mio racconto, che stupisce perfino me stesso perché lo sto guardando anch'io sotto un'altra prospettiva.

Alla prossima!

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