- Spoiler:
- Il personaggio di Linda è sparito, decisione presa dopo la pubblicazione qui su DT del primo episodio; quindi ho dovuto cambiare il titolo al terzo episodio.
Da notare che: il primo episodio è completamente nuovo, il secondo episodio è stato pesantemente riscritto, il terzo episodio è stato eliminato e sostituito. Il risultato è che ho praticamente scritto un racconto completamente nuovo con gli stessi personaggi.
«Allora, ti sei divertita?»
«Sì.»
«E i ragazzi com'erano?»
Sbuffai. «Noiosi!»
Si mise a ridere. «Erano belli, almeno?»
«Due si salvavano, ma gli altri tutti cessi.»
«Un disastro, insomma.»
«Già.»
«Quelli carini com'erano?»
«Uno biondo e uno moro. Niente di particolare. Ci son morte dietro le mie compagne.»
«Ah, e tu?»
Ero in cucina, spaventata a morte, ma non mi andava proprio di parlarne. «Ballavo.»
«Con i cessi.»
Mi misi a ridere. «Già.»
Speravo a quel punto di aver esaurito l’argomento e di non sentirne più parlare; invece al martedì mi beccò Cate all’ingresso di scuola.
«Mi ha detto la Giusy che vuol chiederti scusa ma che l’hai bloccata.»
Un tuffo al cuore appena la nominò. Chiusi gli occhi, poi li riaprii lentamente. «Ma ti ha detto cos’è successo?»
«No, non me l’ha voluto dire.»
Sospirai. «Ecco, è meglio se non lo sai.»
«Ma è così tosto?»
«Lascia stare, non metterti in mezzo, per favore.»
«Ormai ci sto; mi ha detto anche che sarebbe disposta a farsi sputtanare a vita pur di scusarsi con te. Adesso decidi tu, a me sembra davvero dispiaciuta.»
Dispiaciuta? Se si sputtanava lei avrebbe sputtanato anche me. Altro che scuse, a me sembrò un ricatto bello e buono. Passai una mattina di merda a scuola col pensiero fisso di quella là che andava in giro a raccontare i fatti miei.
La prima cosa che feci a casa, acceso il cellulare, fu di sbloccarla e mandarle un SMS: “Non pensare neanche a sputtanarmi, capito? Se solo ci provi pianto su un casino che metà basta e dovrai cambiare città per la vergogna!”
Dopo neanche due minuti mi chiamò. Rifiutai e la bloccai di nuovo.
Nel tardo pomeriggio mi arrivò uno squillino da Cate. Di sicuro aveva finito il credito, così accesi il computer e andai su MySpace a vedere se mi avesse mandato un messaggio. Infatti. Mi invitava a guardare un video su YouTube.
C’era la faccia di Giusy. Mi salì l’acidità e mi sentii avvampare in viso. “L’ha fatto davvero!” pensai. “Adesso la rovino!”
Ascoltai, aspettandomi il peggio.
La voce di Giusy tremava: «Ho fatto una cosa molto brutta. Ho fatto del male a una persona a cui tengo davvero. Giuro che non era mia intenzione, in quel momento non mi sono resa conto di ciò che stavo… dicendo.» “Sì, sì; sentiamo.” Scossi la testa con sufficienza.
«Io voglio chiederti scusa, dal profondo del mio cuore. Scusa, scusa, scusa. Credimi. Io… non sono razzista.» “In che senso?” Mi fissai sui suoi grandi occhi azzurri; anche se registrati erano comunque ipnotici.
«Ti giuro; quello che ho detto, davvero non ho realizzato subito. Non pensavo che potesse fare così male. Mi dispiace che non ho capito la tua reazione. Se solo avessi immaginato non l’avrei mai detto. Ti prego, perdonami. Giuro: non sono razzista. Adesso ho capito di aver sbagliato. Scusa, scusa, scusa; dal profondo del mio cuore.»
La mano di Giusy si avvicinò allo schermo e il video terminò.
Non mi aveva sputtanato. Anzi aveva fatto una gran figura di merda pur di chiedermi scusa. Tutta la rabbia che avevo covato si sciolse, facendomi sgorgare lacrime in abbondanza.
Appena mi calmai un po’, sbloccai Giusy e le feci uno squillino.
Mi richiamò quasi subito. Al mio «Pronto?»
Rispose con la voce rotta: «Scusa.»
Mi si riannodò la gola e non riuscii più a parlare.
«Mi dispiace per il video, io non sapevo più come fare per …»
«Ma scherzi? Hai fatto una cosa bellissima.» dissi, tirando su col naso.
«Davvero?»
«Sì. Però non hai idea di quanto ti ho odiata! È da domenica che non faccio altro che pensare e ripensare a… ma ti rendi conto di quello che mi hai fatto? Di come mi sono sentita? Cioè, sono due giorni che sto di merda per colpa tua!» Che sensazione di sollievo dopo averglielo detto.
Si mise a singhiozzare. «Perdonami. Ti prego, lo so, ho fatto una cosa molto brutta! Ti giuro, se potessi tornare indietro non la rifarei più.»
«Dimmi almeno perché, cosa ti è passato per la testa in quel momento?»
«Non lo so. So solo che ho perso la testa e che mi piaci.»
«Cosa?»
«Mi piaci!»
«No, guarda che ti sbagli.»
«Invece mi piaci, dal primo momento che ti ho vista. Non riuscivo a staccare gli occhi da te. Ti ho filata per tutto il pomeriggio e sono stata benissimo a chiacchierare, a ballare, anche solo a guardarti. Pensavo che anche tu fossi stata bene alla festa con me e…»
«No, senti. Ero spaventata a morte. E vorrei non pensarci più.»
«Perdonami. Ho rovinato tutto!»
«Già.» Sospirai. «Però oggi hai fatto una cosa bellissima. Ti sei sputtanata senza mettermi in mezzo e… ho apprezzato.»
«Davvero?»
«Sì. Avevo pensato le peggio cose, tipo che tiravi fuori quello che era successo e che avresti sputtanato anche me; invece sei stata molto dolce.»
«Oh, no; non l’avrei mai fatto! Grazie, grazie, grazie.»
«Prego.»
«Allora pace?»
«Pace!»
Silenzio.
Fu rotto da lei: «Allora possiamo sentirci ancora?»
«Sì, ok.» Se si trattava solo di sentirci mi andava bene; vedersi no, non me la sarei sentita. Poi ci salutammo.
“Sono stata bene con te.”
“Non riuscivo a staccare gli occhi.”
“Ho rovinato tutto.”
Era il riassunto perfetto della festa.
“Pensavo che anche tu fossi stata bene con me.”
Sì. Adesso che mi ero tolta un peso dal cuore riuscivo a ripensarci in modo più sereno. Ero stata bene e per dirla tutta nemmeno io ero riuscita a distogliere lo sguardo dai suoi occhi ipnotici; almeno finché lei non aveva rovinato tutto.
“Mi piaci.”
Me l’aveva detto davvero. Cavolo, si era proprio dichiarata.
“No, guarda che ti sbagli.”
Lei ragazza, io ragazza: impossibile.
“In Nigeria non ci sono omosessuali.”
Appunto.
“Ma qui siamo in Italia, papà!”
Già; quante volte l’avevo detto. Buffo che mi fosse venuto in mente proprio in quel momento. Pensai che fosse un ammonimento del Signore, un promemoria divino da non sottovalutare. Dunque non avrei dovuto giudicare Giusy per la sua debolezza; anzi, forse toccava proprio a me aiutarla a ritrovare la strada giusta. Così dissi una preghiera per lei e una anche per me.
Il giorno dopo mi resi conto di essere diventata popolare. Giusy non mi aveva nominata, ma tutti avevano capito che si rivolgeva a me nel video perché ero stata l’unica ragazza nera alla sua festa.
«Allora, cosa pensi di fare?» fu la domanda più comune.
E hai voglia di spiegare che c’eravamo chiarite: non mi lasciarono in pace.
A casa scoprii che il video aveva più di mille visualizzazioni. Feci un po’ di conti: lo Scientifico più i Geometri come minimo! Ma la gente non poteva farsi i fatti suoi?
Feci uno squillino a Giusy; mi richiamò quasi subito.
Dopo i saluti le dissi: «Dobbiamo fare un video.»
«Come?»
«Una video risposta, dove facciamo vedere che ci siamo chiarite. Giusto perché non mi va di fare la figura di quella cattiva che non perdona mai.»
«Wow…»
«Non dirmi di no. Direi che me lo devi.»
«Sì! Sì, lo facciamo! Ma qui da me?»
«Certo. Io mica ce l’ho la webcam.»
«Perfetto. Va bene domani pomeriggio?»
«Ok. Ma mi devi promettere una cosa.»
«Dimmi.»
«Non fare come alla festa, per favore.»
«Sì, promesso! Aspetterò che sia pronta anche tu.»
Mi misi a ridere. «Cosa? Guarda che io non sono… come pensi.»
«Sei sicura?»
Che domanda! «Certo. Cosa te lo fa credere?»
«Per esempio ogni volta che un ragazzo si avvicina tu ti alzi e te ne vai.»
«Ma non è mica…» vero? Mi tornò in mente Cate: “Li stai ignorando.” “Resterai la Nerdy per sempre.”
«Non è mica cosa?»
Risposi a voce bassa. «Niente. Non è sempre vero.»
Ci mettemmo d’accordo sull’orario e poi ci salutammo.
“Sei sicura?”
Certo, pensai. Solo che i maschi alla festa erano noiosi e cessi.
Che domanda!
Giovedì pomeriggio attraversai il vialetto di una villa a Città Giardino e mi trovai di nuovo a fissare gli occhi blu di Giusy. Ci salutammo e poi il silenzio; nessuna di noi due prese l’iniziativa per scambiarci i bacini di rito e ci venne da ridere.
«Vieni, andiamo di sopra.»
Mi accompagnò nella sua cameretta, che poi era il doppio della mia. I mobili erano tutti abbinati, in celeste e rosa pastello su base bianca. Sulla scrivania c’era un computer portatile, ma era anche apparecchiato per la merenda: un Estathé e un biscotto a forma di cuore per ciascuna. Davanti al mio posto c’era un pacchetto azzurro con il fiocco rosa.
«Un pensierino per te, per farmi perdonare.»
Era un peluche portachiavi, una leonessa. «Grazie! È bellissima.» Mi si sciolse il cuore e stavolta ci scambiammo i bacini. Agganciai subito la leonessa allo zaino e stava proprio bene.
Giusy disse: «Così ti tiene d’occhio.»
«In che senso?»
«Se non fai la brava.»
Sbuffai. «Mi bastano già i miei, per questo!»
«Allora se fai troppo la brava. Arriva lì e ti dice: “Roar; dai, buttati!”»
Risi di gusto. «Si vede così tanto che sono timida?»
«Ma tu non sei timida!»
«Cosa? Se ogni volta che si avvicina un estraneo mi chiudo a riccio!»
«Con me non l’hai fatto.»
«È vero. Con te…» mi bloccai.
Giusy mi fissò: «Roar! Dai. Con me?»
Risi ancora. «Con te sono stata bene. A parte una volta!»
Distolse lo sguardo. «Scusa, scusa, scusa. Sono pentita.» Si prostrò, appoggiando le mani alle mie ginocchia. «Merito una punizione.»
Le presi le mani e la tirai su. «Dai, non fare la scema.»
Si sollevò e ci ritrovammo a fissarci vicinissime. Mi fischiarono le orecchie. Ebbi paura che potesse saltarmi di nuovo addosso eppure non riuscivo a muovermi, mi sentivo bloccata.
Giusy si morse le labbra, poi disse: «Ho promesso che ti aspettavo; perciò devi dirmi tu se sei pronta.» Prese le mie braccia e se le mise intorno al collo, poi mi cinse i fianchi.
Mi tremavano le gambe. Ripetevo nella mia testa “È sbagliato. È sbagliato.” Eppure restavo lì a guardarla, ipnotizzata dal suo sguardo.
Chiuse gli occhi e persi il mio punto di riferimento. Sarebbe stato il momento giusto per fermare tutto ma lei disse: «Roar!» Mi fissai sulle sue labbra, così sottili e vicine. Sentii il cuore che mi batteva sempre più forte.
“È sbagliato.”
Chiusi gli occhi. Non so se fui io ad avvicinarmi o lei. Il bacio arrivò. Caldo. Morbido. Accompagnato dalle farfalle nello stomaco. E fu una dura lotta tra le farfalle che svolazzavano libere e il pensiero fisso che ripeteva “È sbagliato.” Ma per il momento restarono in vantaggio le farfalle.
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