Ciao Rasalgethi. Il tuo è un racconto, come ogni opera dell’uomo capace e appassionato (e passione è il termine appropriato approcciandosi al tuo testo), bellissimo e perfettibile. Le pulci che seguono sono input, consigli, strumenti che potrebbero risultare inutili e che solo l’autore può scegliere se usarli. In una "gara" non li segnalerei per riserbo e per "netiquette".
1. Il titolo in inglese, non so se accade anche ad altri, mi allontana. So che spesso usi questo espediente. Di fatto, entro dentro il tuo racconto per la stima nell’autore, altrimenti lo salterei. Anche il tuo indugiare spesso sulla musica, sia nel testo stesso che nei commenti, è un poco “affaticante”. E chi ti parla ama la musica almeno quanto te. Tornerò sulla musica.
2. - Silenzio…un suono dimenticato - Bellissimo. Il classico “silenzio assordante”, un ossimoro noto e reso da te ancora più elegante e raffinato.
3. Già dall’inizio, dalla descrizione del rito del tè, con una scelta linguistica appropriata e nascosta, “introduci” una passione subliminale. L’aroma del liquido scuro, stimolata dal “penetrante” odore, il gusto vellutato. Cominci a portarci lì dove vuoi tu, senza nemmeno dircelo, ma scrivendocelo.
4. “Buonasera Patti” disse…”Ciao Etienne” rispose lei. Mi piace pochino, un poco accademico, sai fare molto meglio. Lo so.
5. “Abitavano lo stesso appartamento, ma divisi da un piano[M1] .” Cioè? Si, leggendo il seguito si capisce che i rispettivi appartamenti sono uno sopra l’altro, ma la frase presa da sola, così com’è, potrebbe essere raccontata meglio.
6. Mi sfugge il perché uno dei motivi, una coppia con figli e l’altra senza figli, possa portarli a osservarsi per “scoprire, o ritrovare certi sapori.”
7. Da “Patti non ci aveva messo molto…” a “E lui sorrideva”, questo lungo paragrafo è bellissimo. Riesci a conciliare il desiderio con il senso di colpa. E quella frase - Quest’ultimo era il ricordo che la faceva disperare di più, quello che rendeva le sue lacrime salate oltre ogni immaginazione, poiché il cuore le sussurrava senza tregua che l’azione del Maligno non si concentra sul far nascere i desideri, piuttosto su come non farli mai incontrare - è di particolare bellezza. Resto perplesso sulla tua scelta di mettere il maiuscolo a “Maligno”. Ne colgo l’intenzione ma non la piena efficacia.
8. “Ti piace giocare?” chiese. – A mio parere, quel “chiese” potrebbe essere omesso e ne guadagnerebbe in urgenza quanto meno opportuna per ciò che sta accadendo. 9. “Ti piace giocare?” chiese – “Togli la maglia” disse – “Togliti i pantaloni (…)” gli disse. “Finalmente lei gli disse di voltarsi.” Proverei a variare un poco, cambiare registro, non so come spiegarmi.
10. “Celebre successo dei Kiss”. Con tanto di rimando in nota. È un’informazione a mio parere inutile, che blocca l’urgenza, l’ansia. A volte, anche nei tuoi commenti, la musica diventa più importante del racconto. Quindi, di fatto, sminuisci il racconto stesso. Uhm! Mi sa di averlo già detto.
11. “…volutamente rallentato saltando un tempo.” Cosa vuol dire? Proseguendo si può un poco “accordare”, eppure proverei a scriverlo diversamente.
12. “Di tanto in tanto le urla gioiose dei suoi bimbi la riportavano lì dov’era il suo posto naturale, con loro, per loro.” Bellissima questa immagine.
Come puoi vedere, nelle misere mie pulci ci sono perplessità ma anche plausi. Le perplessità provengono per lo più dalla conoscenza di tanti altri tuoi testi, da alcuni ricorrenti “refrain” che so appartenerti e a cui sei legato. I plausi seguono in copia, perché già so che scrivi bene e con uno stile elegante e incisivo.
Ma, insomma, ‘sto racconto mi piace o no?
Mi piace, e anche tanto. Lo so, lo aspetto a ogni racconto il tuo finale, il coup de froud. E riesci di norma a sorprendermi, come in questo.
Nel tuo ci racconti tutto sommato una “storiella”, e saperla far diventare interessante è per / di pochi. È un racconto che “percorre” la sensualità, il bisogno represso, il senso di colpa, e di converso la non rinuncia a godere del proibito (chissà poi perché proibito), e quell’ultimo sms ci porta a pensare che la storia insiste tra l’inferno e il limbo danteschi (con l'intento di raggiungere un "naturale" paradiso, che forse proseguirà). Parte da subito col “calore” di un tè, col “Darjeling”, con un rito che solo all’apparenza sembra fine a se stesso. In realtà quel rito, di per sé già sensuale, diventa motore e promotore per rovistare nel meraviglioso mondo della fantasia carnale che, nell’ambito domestico, viene spesso mortificato (quanta fantasia sprecata). Ma quel tè, quegli “accessori” diventano poi decisione, progetto e “agguato” tanto, ma proprio tanto femmineo. Ed è qui dove ti distingui: riesci a calarti benissimo nell’immaginario femminile, quasi più che in quello maschile. Anche se non sono, per genere, il recensore migliore per giudicare il pensiero e i meccanismi femminili. Ovviamente è una scelta, qui azzeccatissima. Il finale è deliziosamente scollegato, è un’occasione per far quietare, nella paura di un avvenimento naturale potenzialmente disastroso, l’urgenza dell’appetito che ci è nato come lettori. Poi farci riflettere e ancora un poco sorridere su quanto conti l’equilibrio, un buon marito, dei figli, ma anche quanto conti e "spinga" la libertà di amare i propri entusiasmi e "sogni", svincolati da religioni e consuetudini, da “Statuta”, dall’alto di rigori manichei, quanto conti fantasticare passioni sconvolgenti e narsisistiche, o “naturali”, Quanto pesi farsi amare, facendoselo scrivere con un appassionato e scontato sms.