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Inginocchiato a terra, i gomiti appoggiati sul materasso, guardava il bambino addormentato nel lettino. Sembrava finto. Se non fosse stato per il leggero ritmico sollevarsi del respiro si sarebbe detto un bambolotto di gomma. Non si era ancora abituato alla perfezione delle mani, le dita morbide inaspettatamente forti quando stringevano le sue, le unghie …
Ma si stava facendo tardi, non poteva permettersi un’altra occhiataccia del capo. Però non era ancora così tardi, c’era poco traffico nei giorni che si trascinavano stancamente dopo il Natale; aveva ancora qualche minuto. E poi chissenefrega, se al capo non stava bene che dicesse pure qualcosa, lui aveva quella meraviglia lì, lei probabilmente sarebbe arrivata anche oggi presto al lavoro solo perché a casa non aveva niente che la trattenesse.
Questo pensiero non si era ancora completamente formato nella sua mente che già si sentiva in colpa. Per perdonarsi si alzò deciso, sollevò la sponda del lettino e senza un’ultima occhiata al bambino prese la porta. Era appena scattato lo scrocco quando gli venne in mente che aveva lasciato dentro le chiavi. Passi per quelle di casa, tanto Elena sarebbe stata certamente a casa al suo ritorno, ma le chiavi della macchina?
Avrebbe potuto suonare per farsi aprire ma Elena aveva sicuramente dormito meno di lui tra una poppata e un pianto notturno. E poi avrebbe svegliato il bambino. C’erano l’autobus e la metro, se gli andava bene sarebbe rimasto entro ritardi ragionevoli.
Ma non gli andava bene. Appena fuori dal portone si accorse che aveva nevicato durante la notte, qualche fiocco ritardatario come lui stava ancora cadendo. Ma certo che gli stava andando bene! In caso di neve i ritardi erano contemplati, compresi e perdonati. Sul sottile strato di emozione infantile perché la neve fa sempre ricordi di giochi proibiti e spensierati, sentiva crescere in sé il sollievo e una malevola soddisfazione per questo piccolo privilegio da dipendente di basso rango.
Non era proprio di basso rango ma c’era rimasto proprio male quando avevano affidato al capo il posto che avrebbe potuto benissimo avere lui. Prima erano colleghi, non facevano proprio lo stesso lavoro ma dipendevano tutti e due dal De Giovanni, prima che andasse in pensione. Prima la chiamava Valeria, più spesso Vale, da allora era sempre “Capo”, anche nei suoi pensieri.
Era certo che se fosse stata sposata, magari con figli, anche se forse di figli poteva averne ancora, il posto l’avrebbero dato a lui. Non che l’azienda fosse maschilista, titolare, direttore amministrativo, anzi tutta l’amministrazione, due venditori su tre, senza contare la maggior parte degli operai, anche un paio di capi reparto, erano donne. E adesso anche il direttore tecnico. Che va bene che era anche brava nel suo lavoro ma da quando si vedevano in giro direttori tecnici donne? La tecnica è un lavoro da maschi, lo sanno tutti.
Immerso nei suoi pensieri non si era accorto dell’autobus in arrivo, per evitare la neve che qualcuno aveva stupidamente accumulato nella piazzola, si era fermato un po’ prima. Quando se ne accorse stava già chiudendo le porte per ripartire. Per provare a farlo fermare e salire doveva superare il mucchio di neve già sporca. Si fece coraggio, si bagnò completamente le scarpe e riuscì a salire.
Adesso aveva una ragione in più per essere incazzato con il capo, se non fosse stato per lei, non si sarebbe trovato lì con i piedi gelati, stretto tra i viaggiatori che la neve aveva reso più densi del solito. Se fossi stato lui il capo avrebbe potuto prendersela più con calma, adesso che aveva il bambino tutti avrebbero capito. O forse no. Perché se non era il capo doveva preoccuparsi e se lo fosse stato, no? Magari nessuno avrebbe detto niente, perché era il capo, ma chissà che cosa avrebbero pensato. Quelli senza figli non lo sapevano, gli altri lo avevano dimenticato, quanto è dura fare il papà nei primi mesi.
Almeno la mamma aveva il congedo, poteva riposarsi quanto voleva. Elena poi, bisogna dirlo, un po’ se ne approfittava. Non che a lui non facesse piacere occuparsi del bambino ma la mamma poteva farlo meglio, sapeva sicuramente farlo meglio. E poi magari il bambino se lo aspettava di più, che fosse la mamma, dico.
Ogni tanto si rendeva conto che al bambino la sua barba dava un po’ fastidio, si scostava e frignava. A lui dispiaceva, si sentiva un po’ come rifiutato. Si rendeva conto che era stupido ma non poteva farci niente.
Come al lavoro. Il capo era lì da più di lui, solo un paio d’anni per la verità, era davvero brava nel suo lavoro. Ma era un lavoro di routine, pianificare la produzione. Lui invece era un creativo, bravo. In fondo se gli ultimi prodotti andavano così bene, non proprio tutti, qualcuno non aveva incontrato ma sicuramente era stata colpa del marketing sbagliato. Quelli del marketing erano degli esterni presuntuosi e pieni di sé che non capivano niente del lavoro loro e dei loro clienti. Erano nella manica di Gianni, il direttore commerciale, che gli dava sempre ragione. Comunque gli altri prodotti andavano bene ed era tutto merito suo, delle sue intuizioni, delle soluzioni che aveva proposto, in progettazione e anche in produzione. Ringraziamenti? Nessuno. Riconoscimenti pochi, soldi ancora meno. E avevano promosso lei.
Intanto era sceso alla stazione della metro, la banchina era stracolma, il primo treno era annunciato tra 8 minuti. Cazzo! Sempre così, avrebbe dovuto svegliare Elena e prendere la macchina, tanto avrebbe avuto tutto il tempo per dormire ancora e il bambino, quando voleva, si riaddormentava immediatamente. A volte però sembrava che lo facesse apposta, di giorno non piangeva molto mentre di notte era un campione di urla, ma restava sveglio a guardarti con quegli occhi spalancati come a rimproverarti di qualcosa che lui sapeva e tu no. Ma anche lui avrebbe imparato!
Sarebbe stato come lui, miope con gli occhiali già a otto anni, con tutti i compagni che lo prendevano in giro e quando gli hanno rotto gli occhiali apposta lui non aveva neanche avuto il coraggio di dirlo a sua mamma. Come l’aveva sgridato! Per fortuna non lo picchiavano mai ma era rimasto in punizione per un casino di tempo. Almeno gli era sembrava un tempo lunghissimo. E così quando gli capitava qualcosa di male, un brutto voto, qualcosa di rotto, un taglio o una sbucciatura, aveva imparato a dare la colpa a qualcuno, non importava chi, bastava che fosse credibile. Era diventato bravissimo.
Quando Filippo, che era uno di quelli che gli avevano rotto gli occhiali, l’aveva buttato a terra con uno spintone era rimasto deluso che la sbucciatura fosse così piccola. Così aveva preso un sasso e se l’era dato sul ginocchio fino a riempire di sangue tutta la gamba. E quando Filippo era stato sospeso non si era neanche sentito pari. Aveva però capito che cosa poteva.
Chissà che fine aveva fatto Filippo. Sarà diventato un delinquente, magari drogato. Anche i suoi non erano granché. Il padre facevo lo spazzino, la mamma i mestieri. Ma chissà perché gli erano venuti questi pensieri? Della sorte di Filippo gli fregava meno che niente, aveva i suoi problemi, lui.
Per esempio la metro che non era riuscito a prendere. Era arrivata già piena e nonostante gli spintoni non tutti erano riusciti a salire. Lui non aveva mica spinto, non si era neanche infilato nella calca. Sarebbe arrivato in ritardo. E allora? Voleva proprio vedere se il capo aveva il coraggio di dirgli qualcosa. Il bambino, le chiavi, la neve, la metro. Dirgli qualcosa come se fosse stata colpa sua. Se solo ci provava l’avrebbe sentito, glielo lo avrebbe urlato. Sì, glielo avrebbe urlato che ne aveva piene le scatole di lei che gli passava davanti, della ditta che non riconosceva i suoi meriti, di Elena che se ne approfittava, anche del bambino che in fondo lui non lo voleva neanche; era arrivato, ammesso che non fosse stata Elena che l’aveva fatto apposta, ché lei invece lo voleva, tanto sapeva che ci sarebbe stato lui ad occuparsene. Perché tutti se ne approfittavano.
Anche questa cicciona che si era piazzata sull’orlo della banchina per bloccare l’ingresso a tutti e salire per prima. Non dovrebbero lasciarli salire i ciccioni che pagano un biglietto come gli altri e occupano il doppio dello spazio. Poi questa qui magari non l’ha neanche pagato, deve essere una zingara da com’è conciata e puzza anche. Anzi meglio stare attenti al portafoglio con questa gentaglia in giro.
Ma non posso mica perdere un’altra metro per colpa di questa.
I giornali riportarono di una donna caduta sui binari proprio all’arrivo del treno, probabilmente per colpa della calca. Lui per quel giorno non andò al lavoro, la metro sarebbe stata bloccata per ore e allora perché darsi tanto da fare. Si sentiva leggero come non lo era da tempo. Poteva tornare a casa e godersi con calma il suo bambino. Non si era ancora abituato alla perfezione delle mani, le dita morbide, le unghie …